Aires de Libertad

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      Mensaje por Maria Lua Sáb 25 Mar 2023, 09:51

      CANTO XXVII



      [Canto XXVII, dove tratta di que' medesimi aguatatori e falsi
      consiglieri d'inganni in persona del conte Guido da Montefeltro.]



      Già era dritta in sù la fiamma e queta
      per non dir più, e già da noi sen gia
      con la licenza del dolce poeta,
      quand' un'altra, che dietro a lei venìa,
      ne fece volger li occhi a la sua cima
      per un confuso suon che fuor n'uscia.
      Come 'l bue cicilian che mugghiò prima
      col pianto di colui, e ciò fu dritto,
      che l'avea temperato con sua lima,
      mugghiava con la voce de l'afflitto,
      sì che, con tutto che fosse di rame,
      pur el pareva dal dolor trafitto;
      così, per non aver via né forame
      dal principio nel foco, in suo linguaggio
      si convertïan le parole grame.
      Ma poscia ch'ebber colto lor vïaggio
      su per la punta, dandole quel guizzo
      che dato avea la lingua in lor passaggio,
      udimmo dire: «O tu a cu' io drizzo
      la voce e che parlavi mo lombardo,
      dicendo "Istra ten va, più non t'adizzo",
      perch' io sia giunto forse alquanto tardo,
      non t'incresca restare a parlar meco;
      vedi che non incresce a me, e ardo!
      Se tu pur mo in questo mondo cieco
      caduto se' di quella dolce terra
      latina ond' io mia colpa tutta reco,
      dimmi se Romagnuoli han pace o guerra;
      ch'io fui d'i monti là intra Orbino
      e 'l giogo di che Tever si diserra».
      Io era in giuso ancora attento e chino,
      quando il mio duca mi tentò di costa,
      dicendo: «Parla tu; questi è latino».
      E io, ch'avea già pronta la risposta,
      sanza indugio a parlare incominciai:
      «O anima che se' là giù nascosta,
      Romagna tua non è, e non fu mai,
      sanza guerra ne' cuor de' suoi tiranni;
      ma 'n palese nessuna or vi lasciai.
      Ravenna sta come stata è molt' anni:
      l'aguglia da Polenta la si cova,
      sì che Cervia ricuopre co' suoi vanni.
      La terra che fé già la lunga prova
      e di Franceschi sanguinoso mucchio,
      sotto le branche verdi si ritrova.
      E 'l mastin vecchio e 'l nuovo da Verrucchio,
      che fecer di Montagna il mal governo,
      là dove soglion fan d'i denti succhio.
      Le città di Lamone e di Santerno
      conduce il lïoncel dal nido bianco,
      che muta parte da la state al verno.
      E quella cu' il Savio bagna il fianco,
      così com' ella sie' tra 'l piano e 'l monte,
      tra tirannia si vive e stato franco.
      Ora chi se', ti priego che ne conte;
      non esser duro più ch'altri sia stato,
      se 'l nome tuo nel mondo tegna fronte».
      Poscia che 'l foco alquanto ebbe rugghiato
      al modo suo, l'aguta punta mosse
      di qua, di là, e poi diè cotal fiato:
      «S'i' credesse che mia risposta fosse
      a persona che mai tornasse al mondo,
      questa fiamma staria sanza più scosse;
      ma però che già mai di questo fondo
      non tornò vivo alcun, s'i' odo il vero,
      sanza tema d'infamia ti rispondo.
      Io fui uom d'arme, e poi fui cordigliero,
      credendomi, sì cinto, fare ammenda;
      e certo il creder mio venìa intero,
      se non fosse il gran prete, a cui mal prenda!,
      che mi rimise ne le prime colpe;
      e come e quare, voglio che m'intenda.
      Mentre ch'io forma fui d'ossa e di polpe
      che la madre mi diè, l'opere mie
      non furon leonine, ma di volpe.
      Li accorgimenti e le coperte vie
      io seppi tutte, e sì menai lor arte,
      ch'al fine de la terra il suono uscie.
      Quando mi vidi giunto in quella parte
      di mia etade ove ciascun dovrebbe
      calar le vele e raccoglier le sarte,
      ciò che pria mi piacëa, allor m'increbbe,
      e pentuto e confesso mi rendei;
      ahi miser lasso! e giovato sarebbe.
      Lo principe d'i novi Farisei,
      avendo guerra presso a Laterano,
      e non con Saracin né con Giudei,
      ché ciascun suo nimico era Cristiano,
      e nessun era stato a vincer Acri
      né mercatante in terra di Soldano,
      né sommo officio né ordini sacri
      guardò in sé, né in me quel capestro
      che solea fare i suoi cinti più macri.
      Ma come Costantin chiese Silvestro
      d'entro Siratti a guerir de la lebbre,
      così mi chiese questi per maestro
      a guerir de la sua superba febbre;
      domandommi consiglio, e io tacetti
      perché le sue parole parver ebbre.
      E' poi ridisse: "Tuo cuor non sospetti;
      finor t'assolvo, e tu m'insegna fare
      sì come Penestrino in terra getti.
      Lo ciel poss' io serrare e diserrare,
      come tu sai; però son due le chiavi
      che 'l mio antecessor non ebbe care".
      Allor mi pinser li argomenti gravi
      là 've 'l tacer mi fu avviso 'l peggio,
      e dissi: "Padre, da che tu mi lavi
      di quel peccato ov' io mo cader deggio,
      lunga promessa con l'attender corto
      ti farà trïunfar ne l'alto seggio".
      Francesco venne poi, com' io fu' morto,
      per me; ma un d'i neri cherubini
      li disse: "Non portar: non mi far torto.
      Venir se ne dee giù tra ' miei meschini
      perché diede 'l consiglio frodolente,
      dal quale in qua stato li sono a' crini;
      ch'assolver non si può chi non si pente,
      né pentere e volere insieme puossi
      per la contradizion che nol consente".
      Oh me dolente! come mi riscossi
      quando mi prese dicendomi: "Forse
      tu non pensavi ch'io löico fossi!".
      A Minòs mi portò; e quelli attorse
      otto volte la coda al dosso duro;
      e poi che per gran rabbia la si morse,
      disse: "Questi è d'i rei del foco furo";
      per ch'io là dove vedi son perduto,
      e sì vestito, andando, mi rancuro».
      Quand' elli ebbe 'l suo dir così compiuto,
      la fiamma dolorando si partio,
      torcendo e dibattendo 'l corno aguto.
      Noi passamm' oltre, e io e 'l duca mio,
      su per lo scoglio infino in su l'altr' arco
      che cuopre 'l fosso in che si paga il fio
      a quei che scommettendo acquistan carCO




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      o un ciego soñando
      y en ese vuelo y en ese sueño
      compartir contigo sol y luna,
      siendo guardián en tu cielo
      y tren de tus ilusiones."
      (Hánjel)





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      Mensaje por Maria Lua Sáb 25 Mar 2023, 09:56

      CAKTO VIGESIMOSETIMO


      CIRCULO OCTAVO: FRAUDE
      ARO OCTAVO: CONSEJEROS FRAUDULENTOS
      GUIDO DE MONTBFEDTKO, PAPA SEDUCTOR

      Continuación del cerco octavo. Otra llama animada. Dialogo de
      Dante con el conde Guido de Montefeltro sobre el estado político
      de la Romana. Guido de Montefeltro hace relación de su vida y
      del consejo que din a Bonifacio bajo previa absolución, que fué la
      causa de su condenación. Discusión casuística entre san Brancisco
      y un ángel negro. Las almas condenadas y ¡os cuerpos vivos.


      Dejó de hablar la llama enhiesta y quieta,
      y prosiguió, girando por su vía
      con venia del dulcísimo poeta,
      cuando otra llama que a él se dirigía,
      me hizo volver los ojos a su altura,
      por confuso rumor que despedía.
      El siciliano toro dio tortura,
      como era justo, en su primer mugido,
      a quien lo modeló con lima dura,
      mugiendo con la voz del afligido;
      que aunque de bronce estaba fabricado,
      de dolor parecía estremecido;
      así el acento en llamas encerrado,
      con su rumor mezclaba su lenguaje,
      convertido en la queja del penado.
      Mas luego que hubo completado el viaje,
      la flamígera lengua, claramente,
      a una voz lastimera dio pasaje:
      «Tú, quien quiera que seas, ser clemente,
      que has dicho con el habla de lombardo:
      ¡Anda en -paz! ¡No te atizo, penitente!
      «Aunque me acerque a tí con paso tardo,
      mi voz escucha, por piedad te ruego:
      ya ves que quieto estoy, si en llamas ardo.
      «Si recién llegas a este mundo ciego,
      y acaso vienes de la dulce tierra
      de donde vine hasta el eterno fuego,
      «dime, si la Romana se halla en guerra:
      yo soy de la montaña, que en Urbino
      desprende el Tíber, cuyo valle encierra.»
      Escucho atento y la cabeza inclino,
      cuando mi guía, blando me amonesta,
      y me dice: «Habíale, que es un latino.»
      Yo que tenía pronta la respuesta,
      le respondí cuando callado se hubo:
      «Alma infeliz, a quien la llama tuesta,
      «la Romana, jamás en paz estuvo
      en el alma feroz de sus tiranos-,
      tiene la triste paz que de antes tuvo.
      «Los Polenta, cual siempre, soberanos,
      son de Bávena, y su águila atrevida
      con sus alas protege a los Cerbianos.
      «La tierra, que en su prueba sostenida,
      francos mató a montones, yace opresa,
      del verde león en garras, sometida.
      «El dogo viejo, y el que nuevo empieza,
      en Verrucchio, matando en desgobierno
      como a Montaña, siempre muerden presa.
      «Los pueblos de Lamorne y ele Santerno,
      rige el leoncillo azur en nido blanco,
      que bando cambia de verano a invierno.
      «La ciudad a que el Savio baña el flanco,
      que entre el llano y el monte está fundada,
      de opresión y licencia es campo franco.
      «Ora tu nombre di, tan apiadada,
      cual otras almas en martirio han sido,
      y sea tu memoria prolongada.»
      La llama ardiente despidió uti rugido,
      y su punta, cual lengua lanzó afuera,
      de aquí de allá, y habló como un soplido:
      «Si yo creyese, mi respuesta fuera
      dada a quien pueda retornar al mundo,
      inmóvil esta llama se estuviera;
      «mas como nadie, hundido en lo profundo
      de este valle, ha salido vivo y sano,
      sin temor a la infamia, lo> difundo.
      «Fui guerrero; después fui franciscano,
      con su cordón creyendo hacer enmienda;
      y cierto, mi creer no fuera vano,
      «si el grande sacerdote ¡Dios lo hienda!
      no me volviese a la primera culpa;
      y como fué, yo quiero se me entienda.
      «Mientras que forma fui de hueso y pulpa,
      que la madre me dio, la vida mía,
      no de león,. de zorro se la inculpa.
      «La torticera y encubierta vía,
      supe tan bien, que a fuer de mis amaños
      mi nombre por la tierra se extendía.
      «Cuando hube entrado en los maduros años,
      que la vela aferrar y atar el cable,
      hacen al hombre, tristes desengaños,
      «lo que antes me agradó, fué detestable;
      y contrito y confeso, mi deseo
      de remisión llenara ¡miserable!
      «El Príncipe del nuevo Fariseo,
      en gu~rra a inmediación de Lateranos,
      no con el Sarraceno y el Judeo;
      «que eran sus enemigos muy cristianos,
      pues ni uno, en Acre renegó su creencia,
      ni fuera mercader con egipcianos,
      «faltó a su fe llevado a la eminencia;
      no respetó el cordón, ni la pedestre
      orden santa, de ayuno y penitencia.
      «Cual Constantino demandó a Silvestre,
      para curar su lepra de Sorate,
      llamóme por mi mal, como maestre,
      «para curar su fiebre de combate:
      pidióme su consejo: hice desecha,
      porque ebrio parecióme aquel magnate,R
      «Luego dijo: Destierra la sospecha:
      si me enseñas, te absuelvo de antemano,
      como pueda a Penestra ver maltrecha,
      «Todo se abre y se cierra por mi mano,
      en los cielos, pues tengo las dos llaves,
      que mi predecesor tuvo en desgano.
      «Ante estos argumentos harto graves,
      pensé, que lo peor era callarme,
      y dije: ¡Oh, padre! pido que me la-ves


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      Mensaje por Maria Lua Dom 26 Mar 2023, 08:56

      CANTO XXVIII



      [Canto XXVIII, nel quale tratta le qualitadi de la nona bolgia,
      dove l'auttore vide punire coloro che commisero scandali, e'
      seminatori di scisma e discordia e d'ogne altro male operare.]



      Chi poria mai pur con parole sciolte
      dicer del sangue e de le piaghe a pieno
      ch'i' ora vidi, per narrar più volte?
      Ogne lingua per certo verria meno
      per lo nostro sermone e per la mente
      c'hanno a tanto comprender poco seno.
      S'el s'aunasse ancor tutta la gente
      che già, in su la fortunata terra
      di Puglia, fu del suo sangue dolente
      per li Troiani e per la lunga guerra
      che de l'anella fé sì alte spoglie,
      come Livïo scrive, che non erra,
      con quella che sentio di colpi doglie
      per contastare a Ruberto Guiscardo;
      e l'altra il cui ossame ancor s'accoglie
      a Ceperan, là dove fu bugiardo
      ciascun Pugliese, e là da Tagliacozzo,
      dove sanz' arme vinse il vecchio Alardo;
      e qual forato suo membro e qual mozzo
      mostrasse, d'aequar sarebbe nulla
      il modo de la nona bolgia sozzo.
      Già veggia, per mezzul perdere o lulla,
      com' io vidi un, così non si pertugia,
      rotto dal mento infin dove si trulla.
      Tra le gambe pendevan le minugia;
      la corata pareva e 'l tristo sacco
      che merda fa di quel che si trangugia.
      Mentre che tutto in lui veder m'attacco,
      guardommi e con le man s'aperse il petto,
      dicendo: «Or vedi com' io mi dilacco!
      vedi come storpiato è Mäometto!
      Dinanzi a me sen va piangendo Alì,
      fesso nel volto dal mento al ciuffetto.
      E tutti li altri che tu vedi qui,
      seminator di scandalo e di scisma
      fuor vivi, e però son fessi così.
      Un diavolo è qua dietro che n'accisma
      sì crudelmente, al taglio de la spada
      rimettendo ciascun di questa risma,
      quand' avem volta la dolente strada;
      però che le ferite son richiuse
      prima ch'altri dinanzi li rivada.
      Ma tu chi se' che 'n su lo scoglio muse,
      forse per indugiar d'ire a la pena
      ch'è giudicata in su le tue accuse?».
      «Né morte 'l giunse ancor, né colpa 'l mena»,
      rispuose 'l mio maestro, «a tormentarlo;
      ma per dar lui esperïenza piena,
      a me, che morto son, convien menarlo
      per lo 'nferno qua giù di giro in giro;
      e quest' è ver così com' io ti parlo».
      Più fuor di cento che, quando l'udiro,
      s'arrestaron nel fosso a riguardarmi
      per maraviglia, oblïando il martiro.
      «Or dì a fra Dolcin dunque che s'armi,
      tu che forse vedra' il sole in breve,
      s'ello non vuol qui tosto seguitarmi,
      sì di vivanda, che stretta di neve
      non rechi la vittoria al Noarese,
      ch'altrimenti acquistar non saria leve».
      Poi che l'un piè per girsene sospese,
      Mäometto mi disse esta parola;
      indi a partirsi in terra lo distese.
      Un altro, che forata avea la gola
      e tronco 'l naso infin sotto le ciglia,
      e non avea mai ch'una orecchia sola,
      ristato a riguardar per maraviglia
      con li altri, innanzi a li altri aprì la canna,
      ch'era di fuor d'ogne parte vermiglia,
      e disse: «O tu cui colpa non condanna
      e cu' io vidi su in terra latina,
      se troppa simiglianza non m'inganna,
      rimembriti di Pier da Medicina,
      se mai torni a veder lo dolce piano
      che da Vercelli a Marcabò dichina.
      E fa saper a' due miglior da Fano,
      a messer Guido e anco ad Angiolello,
      che, se l'antiveder qui non è vano,
      gittati saran fuor di lor vasello
      e mazzerati presso a la Cattolica
      per tradimento d'un tiranno fello.
      Tra l'isola di Cipri e di Maiolica
      non vide mai sì gran fallo Nettuno,
      non da pirate, non da gente argolica.
      Quel traditor che vede pur con l'uno,
      e tien la terra che tale qui meco
      vorrebbe di vedere esser digiuno,
      farà venirli a parlamento seco;
      poi farà sì, ch'al vento di Focara
      non sarà lor mestier voto né preco».
      E io a lui: «Dimostrami e dichiara,
      se vuo' ch'i' porti sù di te novella,
      chi è colui da la veduta amara».
      Allor puose la mano a la mascella
      d'un suo compagno e la bocca li aperse,
      gridando: «Questi è desso, e non favella.
      Questi, scacciato, il dubitar sommerse
      in Cesare, affermando che 'l fornito
      sempre con danno l'attender sofferse».
      Oh quanto mi pareva sbigottito
      con la lingua tagliata ne la strozza
      Curïo, ch'a dir fu così ardito!
      E un ch'avea l'una e l'altra man mozza,
      levando i moncherin per l'aura fosca,
      sì che 'l sangue facea la faccia sozza,
      gridò: «Ricordera'ti anche del Mosca,
      che disse, lasso!, "Capo ha cosa fatta",
      che fu mal seme per la gente tosca».
      E io li aggiunsi: «E morte di tua schiatta»;
      per ch'elli, accumulando duol con duolo,
      sen gio come persona trista e matta.
      Ma io rimasi a riguardar lo stuolo,
      e vidi cosa ch'io avrei paura,
      sanza più prova, di contarla solo;
      se non che coscïenza m'assicura,
      la buona compagnia che l'uom francheggia
      sotto l'asbergo del sentirsi pura.
      Io vidi certo, e ancor par ch'io 'l veggia,
      un busto sanza capo andar sì come
      andavan li altri de la trista greggia;
      e 'l capo tronco tenea per le chiome,
      pesol con mano a guisa di lanterna:
      e quel mirava noi e dicea: «Oh me!».
      Di sé facea a sé stesso lucerna,
      ed eran due in uno e uno in due;
      com' esser può, quei sa che sì governa.
      Quando diritto al piè del ponte fue,
      levò 'l braccio alto con tutta la testa
      per appressarne le parole sue,
      che fuoro: «Or vedi la pena molesta,
      tu che, spirando, vai veggendo i morti:
      vedi s'alcuna è grande come questa.
      E perché tu di me novella porti,
      sappi ch'i' son Bertram dal Bornio, quelli
      che diedi al re giovane i ma' conforti.
      Io feci il padre e 'l figlio in sé ribelli;
      Achitofèl non fé più d'Absalone
      e di Davìd coi malvagi punzelli.
      Perch' io parti' così giunte persone,
      partito porto il mio cerebro, lasso!,
      dal suo principio ch'è in questo troncone.
      Così s'osserva in me lo contrapasso»





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      129


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      "Ser como un verso volando
      o un ciego soñando
      y en ese vuelo y en ese sueño
      compartir contigo sol y luna,
      siendo guardián en tu cielo
      y tren de tus ilusiones."
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      Dante Alighieri (1265-1321) - Página 3 Empty Re: Dante Alighieri (1265-1321)

      Mensaje por Maria Lua Vie 14 Abr 2023, 09:08

      CANTO VIGESIMOCTAVO

      CIRCULO OCTAVO: FRAUDE

      ARO NONO: DISEMINADORES DE DISCORDIA
      MAIIOMA, FEA DOI.CINO, DA MEDICINA, O. MOSCA, DEL BOSNIO

      Invocación ;il lenguaje escrito y hablado. Evocación a los muertos.
      Noveno cerco donde son atormentados los cismáticos y promotores
      de discordias. Aparición de Mahoma y de Alí. Reminiscencia de
      Fray Dolcino. Las almais en pena de Pedro de Medicina, Curione
      V ol Mosca. Beltrán del Bornio, que lleva su cabeza en las manos
      a manera de una linterna con que se alumbra .


      ¿Quién podría, ni en voces no rimadas,
      decir la sangre y llagas que he mirado,
      y de lleno, dejarlas retrazadas?
      Todo idioma, sería muy menguado,
      porque a nuestra palabra y nuestras mentes,
      tanto en su seno comprender no es dado.
      Si se adunaran las extintas gentes,
      que de la Apulia, ia infelice tierra,
      bañaron con su sangre de dolientes.
      coa el romano, en prolongada guerra,
      que tanto anillo diera por despojos,
      cual dice Tito Livio, que no yerra; ,,
      si a ellas se uniesen, los que en sangre rojos,
      cayeron contrapuestos a Güiscardo,
      y los huesos, que aun miran nuestros ojos ,5
      en Ceperano, donde fué bigardo
      cada Pullense; y los de Tagliacozzo,
      donde inerme triunfara el viejo Alardo; 18
      cuando todos, en grupo lastimoso,
      presentan cada miembro mutilado,
      nada serían, ante el nono foso. 2l
      Jamás tonel sin duela o desfondado,
      vióse como uno allí, todo él abierto,
      desde la barba al vientre, el desdichado. »»
      Su corazón, se muestra a descubierto;
      sus intestinos cuelgan, y es su saco'
      de excrementos, depósito entreabierto. 2?
      Le seguía al través del aire opaco,
      y al mirarme exclamó, rasgando el pecho:
      «Ve como las entrañas me resaco. 30
      «Mira a Mahoma aquí, todo deshecho:
      más adelante, Alí sigue llorando,
      y su cabeza abierta es un desecho. 33
      «Y los otros que ves aquí girando,
      de escándalo y,de cisma sembradores,
      fueron en vida, y así están penando. 36
      «Un diablo se halla atrás, que en sus furores
      nos parte con el filo de su espada;
      renovando cruelmente los dolores sa
      CIR O VIII. ARO IX INF. XXVIII. 40-69 F E A DOLCIXO
      «en cada vuelta, a la doliente estrada;
      porque se cicatriza nuestra herida,
      antes de repasar la A'ía andada.
      «Mas ¿Qué haces tú, sobre esa roca erguida?
      ¿Tal vez retardas el suplicio airado,
      por la culpa en el mundo cometida?»
      «Aun no ha muerto, ni viene condenado,»
      dijo el maestro, «busca la experiencia,
      no el tormento que en lote te ha tocado.
      «Yo un muerto soy, y doíle mi asistencia,
      al recorrer los cercos tenebrosos:
      y como te hablo, es esto una evidencia.»
      Más de cien almas se alzan de los fosos,
      para mirarme como extraño caso,
      olvidando sus golpes dolorosos.
      Sigue Mahoma: «Pues que estás de paso,
      y vas a contemplar al sol en breve,
      di a fray Dolcino, si no quiere acaso
      «acompañarme, aquí, cuide la nieve,
      que la vitualla ataja, pues podría
      bien suceder, que el Novares la lleve.»
      Así Mahoma, al tiempo que partía,
      dejó de hablarme con la planta alzada,
      volviendo a andar por la doliente vía.
      Otro que trae la gola agujereada,
      cortada la nariz hasta la ceja,
      y que muestra una oreja mutilada,
      fijo me mira, pero no se queja
      como los otros, y abre su garguero,
      en chorro al destilar sangre bermeja.
      «i Oh!, tú que exento del tormento fiero,
      y en tierra conocí que fué latina,»
      dijo, «según de tu semblante infiero,
      «acuérdate de Pedro Medicina,
      si tornases a ver el dulce llano
      que de Vercello a Marcabó se inclina;
      «a los dos buenos únicos de Fano,
      y Ángiolelo, dirás, también a Guido,
      si el predecir aquí, no es un don vano,
      «que serán de un bajel desprevenido,
      arrojados al mar frente a Cattólica,
      dentro de un saco, por, tirano infido.
      «Entre la isla de Chipre y la Mayólica,
      nunca verá pirata igual Neptuno,
      tal crimen cometer en tierra Argólica.
      «El traidor, cuyos ojos ven con uno,
      en el país, que uno que está conmigo,
      no quisiera haber visto en tiempo alguno,
      «los llamará para tratar consigo,
      y hará tal, que ni el viento de Focara,
      ni las preces los pongan al abrigo.»
      Y yo a él: «Dime antes y declara,
      si he de ser de tus nuevas mensajero,
      jquién tan amarga vista no deseara?»
      La quijada empuñó; de un compañero,
      abrir la boca con sus manos le hizo,
      gritando: «Un mudo que mostrarte quiero.
      «Este exilado, a César indeciso,
      aliento dio al decirle.- Mucha espera,
      nos pierde sin salir del compromiso.»
      ¡Cuan consternada su apariencia era,
      con la lengua a raíz despedazada,
      de aquel Curión, que la movió tan fiera!
      Con una y otra mano mutilada,
      otro alzó sus muñones, y en luz hosca
      mostrándome su- cara ensangrentada,
      clamó: «¡ También acuérdate de Mosca!
      Yo fui quien dije: ¡Acabe lo empezado!
      germen de males de! la gente tosca.»
      «¡ Y muerte de tu raza!», dije airado.
      Y como loco que el dolor perturba,
      se fué con doble duelo acumulado.
      Quedé a mirar la condenada turba,
      y cosa vi que me causó pavura,
      y que el sólo contarla me conturba;
      mas la firme conciencia me asegura,
      como fiel compañera que da aliento
      bajo el albergue de una mente pura.
      Yo vi cierto, y lo veo en el momento,
      un busto sin cabeza ir caminando,
      en medio de aquel triste agrupamiento.
      La cabeza, del pelo iba colgando
      en sus manos, a modo de linterna,
      y: «¡Ay de mí!», exclamaba sollozando.
      De sí mismo era tétrica lucerna.
      ¡Y era, cual todo en uno o dos en una.. . !
      como fuera, no es fácil lo discierna.
      i Lo sabe Aquél que todo lo coaduna!
      Al pie del puente alzóse la cabeza,
      movió los labios de su boca bruna,
      Y di jome: «Contempla esta crudeza,
      tú que vivo visitas a, los muertos,
      que en nadie más que en mí la culpa pesa.
      «Para llevar de mí, comentos ciertos,
      que soy Bosnio Beltrán saber tú debes,
      que aconsejó al rey Juan en sus entuertos.
      «Al hijo y padre convertí en aleves,
      cual David y Absalón, tan fementido,
      que de Aquitóf el son las culpas leves.
      «Por dividir lo que se hallaba unido,
      tengo así dividida la cabeza,
      principio de este cuerpo amortecido;
      y culpa y pena así se contrapesa.»





      219


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      Dante Alighieri (1265-1321) - Página 3 Empty Re: Dante Alighieri (1265-1321)

      Mensaje por Maria Lua Miér 19 Abr 2023, 14:57

      CANTO XXIX



      [Canto XXIX, ove tratta de la decima bolgia, dove si puniscono i
      falsi fabricatori di qualunque opera, e isgrida e riprende l'autore i
      Sanesi.]



      La molta gente e le diverse piaghe
      avean le luci mie sì inebrïate,
      che de lo stare a piangere eran vaghe.
      Ma Virgilio mi disse: «Che pur guate?
      perché la vista tua pur si soffolge
      là giù tra l'ombre triste smozzicate?
      Tu non hai fatto sì a l'altre bolge;
      pensa, se tu annoverar le credi,
      che miglia ventidue la valle volge.
      E già la luna è sotto i nostri piedi;
      lo tempo è poco omai che n'è concesso,
      e altro è da veder che tu non vedi».
      «Se tu avessi», rispuos' io appresso,
      «atteso a la cagion per ch'io guardava,
      forse m'avresti ancor lo star dimesso».
      Parte sen giva, e io retro li andava,
      lo duca, già faccendo la risposta,
      e soggiugnendo: «Dentro a quella cava
      dov' io tenea or li occhi sì a posta,
      credo ch'un spirto del mio sangue pianga
      la colpa che là giù cotanto costa».
      Allor disse 'l maestro: «Non si franga
      lo tuo pensier da qui innanzi sovr' ello.
      Attendi ad altro, ed ei là si rimanga;
      ch'io vidi lui a piè del ponticello
      mostrarti e minacciar forte col dito,
      e udi' 'l nominar Geri del Bello.
      Tu eri allor sì del tutto impedito
      sovra colui che già tenne Altaforte,
      che non guardasti in là, sì fu partito».
      «O duca mio, la vïolenta morte
      che non li è vendicata ancor», diss' io,
      «per alcun che de l'onta sia consorte,
      fece lui disdegnoso; ond' el sen gio
      sanza parlarmi, sì com' ïo estimo:
      e in ciò m'ha el fatto a sé più pio».
      Così parlammo infino al loco primo
      che de lo scoglio l'altra valle mostra,
      se più lume vi fosse, tutto ad imo.
      Quando noi fummo sor l'ultima chiostra
      di Malebolge, sì che i suoi conversi
      potean parere a la veduta nostra,
      lamenti saettaron me diversi,
      che di pietà ferrati avean li strali;
      ond' io li orecchi con le man copersi.
      Qual dolor fora, se de li spedali
      di Valdichiana tra 'l luglio e 'l settembre
      e di Maremma e di Sardigna i mali
      fossero in una fossa tutti 'nsembre,
      tal era quivi, e tal puzzo n'usciva
      qual suol venir de le marcite membre.
      Noi discendemmo in su l'ultima riva
      del lungo scoglio, pur da man sinistra;
      e allor fu la mia vista più viva
      giù ver' lo fondo, la 've la ministra
      de l'alto Sire infallibil giustizia
      punisce i falsador che qui registra.
      Non credo ch'a veder maggior tristizia
      fosse in Egina il popol tutto infermo,
      quando fu l'aere sì pien di malizia,
      che li animali, infino al picciol vermo,
      cascaron tutti, e poi le genti antiche,
      secondo che i poeti hanno per fermo,
      si ristorar di seme di formiche;
      ch'era a veder per quella oscura valle
      languir li spirti per diverse biche.
      Qual sovra 'l ventre e qual sovra le spalle
      l'un de l'altro giacea, e qual carpone
      si trasmutava per lo tristo calle.
      Passo passo andavam sanza sermone,
      guardando e ascoltando li ammalati,
      che non potean levar le lor persone.
      Io vidi due sedere a sé poggiati,
      com' a scaldar si poggia tegghia a tegghia,
      dal capo al piè di schianze macolati;
      e non vidi già mai menare stregghia
      a ragazzo aspettato dal segnorso,
      né a colui che mal volontier vegghia,
      come ciascun menava spesso il morso
      de l'unghie sopra sé per la gran rabbia
      del pizzicor, che non ha più soccorso;
      e sì traevan giù l'unghie la scabbia,
      come coltel di scardova le scaglie
      o d'altro pesce che più larghe l'abbia.
      «O tu che con le dita ti dismaglie»,
      cominciò 'l duca mio a l'un di loro,
      «e che fai d'esse talvolta tanaglie,
      dinne s'alcun Latino è tra costoro
      che son quinc' entro, se l'unghia ti basti
      etternalmente a cotesto lavoro».
      «Latin siam noi, che tu vedi sì guasti
      qui ambedue», rispuose l'un piangendo;
      «ma tu chi se' che di noi dimandasti?».
      E 'l duca disse: «I' son un che discendo
      con questo vivo giù di balzo in balzo,
      e di mostrar lo 'nferno a lui intendo».
      Allor si ruppe lo comun rincalzo;
      e tremando ciascuno a me si volse
      con altri che l'udiron di rimbalzo.
      Lo buon maestro a me tutto s'accolse,
      dicendo: «Dì a lor ciò che tu vuoli»;
      e io incominciai, poscia ch'ei volse:
      «Se la vostra memoria non s'imboli
      nel primo mondo da l'umane menti,
      ma s'ella viva sotto molti soli,
      ditemi chi voi siete e di che genti;
      la vostra sconcia e fastidiosa pena
      di palesarvi a me non vi spaventi».
      «Io fui d'Arezzo, e Albero da Siena»,
      rispuose l'un, «mi fé mettere al foco;
      ma quel per ch'io mori' qui non mi mena.
      Vero è ch'i' dissi lui, parlando a gioco:
      "I' mi saprei levar per l'aere a volo";
      e quei, ch'avea vaghezza e senno poco,
      volle ch'i' li mostrassi l'arte; e solo
      perch' io nol feci Dedalo, mi fece
      ardere a tal che l'avea per figliuolo.
      Ma ne l'ultima bolgia de le diece
      me per l'alchìmia che nel mondo usai
      dannò Minòs, a cui fallar non lece».
      E io dissi al poeta: «Or fu già mai
      gente sì vana come la sanese?
      Certo non la francesca sì d'assai!».
      Onde l'altro lebbroso, che m'intese,
      rispuose al detto mio: «Tra'mene Stricca
      che seppe far le temperate spese,
      e Niccolò che la costuma ricca
      del garofano prima discoverse
      ne l'orto dove tal seme s'appicca;
      e tra'ne la brigata in che disperse
      Caccia d'Ascian la vigna e la gran fonda,
      e l'Abbagliato suo senno proferse.
      Ma perché sappi chi sì ti seconda
      contra i Sanesi, aguzza ver' me l'occhio,
      sì che la faccia mia ben ti risponda:
      sì vedrai ch'io son l'ombra di Capocchio,
      che falsai li metalli con l'alchìmia;
      e te dee ricordar, se ben t'adocchio,
      com' io fui di natura buona scimia».




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      133


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      Dante Alighieri (1265-1321) - Página 3 Empty Re: Dante Alighieri (1265-1321)

      Mensaje por Maria Lua Miér 19 Abr 2023, 15:01

      CANTO VIGESIMONONO


      CIRCULO OCTAVO: FRAUDE
      ARO NONO: DISEMINADORES DE DISCORDIA
      GEEI DEL BELLO
      ARO DÉCIMO: FALSARIOS DE TODO GENERO
      FALSIFICADORES DE METALES

      •'omparacion entre los grandes dolores de la tierra y del infierno. Al
      salir del noveno cerco, Dante entrevé a su pariente Geri del, Bello,
      que se esquiva ¡airado de su vista. Dialogo entre Virgilio y
      Dante. Los dos poetas entran en el décimo valle o foso del octavo círculo. Tormento de los falsificadores y de los alquimistas,
      devorados por llagas asquerosas. Coloquio de los dos poetáis con
      "tía sombra. El volador de Siena. Capocchio.


      Con tanta gente en llaga dolorida,
      mi vista estaba de dolor colmada,
      que tanta pena a lagrimar convida; 3
      mas Virgilio me dijo: «¿Tu mirada,
      por qué sigue tan fija, y tan ansiosa,
      en la sombra, a esa turba mutilada, „
      «que antes paseabas triste y vagarosa?
      Nadie contar sus almas se imagina,
      que millas veinte y dos mide su fosa. a
      107
      CIRO. TtlI. ARO IX IXl' \ XXIX. 10-39 DEL BELLO
      «Mas ya la luna a nuestros pies se inclina:
      corto es el tiempo que me está acordado,
      y hay más que ver en la mansión maligna.»
      «Si bien me hubieses antes observado,
      me dieras la razón», dije a mi guía,
      «y la partida un tanto retardado.»
      El entre tanto, su ágil pie movía,
      caminando, sin darme la respuesta,
      mientras yo continuaba: «En esta impía
      «mansión del duelo la mirada puesta,
      de mi sangre, un espíritu que llora
      pienso haber visto, y lo que culpa cuesta.»
      Dijo el maestro entonces: «Si deplora
      tu corazón la vista del doliente,
      mayor dolor verás: déjale ahora:
      «le he visto cuando estabas sobre el puente,
      que con desdén feroz te amenazaba,
      Geri-Bello, llamándole la gente.
      «Tu atención por entonces se fijaba,
      en el señor que fué del altofuerte,
      y no has visto al que al lado se esquivaba.»
      «Oh mi maestro, su violenta muerte,»
      le respondí, «que sin venganza yace,
      por los que oprobio parten con su suerte,
      «quizás motive su desdén, y le hace
      ocultarse de mí, como lo hacía,
      y más piedad del corazón me nace.»
      Así hablando los dos en compañía,
      11 gábamos del puente hasta la altura,
      do con más luz el valle se veía:
      y al penetrar a la última clausura
      de Malebolge, vimos ya cercanos
      los conversos de aquella negra hondura.
      Fuertes lamentos suben inhumanos,
      que lastiman con puntas aceradas;
      y el oído tapé con ambas manos.
      Valdechiana no vio nunca hacinadas
      de julio hasta setiembre, en hospitales,
      ni la Marisma y la Cerdeña aunadas,
      más miserias y pestes ni más males:
      tal era la infección que se exhalaba
      de los corruptos cuerpos infernales.
      Bajamos por el borde en que estribaba
      el largo puente, hacia la mano indiestra,
      donde la vista el valle dominaba.
      Y abajo vi, con su severa muestra,
      del Ser supremo el fallo justiciero,
      que da castigo a la maldad siniestra.
      No creo fuese el padecer más fiero,
      cuando de Egina el aire tan malsano
      postró doliente todo un pueblo entero,
      que desde el hombre al mísero gusano,
      todos murieron, y la antigua gente,
      según dan los poetas por certano,
      renovó con hormigas su simiente;
      y era de ver en esta oscura fosa
      languidecer por hatos, grey doliente.
      Quien sobre el vientre, quien de espalda posa;
      y unos sobre los otrcs se arrastraban
      a gatas por la vía dolorosa.


      Mudos los dos, las plantas nos llevaban,
      mirando y escuchando a los penados,
      que en vano erguir los cuerpos intentaban.
      A dos vi sobre el suelo, que adosados,
      cual una olla a otra junta se calienta,
      de pies a la cabeza lacerados
      no de un mancebo mano turbulenta
      mueve con más empeño la almohaza,
      ante el amo, que espera y se impacienta,
      cual un alma y la otra se ataraza
      con sus uñas, moviéndose rabiosas,
      sin alivio al ardor que las abrasa.
      Rascábanse las costras pustulosas,
      cual con cuchillo escámase el pescado,
      con uñas aceradas y filosas.
      Y hablando a un leproso condenado,
      dijo mi guía: «¡ Oh! tú, que te destrozas,
      y en tenazas tus manos has trocado,
      «dime si entre estas sombras dolorosas
      se encuentra algún latino; ¡y que 1? baste
      uña eterna a tus manos trabajosas!»
      «Latinos somos; en eterno guaste
      los dos estamos,» prorrumpió gimiendo.
      «Mas, ¿quién eres, que así lo demandaste?»
      Y el maestro: «Soy uno que desciendo
      con un vivo, de piedra en piedra dura,
      y mostrarle el infierno, bien entiendo.»
      Al oírle, rompieron su apretura,
      y trémulo cada uno me examina,
      con los otros que oyeron aventura.
      El maestro hacia mí, blando se inclina;
      miróme y dijo: «A tu sabor demanda.»
      Y hablé obediente a voluntad benigna:
      «¡Sea vuestra memoria memoranda
      en el humano mundo de la mente,
      y viva muchos soles y se expanda!
      «Decidme quiénes sois, y de qué gente,
      si vuestro mal y lastimosa pena,
      no lo impide, y habladme libremente.»
      «De Arezzo fui, donde Albero de Siena,»
      el uno dijo «asóme en vivo fuego;
      mas no es ésta la causa de mi pena.
      «Es verdad que una vez dije por juego,
      que volar por los aires yo podría,
      y él, de muy poco seso, y harto lego,
      «quiso le demostrase el arte mía,
      y porque no hice un Dédalo, a la hoguera
      me echó un obispo que por hijo había.
      «De las diez, a la fosa postrimera
      Minos me condenó, maguer mis preces,
      porque alquimista allá en el mundo fuera.»
      Dije al poeta: «Son estos sieneses,
      todos de natural tan vanidoso,
      como más no lo son ni los franceses.»
      A estas palabras que escuchó un leproso,
      me respondió: «Cierto es, menos Estrica,
      que fué en gastos tal vez parsimonioso;
      «y Nicolás, el que la usanza rica
      del jiroflé nos dio, que en país lejano
      su simiente nativa multiplica;
      «y la cuadrilla de Cación de Asciano,
      que viña y bosque disipó sin cuento;
      y Abbagliato que fué de juicio sano.
      «Y has de saber, que el que hace este comento
      contra el Sienes, y que tal vez te asombra,
      si bien miras, tendrás conocimiento
      «que en la tierra Capocchio se le nombra,
      falseador de metales por alquimia;
      y debes recordar al ver mi sombra,
      «que a natura imité con arte eximia.»





      225


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      o un ciego soñando
      y en ese vuelo y en ese sueño
      compartir contigo sol y luna,
      siendo guardián en tu cielo
      y tren de tus ilusiones."
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      Mensaje por Maria Lua Jue 20 Abr 2023, 16:54

      CANTO XXX



      [Canto XXX, ove tratta di quella medesima materia e gente.]



      Nel tempo che Iunone era crucciata
      per Semelè contra 'l sangue tebano,
      come mostrò una e altra fïata,
      Atamante divenne tanto insano,
      che veggendo la moglie con due figli
      andar carcata da ciascuna mano,
      gridò: «Tendiam le reti, sì ch'io pigli
      la leonessa e ' leoncini al varco»;
      e poi distese i dispietati artigli,
      prendendo l'un ch'avea nome Learco,
      e rotollo e percosselo ad un sasso;
      e quella s'annegò con l'altro carco.
      E quando la fortuna volse in basso
      l'altezza de' Troian che tutto ardiva,
      sì che 'nsieme col regno il re fu casso,
      Ecuba trista, misera e cattiva,
      poscia che vide Polissena morta,
      e del suo Polidoro in su la riva
      del mar si fu la dolorosa accorta,
      forsennata latrò sì come cane;
      tanto il dolor le fé la mente torta.
      Ma né di Tebe furie né troiane
      si vider mäi in alcun tanto crude,
      non punger bestie, nonché membra umane,
      quant' io vidi in due ombre smorte e nude,
      che mordendo correvan di quel modo
      che 'l porco quando del porcil si schiude.
      L'una giunse a Capocchio, e in sul nodo
      del collo l'assannò, sì che, tirando,
      grattar li fece il ventre al fondo sodo.
      E l'Aretin che rimase, tremando
      mi disse: «Quel folletto è Gianni Schicchi,
      e va rabbioso altrui così conciando».
      «Oh», diss' io lui, «se l'altro non ti ficchi
      li denti a dosso, non ti sia fatica
      a dir chi è, pria che di qui si spicchi».
      Ed elli a me: «Quell' è l'anima antica
      di Mirra scellerata, che divenne
      al padre, fuor del dritto amore, amica.
      Questa a peccar con esso così venne,
      falsificando sé in altrui forma,
      come l'altro che là sen va, sostenne,
      per guadagnar la donna de la torma,
      falsificare in sé Buoso Donati,
      testando e dando al testamento norma».
      E poi che i due rabbiosi fuor passati
      sovra cu' io avea l'occhio tenuto,
      rivolsilo a guardar li altri mal nati.
      Io vidi un, fatto a guisa di lëuto,
      pur ch'elli avesse avuta l'anguinaia
      tronca da l'altro che l'uomo ha forcuto.
      La grave idropesì, che sì dispaia
      le membra con l'omor che mal converte,
      che 'l viso non risponde a la ventraia,
      faceva lui tener le labbra aperte
      come l'etico fa, che per la sete
      l'un verso 'l mento e l'altro in sù rinverte.
      «O voi che sanz' alcuna pena siete,
      e non so io perché, nel mondo gramo»,
      diss' elli a noi, «guardate e attendete
      a la miseria del maestro Adamo;
      io ebbi, vivo, assai di quel ch'i' volli,
      e ora, lasso!, un gocciol d'acqua bramo.
      Li ruscelletti che d'i verdi colli
      del Casentin discendon giuso in Arno,
      faccendo i lor canali freddi e molli,
      sempre mi stanno innanzi, e non indarno,
      ché l'imagine lor vie più m'asciuga
      che 'l male ond' io nel volto mi discarno.
      La rigida giustizia che mi fruga
      tragge cagion del loco ov' io peccai
      a metter più li miei sospiri in fuga.
      Ivi è Romena, là dov' io falsai
      la lega suggellata del Batista;
      per ch'io il corpo sù arso lasciai.
      Ma s'io vedessi qui l'anima trista
      di Guido o d'Alessandro o di lor frate,
      per Fonte Branda non darei la vista.
      Dentro c'è l'una già, se l'arrabbiate
      ombre che vanno intorno dicon vero;
      ma che mi val, c'ho le membra legate?
      S'io fossi pur di tanto ancor leggero
      ch'i' potessi in cent' anni andare un'oncia,
      io sarei messo già per lo sentiero,
      cercando lui tra questa gente sconcia,
      con tutto ch'ella volge undici miglia,
      e men d'un mezzo di traverso non ci ha.
      Io son per lor tra sì fatta famiglia;
      e' m'indussero a batter li fiorini
      ch'avevan tre carati di mondiglia».
      E io a lui: «Chi son li due tapini
      che fumman come man bagnate 'l verno,
      giacendo stretti a' tuoi destri confini?».
      «Qui li trovai — e poi volta non dierno — »,
      rispuose, «quando piovvi in questo greppo,
      e non credo che dieno in sempiterno.
      L'una è la falsa ch'accusò Gioseppo;
      l'altr' è 'l falso Sinon greco di Troia:
      per febbre aguta gittan tanto leppo».
      E l'un di lor, che si recò a noia
      forse d'esser nomato sì oscuro,
      col pugno li percosse l'epa croia.
      Quella sonò come fosse un tamburo;
      e mastro Adamo li percosse il volto
      col braccio suo, che non parve men duro,
      dicendo a lui: «Ancor che mi sia tolto
      lo muover per le membra che son gravi,
      ho io il braccio a tal mestiere sciolto».
      Ond' ei rispuose: «Quando tu andavi
      al fuoco, non l'avei tu così presto;
      ma sì e più l'avei quando coniavi».
      E l'idropico: «Tu di' ver di questo:
      ma tu non fosti sì ver testimonio
      là 've del ver fosti a Troia richesto».
      «S'io dissi falso, e tu falsasti il conio»,
      disse Sinon; «e son qui per un fallo,
      e tu per più ch'alcun altro demonio!».
      «Ricorditi, spergiuro, del cavallo»,
      rispuose quel ch'avëa infiata l'epa;
      «e sieti reo che tutto il mondo sallo!».
      «E te sia rea la sete onde ti crepa»,
      disse 'l Greco, «la lingua, e l'acqua marcia
      che 'l ventre innanzi a li occhi sì t'assiepa!».
      Allora il monetier: «Così si squarcia
      la bocca tua per tuo mal come suole;
      ché, s'i' ho sete e omor mi rinfarcia,
      tu hai l'arsura e 'l capo che ti duole,
      e per leccar lo specchio di Narcisso,
      non vorresti a 'nvitar molte parole».
      Ad ascoltarli er' io del tutto fisso,
      quando 'l maestro mi disse: «Or pur mira,
      che per poco che teco non mi risso!».
      Quand' io 'l senti' a me parlar con ira,
      volsimi verso lui con tal vergogna,
      ch'ancor per la memoria mi si gira.
      Qual è colui che suo dannaggio sogna,
      che sognando desidera sognare,
      sì che quel ch'è, come non fosse, agogna,
      tal mi fec' io, non possendo parlare,
      che disïava scusarmi, e scusava
      me tuttavia, e nol mi credea fare.
      «Maggior difetto men vergogna lava»,
      disse 'l maestro, «che 'l tuo non è stato;
      però d'ogne trestizia ti disgrava.
      E fa ragion ch'io ti sia sempre allato,
      se più avvien che fortuna t'accoglia
      dove sien genti in simigliante piato:
      ché voler ciò udire è bassa voglia».





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      139


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      Dante Alighieri (1265-1321) - Página 3 Empty Re: Dante Alighieri (1265-1321)

      Mensaje por Maria Lua Dom 30 Abr 2023, 08:20

      CANTO TRIGÉSIMO



      CIRCULO OCTAVO: FRAUDE
      ARO DÉCIMO: FALSARIOS DE TODO GENERO
      FALSIFICADORES DE PERSONAS, DE MONEDAS Y DE PALABKAS


      (.os males y sufrimientos en la tierr a y en el infierno. Continuación
      del último valle del octavo círculo. Otros falsificadores por trasmutación de la propia persona. Presa de una demencia furiusn
      Mirra. Juan Esquico. Un falsificador de moneda. Adán de Éresela. Los falsificadores de la' palabra . Disputa entre el hidrópico
      Adán de Brescia, y el griego Sinón devorado por la fiebre. Diálogo
      cutre los dos poetas en que Virgilio reprocha a Dante entretenerse
      en atender palabras soeces.


      En el tiempo en que Juno, despechada,
      con Semele! y la raza del tebano,
      mostróse como siempre malairada, 3
      Atamante tornóse tan insano,
      que al ver a sus dos hijos con su esposa,
      llevados cada uno de una mano, 8
      «¡A las redes!» gritó con voz furiosa.
      «¡ Leona y cachorros juntos he tomado!»
      Y cual zarpa tendió mano impiadosa... „
      Y a uno de ellos, que Learco era llamado,
      lo estrelló en una roca, furibundo,
      y ella se echó con otro al mar airado. ia
      Y cuando la fortuna, a lo profundo
      bajó a Troya tan alta y tan osada,
      y rey y reino se borró del mundo, 13
      y Hécuba, la cautiva desolada,
      después de ver a Polixena muerta,
      de Polidoro vio la faz amada, IS
      cadáver triste sobre playa yerta,
      y ladró como can, con pena insana
      oscura el alma y la razón desierta, n
      no la furia tebana y la troyana
      atormentara con más penas crudas
      los animales y la especie humana, 2i
      cual vi dos sombras pálidas, desnudas,
      correr, morder, cual del chiquero afuera,
      el puerco, con sus fauces colmilludas. ,7
      Una alcanza a Capocchio en su carrera,
      y al nudo de su cuello el diente hendiendo
      le hace barrer el suelo en ira fiera. r,o
      El Aretino, a golpe tan tremendo,
      «Este espíritu,» exclama-, «es Juan Esquico,
      que así rabioso a todos va mordiendo.» S a
      Y yo a él: «Decirme te suplico,
      cual sea la otra sombra vagarosa
      ¡y puedas preservarte de su hocico!... 3»
      Y él: «es esa la sombra crimosa
      de Mirra antigua, que el pudor violando,
      se enamora del padre, y que incestuosa S9
      «peca con él, su ser falsificando,
      porque en otra persona se transforma;
      como ese, que con ella va penando,
      «quien por yegua ganar de buena forma,
      Buoso Donati se llamó, doloso,
      por testamento en ajustada norma.»
      Luego que hubo pasado el par rabioso,
      que mantenía absorta la mirada,
      la extendí por el cerco doloroso,
      y a modo de laúd, mal conformada
      una sombra miré, que tal sería
      si la parte inferior fuese cortada.
      El humor de una grave hidropesía
      de su cuerpo los miembros deformaba,
      y a su rostro no el vientre respondía.
      De arriba abajo el labio se apartaba,
      cual la boca del ético, sedienta,
      desde la barba a la nariz temblaba.
      «Alma que estás de toda pena exenta,
      no sé por qué, del valle en el secuestro,>
      me dijo, «pasa y toma triste cuenta,
      «del pobre Adamo, mísero maestro:
      todo lo tuve, y hoy de agua una gota
      fuera más grata en mi penar siniestro.
      «El arroyo que el fresco valle acota,
      al descender del verde Casentino,
      y en el Arno sus aguas desagota,
      «ante mis ojos siempre me imagino,
      y su imagen risueña me deszuma
      más que el mal me descarna de contino.
      «La rígida justicia que me abruma,
      castígame por donde yo he pecado,
      y mi lamento se transforma en bruma.
      «En Romena, por mí falsificado
      fué el dinero sellado del Bautista;
      por ende, el cuerpo allí dejé quemado,
      «mas si viese que el alma aquí se atrista
      de Guido, de Alejandro, o de su hermano,
      por Fonte-Branda diera yo esa vista.
      «Uno ha venido ya o está cercano,
      si no miente la voz de esta morada,
      pero i ay! atado estoy de pies y mano.
      «Si en cien años, pudiese una pisada
      adelantar con cuerpo más ligero,
      me echaría a la vida condenada:
      «le buscaría en este valle fiero;
      bien que tenga once millas de circuito,
      y media de ancho mida por entero.
      «Por ellos sufro este dolor maldito;
      ellos me hicieron acuñar florines
      de tres quilates falsos, con delito.»
      «Te pido,» dije, «que a esos denomines,
      que cual la húmeda mano en el invierno
      humean de este valle en los confines.»
      «Allí los vi cuando bajé al infierno,»
      repuso, «y nunca, nunca se han movido:
      y así estarán por tiempo sempiterno.
      «Una mintió a Josefo y su marido.
      otro es Sinón en Troya mal famado:
      y es su vapor, su aliento corrompido.»
      Uno de aquellos dos, así tachado,
      golpeó con puño firme y avizoro
      del hidrópico Adamo el vientre inflado,
      que retumbó como tambor sonoro;
      pero, con mano por igual pujante,
      gritándole: «¡ Ni aun este oficio ignoro!»
      maltratóle furioso su semblante;
      y agregó: «Bien que me halle aquí tullido,
      mi brazo para tí, aun es bastante.»
      Y el otro replicó: «Cuando sumido
      te hallabas en las llamas, no tan presto
      eras, como al forjar, florín mentido.»
      Y el hidrópico dijo: «Cierto es esto;
      pero no fué tan fiel tu testimonio,
      cuando en Troya te fuera a tí requesto.»
      «Verdad: más no fué puro tu antimonio,»
      gritó Sinón: «si entonces he mentido,
      lo has hecho tú más que ningún demonio.»
      «Recuerda aquel caballo fementido,»
      repuso el otro, aquel de vientre hinchado,
      «reo por todo el mundo maldecido.»
      «Tú,» dijo el griego «eres el más penado;
      con panza inflada, y con la lengua s?ca,
      el mirarte y beber te está vedado.»
      Y el monedero: «Tu mentir te obceca,
      que si padezco sed y tengo humores,
      a tí fiebre maligna te reseca.
      «Es tu cabeza presa de dolores,
      y lamer el espejo de Narciso
      bien quisieras; .en medio a tus ardores.»
      La disputa escuchaba, y de improviso
      el buen maestro prorrumpió: «¡Pues, mira!
      ¡Que estoy por enojarme!» Yo indeciso,
      al escuchar aquel acento de ira,
      por tal vergüenza me sentí turbado,
      que todavía en mi memoria gira.
      Y como el que desgracias ha soñado,
      o aun soñando desea, que falsía
      sea lo que entre sueños ha mirado,
      tal yo también, que ni aun hablar podía,
      con palabras mi falta no excusaba,
      y me excusaba, y sin saber lo hacía.
      «Culpas más graves que la tuya lava,
      ese rubor» dijo el maestro amado,
      «de la virtud, que todo desagrava.
      «Y piensa que estaré siempre a tu lado
      si otra vez te encontrases con tal gente,
      que encuentre en semejante plato agrado;
      «que es bajeza el oírla sola
      mente.»



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      Dante Alighieri (1265-1321) - Página 3 Empty Re: Dante Alighieri (1265-1321)

      Mensaje por Maria Lua Mar 02 Mayo 2023, 13:10

      CANTO XXXI



      [Canto XXXI, ove tratta de' giganti che guardano il pozzo de
      l'inferno, ed è il nono cerchio.]



      Una medesma lingua pria mi morse,
      sì che mi tinse l'una e l'altra guancia,
      e poi la medicina mi riporse;
      così od' io che solea far la lancia
      d'Achille e del suo padre esser cagione
      prima di trista e poi di buona mancia.
      Noi demmo il dosso al misero vallone
      su per la ripa che 'l cinge dintorno,
      attraversando sanza alcun sermone.
      Quiv' era men che notte e men che giorno,
      sì che 'l viso m'andava innanzi poco;
      ma io senti' sonare un alto corno,
      tanto ch'avrebbe ogne tuon fatto fioco,
      che, contra sé la sua via seguitando,
      dirizzò li occhi miei tutti ad un loco.
      Dopo la dolorosa rotta, quando
      Carlo Magno perdé la santa gesta,
      non sonò sì terribilmente Orlando.
      Poco portäi in là volta la testa,
      che me parve veder molte alte torri;
      ond' io: «Maestro, dì, che terra è questa?».
      Ed elli a me: «Però che tu trascorri
      per le tenebre troppo da la lungi,
      avvien che poi nel maginare abborri.
      Tu vedrai ben, se tu là ti congiungi,
      quanto 'l senso s'inganna di lontano;
      però alquanto più te stesso pungi».
      Poi caramente mi prese per mano
      e disse: «Pria che noi siam più avanti,
      acciò che 'l fatto men ti paia strano,
      sappi che non son torri, ma giganti,
      e son nel pozzo intorno da la ripa
      da l'umbilico in giuso tutti quanti».
      Come quando la nebbia si dissipa,
      lo sguardo a poco a poco raffigura
      ciò che cela 'l vapor che l'aere stipa,
      così forando l'aura grossa e scura,
      più e più appressando ver' la sponda,
      fuggiemi errore e crescémi paura;
      però che, come su la cerchia tonda
      Montereggion di torri si corona,
      così la proda che 'l pozzo circonda
      torreggiavan di mezza la persona
      li orribili giganti, cui minaccia
      Giove del cielo ancora quando tuona.
      E io scorgeva già d'alcun la faccia,
      le spalle e 'l petto e del ventre gran parte,
      e per le coste giù ambo le braccia.
      Natura certo, quando lasciò l'arte
      di sì fatti animali, assai fé bene
      per tòrre tali essecutori a Marte.
      E s'ella d'elefanti e di balene
      non si pente, chi guarda sottilmente,
      più giusta e più discreta la ne tene;
      ché dove l'argomento de la mente
      s'aggiugne al mal volere e a la possa,
      nessun riparo vi può far la gente.
      La faccia sua mi parea lunga e grossa
      come la pina di San Pietro a Roma,
      e a sua proporzione eran l'altre ossa;
      sì che la ripa, ch'era perizoma
      dal mezzo in giù, ne mostrava ben tanto
      di sovra, che di giugnere a la chioma
      tre Frison s'averien dato mal vanto;
      però ch'i' ne vedea trenta gran palmi
      dal loco in giù dov' omo affibbia 'l manto.
      «Raphèl maì amècche zabì almi»,
      cominciò a gridar la fiera bocca,
      cui non si convenia più dolci salmi.
      E 'l duca mio ver' lui: «Anima sciocca,
      tienti col corno, e con quel ti disfoga
      quand' ira o altra passïon ti tocca!
      Cércati al collo, e troverai la soga
      che 'l tien legato, o anima confusa,
      e vedi lui che 'l gran petto ti doga».
      Poi disse a me: «Elli stessi s'accusa;
      questi è Nembrotto per lo cui mal coto
      pur un linguaggio nel mondo non s'usa.
      Lasciànlo stare e non parliamo a vòto;
      ché così è a lui ciascun linguaggio
      come 'l suo ad altrui, ch'a nullo è noto».
      Facemmo adunque più lungo vïaggio,
      vòlti a sinistra; e al trar d'un balestro
      trovammo l'altro assai più fero e maggio
      A cigner lui qual che fosse 'l maestro,
      non so io dir, ma el tenea soccinto
      dinanzi l'altro e dietro il braccio destro
      d'una catena che 'l tenea avvinto
      dal collo in giù, sì che 'n su lo scoperto
      si ravvolgëa infino al giro quinto.
      «Questo superbo volle esser esperto
      di sua potenza contra 'l sommo Giove»,
      disse 'l mio duca, «ond' elli ha cotal merto.
      Fïalte ha nome, e fece le gran prove
      quando i giganti fer paura a' dèi;
      le braccia ch'el menò, già mai non move».
      E io a lui: «S'esser puote, io vorrei
      che de lo smisurato Brïareo
      esperïenza avesser li occhi mei».
      Ond' ei rispuose: «Tu vedrai Anteo
      presso di qui che parla ed è disciolto,
      che ne porrà nel fondo d'ogne reo.
      Quel che tu vuo' veder, più là è molto
      ed è legato e fatto come questo,
      salvo che più feroce par nel volto».
      Non fu tremoto già tanto rubesto,
      che scotesse una torre così forte,
      come Fïalte a scuotersi fu presto.
      Allor temett' io più che mai la morte,
      e non v'era mestier più che la dotta,
      s'io non avessi viste le ritorte.
      Noi procedemmo più avante allotta,
      e venimmo ad Anteo, che ben cinque alle,
      sanza la testa, uscia fuor de la grotta.
      «O tu che ne la fortunata valle
      che fece Scipïon di gloria reda,
      quand' Anibàl co' suoi diede le spalle,
      recasti già mille leon per preda,
      e che, se fossi stato a l'alta guerra
      de' tuoi fratelli, ancor par che si creda
      ch'avrebber vinto i figli de la terra:
      mettine giù, e non ten vegna schifo,
      dove Cocito la freddura serra.
      Non ci fare ire a Tizio né a Tifo:
      questi può dar di quel che qui si brama;
      però ti china e non torcer lo grifo.
      Ancor ti può nel mondo render fama,
      ch'el vive, e lunga vita ancor aspetta
      se 'nnanzi tempo grazia a sé nol chiama».
      Così disse 'l maestro; e quelli in fretta
      le man distese, e prese 'l duca mio,
      ond' Ercule sentì già grande stretta.
      Virgilio, quando prender si sentio,
      disse a me: «Fatti qua, sì ch'io ti prenda»;
      poi fece sì ch'un fascio era elli e io.
      Qual pare a riguardar la Carisenda
      sotto 'l chinato, quando un nuvol vada
      sovr' essa sì, ched ella incontro penda:
      tal parve Antëo a me che stava a bada
      di vederlo chinare, e fu tal ora
      ch'i' avrei voluto ir per altra strada.
      Ma lievemente al fondo che divora
      Lucifero con Giuda, ci sposò;
      né, sì chinato, lì fece dimora,
      e come albero in nave si levò.





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      "Ser como un verso volando
      o un ciego soñando
      y en ese vuelo y en ese sueño
      compartir contigo sol y luna,
      siendo guardián en tu cielo
      y tren de tus ilusiones."
      (Hánjel)





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      Mensaje por Maria Lua Sáb 06 Mayo 2023, 15:05

      CANTO TRIGESIMOPRIMERO
      DESCENSO AL CIRCULO NONO:
      LOS GIGANTES EN TORNO AL POZO
      NEMROD, EFIALTE, ANTEO




      I.a lengua de Virgilio y la lanza de Aqulles. Aparición de los titanes
      que levantan la mitad del cuerpo sobre la octava fosa, o valle a
      manera de torreones de fortaleza. Los dos poetas dan la espalda
      al octavo círculo, y se dirigen al pozo central del infierno que esta
      encima del noveno y conduce a él. Nemrod, Eflaltes y otros titanes. El gigante Anteo. Discurso de Virgilio suplicando a Anteo
      que los haga descender al noveno círculo. Anteo toma a Virgilio
      y Dante en sus brazos, y como un lío los hace descender al último
      abismo.


      La misma lengua que mordió enojosa
      y diónie de vergüenza la semblanza,
      la medicina me brindó piadosa; 3
      así cuentan curaba aquella lanza
      de Peleo y Aquiles al herido;
      de un lado dura y por el otro mansa. „
      Dejamos aquel valle dolorido,
      contorneando del cerco el alto muro,
      mudos y el pensamiento contenido. S)
      Era entre día y noche, un claro oscui*o,
      y en la sombra mi vista vacilaba,
      cuando un cuerno sonó, con son tan duro, 12
      que todo otro sonido sofocaba;
      y el oído la vista encaminando,
      atento a un sólo punto, concentraba. 15
      Tras de la rota dolorosa, cuando
      Carlomagno perdió la santa gesta,
      no tan terrible el cuerno de Rolando. 1S
      En mi camino, al revolver la testa,
      de muchas altas torres vi semejos,
      y al guía pregunté: «¿ Qué tierra es ésta f» 21
      Y respondió: «No puedes ver de lejos,
      y te ofuscan en medio a las tinieblas
      de lo que tú imaginas los reflejos. ;!
      «Lo que lejano con engaños pueblas,
      claro verás, estando más cercanos;
      apura el paso y pasarán las nieblas.» 2-,
      (Y dulcemente me tomó las manos) :
      «Antes que en esta vía te adelantes,
      y se disipen tus mirajes vanos, 3o
      «sabe que no son torres, son gigantes
      hundidos en la fosa, y esto explica
      que sus bustos se yergan arrogantes.» 33
      Como cuando la niebla se disipa,
      poco a poco la vista trasfigura
      lo que un denso vapor diversifica, 3n
      así, rompiendo densa bruma oscura,
      al acercarme al borde misterioso,
      huyó el engaño y vino la pavura; 39
      pues como en torno a muro poderoso,
      Montereggión, de torres se corona,
      así, el recinto que circunda el pozo;
      y así también, a medias la persona,
      se alza de los gigantes, que amenaza
      Júpiter con sus rayos, cuando atrona.
      Veo una faz que al muro sobrepasa,
      la espalda, el pecho y de su vientre parte,
      y a un lado y otro el brazo que rebasa.
      Hizo natura bien, dejando el arte
      de procrear tamaños animales,
      pues de tales soldados privó a Marte.
      Ballenas y elefantes dan señales,
      que si bien no del todo se arrepiente,
      aun en esto, sus juicios son cabales;
      porque si a la potencia de la mente
      se juntara la fuerza maliciosa,
      el hombre a resistir fuera impotente.
      Era larga la faz y era anchurosa,
      como la pina de San Pedro en Roma,
      y su armazón, en proporción huesosa.
      El muro, como túnica le toma
      medio cuerpo, y el resto, levantado
      de la cintura a la cabeza asoma;
      tres frisones, no hubieran alcanzado,
      pues treinta grandes palmos yo veía,
      adonde el hombre tiene el manto atado.
      «¡Rafele mai, amec zabí almia!»
      a gritar empezó la fiera boca,
      que allí no suena dulce salmodia.
      Increpóle el maestro: «Anima loca,
      sopla tu cuerno, y con su son desfoga
      la ira o la pasión que te sofoca.
      «En torno al cuello encontrarás la soga,
      que por siempre te amarra, alma confusa,
      y que cruzada al pecho, cruel te ahoga.»
      Y mirándome dijo: «A sí se acusa:
      este es Nemrod, que por su loca empresa,
      la misma lengua el mundo ya no usa.
      «No perdamos el tiempo, que interesa;
      porque el lenguaje que habla, nadie entiende,
      y ni él tampoco lo que el nuestro expresa.»
      El buen maestro su camino emprende;
      gira a izquierda, y a tiro de ballesta
      otro gigante desde el foso asciende.
      Quién con sus fuerzas su furor arresta,
      no podría decir; pero amarrados,
      ambos brazos robustos manifiesta,
      por cadena, de fierros muy pesados,
      que el cuerpo cinco veces le ceñía
      desde el cuello a los miembros empinados.
      «Este soberbio, tuvo la osadía
      de medirse con Jove, y en sí lleva
      merecido castigo,» dijo el guía.
      «Es Enaltes, que puesto a la gran prueba,
      con gigantes, los dioses espantara:
      no es fácil que sus brazos más remueva.»
      «Maestro», díjele, «yo deseara
      ver, si es posible, al colosal Briareo,
      y que su imagen por el ojo entrara.
      Y él a mí: «Vamos a ver a Anteo,
      cerca de aquí, y que habla y se halla suelto,
      y ha de bajarnos donde gime el reo.
      «El que tú quieres ver, se encuentra envuelto
      en cadenas, cual éste semejante,
      salvo el rostro feroz y más resuelto.»
      No trema el terremoto más pujante,
      . al sacudir el torreón más fuerte,
      como Enaltes se agita amenazante.
      Jamás miedo mayor sentí de muerte,
      y me la diera el pecho congojoso,
      a no saber que atado, estaba inerte.
      Seguimos a lo largo de aquel foso,
      donde Anteo, su busto levantado,
      cinco brazas afuera está alteroso..
      «¡ Oh tú! que en aquel valle afortunado,
      donde heredó Escipión eterna gloria,
      fué Aníbal y Cartago derrotado,
      «leones mil tuviste por memoria,
      ¡y que de haber estado tú en la guerra
      de tus hermanos, lauro de victoria
      «coronara a los hijos de la tierra!
      Bájanos hasta el hondo precipicio,
      donde el Cocito su frialdad encierra.
      «No nos dirijas a Tifón ni a Tizio;
      este que ves, dar puede lo que se ama,
      si te inclinas con gesto más propicio,
      *>* por el mundo pregonar tu fama,
      que vivo está y aun tiene vida larga
      i antes de tiempo el cielo no le llama.»
      Dijo Virgilio, y el gigante alarga
      presto, las manos que Hércules sintiera,
      y entre sus brazos al maestro carga.
      Virgilio que coger así se viera,
      di jome: «Haz de modo que te prenda.»
      Y de los dos Anteo un haz hiciera.
      Cual parece, al mirar a Carisenda
      bajo el declive, que una nube leve
      mueve en contra su fábrica estupenda,
      tal me parece Anteo, que se mueve
      al inclinarse, y cierto, que en tal hora
      quisiera andar por vía menos breve.
      Mas, levemente, al fondo que devora
      a Lucifer y Judas, nos llevó:
      doblegado un momento se demora,
      y cual mástil de nave se irguió.





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      Mensaje por Maria Lua Dom 14 Mayo 2023, 15:43

      CANTO XXXII


      [Canto XXXII, nel quale tratta de' traditori di loro schiatta e de'
      traditori de la loro patria, che sono nel pozzo de l'inferno.]


      S'ïo avessi le rime aspre e chiocce,
      come si converrebbe al tristo buco
      sovra 'l qual pontan tutte l'altre rocce,
      io premerei di mio concetto il suco
      più pienamente; ma perch' io non l'abbo,
      non sanza tema a dicer mi conduco;
      ché non è impresa da pigliare a gabbo
      discriver fondo a tutto l'universo,
      né da lingua che chiami mamma o babbo.
      Ma quelle donne aiutino il mio verso
      ch'aiutaro Anfïone a chiuder Tebe,
      sì che dal fatto il dir non sia diverso.
      Oh sovra tutte mal creata plebe
      che stai nel loco onde parlare è duro,
      mei foste state qui pecore o zebe!
      Come noi fummo giù nel pozzo scuro
      sotto i piè del gigante assai più bassi,
      e io mirava ancora a l'alto muro,
      dicere udi'mi: «Guarda come passi:
      va sì, che tu non calchi con le piante
      le teste de' fratei miseri lassi».
      Per ch'io mi volsi, e vidimi davante
      e sotto i piedi un lago che per gelo
      avea di vetro e non d'acqua sembiante.
      Non fece al corso suo sì grosso velo
      di verno la Danoia in Osterlicchi,
      né Tanaï là sotto 'l freddo cielo,
      com' era quivi; che se Tambernicchi
      vi fosse sù caduto, o Pietrapana,
      non avria pur da l'orlo fatto cricchi.
      E come a gracidar si sta la rana
      col muso fuor de l'acqua, quando sogna
      di spigolar sovente la villana,
      livide, insin là dove appar vergogna
      eran l'ombre dolenti ne la ghiaccia,
      mettendo i denti in nota di cicogna.
      Ognuna in giù tenea volta la faccia;
      da bocca il freddo, e da li occhi il cor tristo
      tra lor testimonianza si procaccia.
      Quand' io m'ebbi dintorno alquanto visto,
      volsimi a' piedi, e vidi due sì stretti,
      che 'l pel del capo avieno insieme misto.
      «Ditemi, voi che sì strignete i petti»,
      diss' io, «chi siete?». E quei piegaro i colli;
      e poi ch'ebber li visi a me eretti,
      li occhi lor, ch'eran pria pur dentro molli,
      gocciar su per le labbra, e 'l gelo strinse
      le lagrime tra essi e riserrolli.
      Con legno legno spranga mai non cinse
      forte così; ond' ei come due becchi
      cozzaro insieme, tanta ira li vinse.
      E un ch'avea perduti ambo li orecchi
      per la freddura, pur col viso in giùe,
      disse: «Perché cotanto in noi ti specchi?
      Se vuoi saper chi son cotesti due,
      la valle onde Bisenzo si dichina
      del padre loro Alberto e di lor fue.
      D'un corpo usciro; e tutta la Caina
      potrai cercare, e non troverai ombra
      degna più d'esser fitta in gelatina:
      non quelli a cui fu rotto il petto e l'ombra
      con esso un colpo per la man d'Artù;
      non Focaccia; non questi che m'ingombra
      col capo sì, ch'i' non veggio oltre più,
      e fu nomato Sassol Mascheroni;
      se tosco se', ben sai omai chi fu.
      E perché non mi metti in più sermoni,
      sappi ch'i' fu' il Camiscion de' Pazzi;
      e aspetto Carlin che mi scagioni».
      Poscia vid' io mille visi cagnazzi
      fatti per freddo; onde mi vien riprezzo,
      e verrà sempre, de' gelati guazzi.
      E mentre ch'andavamo inver' lo mezzo
      al quale ogne gravezza si rauna,
      e io tremava ne l'etterno rezzo;
      se voler fu o destino o fortuna,
      non so; ma, passeggiando tra le teste,
      forte percossi 'l piè nel viso ad una.
      Piangendo mi sgridò: «Perché mi peste?
      se tu non vieni a crescer la vendetta
      di Montaperti, perché mi moleste?».
      E io: «Maestro mio, or qui m'aspetta,
      sì ch'io esca d'un dubbio per costui;
      poi mi farai, quantunque vorrai, fretta».
      Lo duca stette, e io dissi a colui
      che bestemmiava duramente ancora:
      «Qual se' tu che così rampogni altrui?».
      «Or tu chi se' che vai per l'Antenora,
      percotendo», rispuose, «altrui le gote,
      sì che, se fossi vivo, troppo fora?».
      «Vivo son io, e caro esser ti puote»,
      fu mia risposta, «se dimandi fama,
      ch'io metta il nome tuo tra l'altre note».
      Ed elli a me: «Del contrario ho io brama.
      Lèvati quinci e non mi dar più lagna,
      ché mal sai lusingar per questa lama!».
      Allor lo presi per la cuticagna
      e dissi: «El converrà che tu ti nomi,
      o che capel qui sù non ti rimagna».
      Ond' elli a me: «Perché tu mi dischiomi,
      né ti dirò ch'io sia, né mosterrolti
      se mille fiate in sul capo mi tomi».
      Io avea già i capelli in mano avvolti,
      e tratti glien' avea più d'una ciocca,
      latrando lui con li occhi in giù raccolti,
      quando un altro gridò: «Che hai tu, Bocca?
      non ti basta sonar con le mascelle,
      se tu non latri? qual diavol ti tocca?».
      «Omai», diss' io, «non vo' che più favelle,
      malvagio traditor; ch'a la tua onta
      io porterò di te vere novelle».
      «Va via», rispuose, «e ciò che tu vuoi conta;
      ma non tacer, se tu di qua entro eschi,
      di quel ch'ebbe or così la lingua pronta.
      El piange qui l'argento de' Franceschi:
      "Io vidi", potrai dir, "quel da Duera
      là dove i peccatori stanno freschi".
      Se fossi domandato "Altri chi v'era?",
      tu hai dallato quel di Beccheria
      di cui segò Fiorenza la gorgiera.
      Gianni de' Soldanier credo che sia
      più là con Ganellone e Tebaldello,
      ch'aprì Faenza quando si dormia».
      Noi eravam partiti già da ello,
      ch'io vidi due ghiacciati in una buca,
      sì che l'un capo a l'altro era cappello;
      e come 'l pan per fame si manduca,
      così 'l sovran li denti a l'altro pose
      là 've 'l cervel s'aggiugne con la nuca:
      non altrimenti Tidëo si rose
      le tempie a Menalippo per disdegno,
      che quei faceva il teschio e l'altre cose.
      «O tu che mostri per sì bestial segno
      odio sovra colui che tu ti mangi,
      dimmi 'l perché», diss' io, «per tal convegno,
      che se tu a ragion di lui ti piangi,
      sappiendo chi voi siete e la sua pecca,
      nel mondo suso ancora io te ne cangi,
      se quella con ch'io parlo non si secca
      »





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      147


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      o un ciego soñando
      y en ese vuelo y en ese sueño
      compartir contigo sol y luna,
      siendo guardián en tu cielo
      y tren de tus ilusiones."
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      Dante Alighieri (1265-1321) - Página 3 Empty Re: Dante Alighieri (1265-1321)

      Mensaje por Maria Lua Mar 04 Jul 2023, 08:44

      CANTO TRIGESIMOSEGUNDO

      CIRCULO NONO: TRAICIÓN

      ARO PRIMERO:

      CAINA: TRAIDORES A LOS PARIENTES
      MARGONA. PAZZI
      ARO SEGUNDO:
      ANTENORIA: TRAIDORES A LA PATRIA
      DEGLI ABATÍ, DA BUERA, UGOLINO Y RUGGKIlí


      Invocación a las vírgenes que ayudaron a Anfión a levantar los muros
      de Tebas. La raza maldita de los traidores. Entrada de los dos
      poetas al noveno y último círculo. Dante pisa en l a obscuridad
      con su pesado cuerpo de hombre vivo, las sombras de los condenados que se queja». Kl lago helado donde son atormentados los
      traidores enterrados desde el cuello hasta los pies. La Antenoria,
      una de las cuatro comparticiones del noveno círculo, que son la
      Caína, la, Judaeca, la Antenoria y la Tolomea. Suplicio y enumeración de los traidores a la patria, que penan en el hielo. Al en-
      ' ' * i la región Tolomea, Dante ve asomar dos cabezas sobre el
      hielo, una de las cuales devora la otra .



      Si tuviese una rima áspera y bronca,
      como a este triste foso convendría,
      que sustenta las rocas con que entronca, a
      yo el jugo de mi mente exprimiría
      mas plenamente; pero no me alabo,
      Pues con temor doy suelta a mi osadía. 6
      Empresa,fácil no es, llevar a cabo
      lo más hondo explicar del universo,
      ni es de lengua que aun dice mamma y babbo. „
      Ayuda, como Anfión, pide mi verso,
      a las donas de Tebas fundadoras.
      ¡ No sea el hecho y el decir diverso!
      Plebe vil, entre razas malhechoras,
      ¡ mejor que ser de lo que hablar es duro,
      fuerais cabras y ovejas baladoras!
      Así que entramos en el pozo oscuro,
      a los pies del gigante desdoblado,
      miré la altura del soberbio muro.
      Clamó una voz quejosa: «¡Ay! ¡ten cuidado!
      ¡Y no maltrates con tu planta impía,
      la frente de un hermano desdichado!»
      Volví los ojos do la voz salía,
      y un lago vi, que convertido en hielo,
      más que de agua, de vidrio parecía.
      Nunca en invierno, más espeso velo
      cubrió en Austria el Danubio congelado,
      ni vio el Tañáis bajo su frío cielo,
      como el que vi, que a haberse derrumbado
      sobre él Apuana y Tabernieh unidos,
      sus orillas ni un ¡cricch! hubieran dado.
      Como la rana lanza sus graznidos
      con el hocico fuera, cuando sueña
      la espigadera frutos más crecidos;
      lívidas, de vergüenza el rostro enseña
      yacen las sombras en el lago helado,
      batiendo el diente a modo de cigüeña.
      Su rostro hacia los suelos inclinado,
      su boca fría y su mirar transido,
      dan testimonio de su triste estado.
      Cuando la vista en torno hube corrido,
      miré a mis pies, y vi dos condenados
      el pelo de uno y otro confundido. 42
      «¿Quiénes sois los de pechos apretados!»
      pregunto, y ellos alzan sus semblantes,
      y a mí tuercen los cuellos doblegados. I6
      En sus ojos, que blandos ei*an antes,
      al asomar la lágrima se cuaja,
      y se cierran, de hielo semejantes. 4g
      Cual leño a leño ciñe férrea faja,
      así los dos, revueltas sus guedejas,
      cual cabras topan con la frente baja. S1
      Uno de ellos, perdidas las orejas
      por el frío, pregunta, el rostro yerto:
      «¿Por qué en nosotros tu mirada espejas? ,4
      «Quiénes son esos dos, sabrás de cierto:
      donde Bisenzio su corriente inclina,
      fueron señores con su padre Alberto. 37
      «Hijos son de una madre; en la Caína
      que ora atraviesas, no hay sombra malvada
      que más merezca estar en gelatina; s0
      «ni el que Arturo rompió de una lanzada,
      cuerpo y sombra de un golpe traspasado,
      ni Focaccio, ni esa otra condenada 03
      cuya testa mi vista ha interceptado,
      y Sassol Mascheroni se llamaba:
      si eres toscano, ya te lo he mentado. 80
      «Pocas palabras, y el sermón acaba.
      Fui Camición de Pazzi, y aquí espío
      a Carlín, que descargue mi alma prava.» 69
      Después, amoratados por el frío
      vi rostros mil, que aun miro tiritando,
      presente siempre aquel helado río;
      y mientras vamos hacia el pozo andando,
      donde el peso del mundo se coaduna,
      y entre el eterno frío iba temblando,
      no sé, si por destino o por fortuna,
      marchando entre cabezas condenadas,
      golpeó mi pie con el semblante a una,
      que llorando gritó: «Si tus pisadas
      no son de Mont' Aperti la venganza,
      ¿por qué así me maltratan despiadadas!»
      Dije al maestro: «Para nuestra andanza;
      quiero salir de dudas, que en seguida
      haré cuanto me dicte tu templanza.»
      Paróse el guía, y dije a la dolida
      sombra, que horrible blasfemaba ora:
      «¿Quién eres tú de boca maldecida!»
      «¿Y tú quien?», replicó, «que en la Antenora
      golpeando vas los rostros duramente,
      cual un vivo, con planta pesadora?»
      Y respondí: «ir
      o soy un ser viviente,
      y si grata te puede ser la fama,
      quizás tu nombre entre los otros cuente.»
      «¡Por lo contrario mi miseria clama!»
      replicó, «y eres tú mal lisonjero
      al aumentar mi pena en esta lama.»
      Así el cabello de aquel ser tan fiero,
      diciéndole: «Tu' nombre me confiesa,
      o te pelo y repelo todo entero.»
      «Puedes,» dice, «pelarme con franqueza;
      no te diré mi nombre, y te lo juro,
      aunque estrujes mil veces mi cabeza.»
      De una mecha bien firme le aseguro,
      y empezaba a pelarle ya la coca,
      en tanto que él ladraba su conjuro.
      Mas uno grita: «¿ Qué te pasa, Bocea ?
      ¿No te basta que suene tu quijada,
      que aun ladras? ¿Qué demonio el que te aloca?»
      «Ora, tu confesión es excusada,
      traidor» le dije, «queda con tu afrenta;
      de tí daré noticia no falseada.»
      «Vete,» repuso, «y lo que quieras cuenta,
      mas no olvides decir, que al lado mora
      el que su lengua puso a retroventa,
      «y aun el dinero del francés deplora.
      Llorar he visto a Buoso de Duara,
      do helada está la turba pecadora.
      «Y si alguno por otro demandara,
      a Becchería tienes a tu lado.
      a quien Florencia el cuello le segara.
      «Soldanier más allá, creo enterrado,
      con Ganello, y Tribaldo, traicionero
      que entregara a Paenza al sueño dado.»
      Más lejos vimos, en glacial ahujero,
      de dos sombras heladas la cabeza,
      que la una de la otra era sombrero.
      Como el hambriento muerde el pan apriesa,
      así hundía su diente un condenado
      en la nuca del otro que era presa.
      Cual Tideo, de rabia trasportado
      de Menalipo devoró la frente,
      así roía el cráneo descarnado.
      «¡Oh!, tú,» le dije, «que con fiero diente
      muerdes una cabeza ya reseca,
      ¿cuál es el odio que tu pecho siente?
      «Si no es bestialidad la que te obceca,
      di quién eres. ¿Por qué tan iracundo?
      Si la lengua con que hablo no se seca,
      la razón que tú tengas diré al mundo.»





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      244


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      y en ese vuelo y en ese sueño
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      Mensaje por Maria Lua Vie 07 Jul 2023, 14:36

      CANTO XXXIII


      ]Canto XXXIII, ove tratta di quelli che tradirono coloro che in
      loro tutto si fidavano, e coloro da cui erano stati promossi a
      dignità e grande stato; e riprende qui i Pisani e i Genovesi.]


      La bocca sollevò dal fiero pasto
      quel peccator, forbendola a' capelli
      del capo ch'elli avea di retro guasto.
      Poi cominciò: «Tu vuo' ch'io rinovelli
      disperato dolor che 'l cor mi preme
      già pur pensando, pria ch'io ne favelli.
      Ma se le mie parole esser dien seme
      che frutti infamia al traditor ch'i' rodo,
      parlar e lagrimar vedrai insieme.
      Io non so chi tu se' né per che modo
      venuto se' qua giù; ma fiorentino
      mi sembri veramente quand' io t'odo.
      Tu dei saper ch'i' fui conte Ugolino,
      e questi è l'arcivescovo Ruggieri:
      or ti dirò perché i son tal vicino.
      Che per l'effetto de' suo' mai pensieri,
      fidandomi di lui, io fossi preso
      e poscia morto, dir non è mestieri;
      però quel che non puoi avere inteso,
      cioè come la morte mia fu cruda,
      udirai, e saprai s'e' m'ha offeso.
      Breve pertugio dentro da la Muda,
      la qual per me ha 'l titol de la fame,
      e che conviene ancor ch'altrui si chiuda,
      m'avea mostrato per lo suo forame
      più lune già, quand' io feci 'l mal sonno
      che del futuro mi squarciò 'l velame.
      Questi pareva a me maestro e donno,
      cacciando il lupo e ' lupicini al monte
      per che i Pisan veder Lucca non ponno.
      Con cagne magre, studïose e conte
      Gualandi con Sismondi e con Lanfranchi
      s'avea messi dinanzi da la fronte.
      In picciol corso mi parieno stanchi
      lo padre e ' figli, e con l'agute scane
      mi parea lor veder fender li fianchi.
      Quando fui desto innanzi la dimane,
      pianger senti' fra 'l sonno i miei figliuoli
      ch'eran con meco, e dimandar del pane.
      Ben se' crudel, se tu già non ti duoli
      pensando ciò che 'l mio cor s'annunziava;
      e se non piangi, di che pianger suoli?
      Già eran desti, e l'ora s'appressava
      che 'l cibo ne solëa essere addotto,
      e per suo sogno ciascun dubitava;
      e io senti' chiavar l'uscio di sotto
      a l'orribile torre; ond' io guardai
      nel viso a' mie' figliuoi sanza far motto.
      Io non piangëa, sì dentro impetrai:
      piangevan elli; e Anselmuccio mio
      disse: "Tu guardi sì, padre! che hai?".
      Perciò non lagrimai né rispuos' io
      tutto quel giorno né la notte appresso,
      infin che l'altro sol nel mondo uscìo.
      Come un poco di raggio si fu messo
      nel doloroso carcere, e io scorsi
      per quattro visi il mio aspetto stesso,
      ambo le man per lo dolor mi morsi;
      ed ei, pensando ch'io 'l fessi per voglia
      di manicar, di sùbito levorsi
      e disser: "Padre, assai ci fia men doglia
      se tu mangi di noi: tu ne vestisti
      queste misere carni, e tu le spoglia".
      Queta'mi allor per non farli più tristi;
      lo dì e l'altro stemmo tutti muti;
      ahi dura terra, perché non t'apristi?
      Poscia che fummo al quarto dì venuti,
      Gaddo mi si gittò disteso a' piedi,
      dicendo: "Padre mio, ché non m'aiuti?".
      Quivi morì; e come tu mi vedi,
      vid' io cascar li tre ad uno ad uno
      tra 'l quinto dì e 'l sesto; ond' io mi diedi,
      già cieco, a brancolar sovra ciascuno,
      e due dì li chiamai, poi che fur morti.
      Poscia, più che 'l dolor, poté 'l digiuno».
      Quand' ebbe detto ciò, con li occhi torti
      riprese 'l teschio misero co' denti,
      che furo a l'osso, come d'un can, forti.
      Ahi Pisa, vituperio de le genti
      del bel paese là dove 'l sì suona,
      poi che i vicini a te punir son lenti,
      muovasi la Capraia e la Gorgona,
      e faccian siepe ad Arno in su la foce,
      sì ch'elli annieghi in te ogne persona!
      Che se 'l conte Ugolino aveva voce
      d'aver tradita te de le castella,
      non dovei tu i figliuoi porre a tal croce.
      Innocenti facea l'età novella,
      novella Tebe, Uguiccione e 'l Brigata
      e li altri due che 'l canto suso appella.
      Noi passammo oltre, là 've la gelata
      ruvidamente un'altra gente fascia,
      non volta in giù, ma tutta riversata.
      Lo pianto stesso lì pianger non lascia,
      e 'l duol che truova in su li occhi rintoppo,
      si volge in entro a far crescer l'ambascia;
      ché le lagrime prime fanno groppo,
      e sì come visiere di cristallo,
      rïempion sotto 'l ciglio tutto il coppo.
      E avvegna che, sì come d'un callo,
      per la freddura ciascun sentimento
      cessato avesse del mio viso stallo,
      già mi parea sentire alquanto vento;
      per ch'io: «Maestro mio, questo chi move?
      non è qua giù ogne vapore spento?».
      Ond' elli a me: «Avaccio sarai dove
      di ciò ti farà l'occhio la risposta,
      veggendo la cagion che 'l fiato piove».
      E un de' tristi de la fredda crosta
      gridò a noi: «O anime crudeli
      tanto che data v'è l'ultima posta,
      levatemi dal viso i duri veli,
      sì ch'ïo sfoghi 'l duol che 'l cor m'impregna,
      un poco, pria che 'l pianto si raggeli».
      Per ch'io a lui: «Se vuo' ch'i' ti sovvegna,
      dimmi chi se', e s'io non ti disbrigo,
      al fondo de la ghiaccia ir mi convegna».
      Rispuose adunque: «I' son frate Alberigo;
      i' son quel da le frutta del mal orto,
      che qui riprendo dattero per figo».
      «Oh», diss' io lui, «or se' tu ancor morto?».
      Ed elli a me: «Come 'l mio corpo stea
      nel mondo sù, nulla scïenza porto.
      Cotal vantaggio ha questa Tolomea,
      che spesse volte l'anima ci cade
      innanzi ch'Atropòs mossa le dea.
      E perché tu più volentier mi rade
      le 'nvetrïate lagrime dal volto,
      sappie che, tosto che l'anima trade
      come fec' ïo, il corpo suo l'è tolto
      da un demonio, che poscia il governa
      mentre che 'l tempo suo tutto sia vòlto.
      Ella ruina in sì fatta cisterna;
      e forse pare ancor lo corpo suso
      de l'ombra che di qua dietro mi verna.
      Tu 'l dei saper, se tu vien pur mo giuso:
      elli è ser Branca Doria, e son più anni
      poscia passati ch'el fu sì racchiuso».
      «Io credo», diss' io lui, «che tu m'inganni;
      ché Branca Doria non morì unquanche,
      e mangia e bee e dorme e veste panni».
      «Nel fosso sù», diss' el, «de' Malebranche,
      là dove bolle la tenace pece,
      non era ancora giunto Michel Zanche,
      che questi lasciò il diavolo in sua vece
      nel corpo suo, ed un suo prossimano
      che 'l tradimento insieme con lui fece.
      Ma distendi oggimai in qua la mano;
      aprimi li occhi». E io non gliel' apersi;
      e cortesia fu lui esser villano.
      Ahi Genovesi, uomini diversi
      d'ogne costume e pien d'ogne magagna,
      perché non siete voi del mondo spersi?
      Ché col peggiore spirto di Romagna
      trovai di voi un tal, che per sua opra
      in anima in Cocito già si bagna,
      e in corpo par vivo ancor di sopra.




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      152


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      y en ese vuelo y en ese sueño
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      Dante Alighieri (1265-1321) - Página 3 Empty Re: Dante Alighieri (1265-1321)

      Mensaje por Maria Lua Sáb 08 Jul 2023, 13:50

      CANTO TRIGES1MOTERCERO


      CIRCULO NONO: TRAICIÓN
      ARO SEGUNDO:
      ANTENORIA: TRAIDORES A LA PATRIA
      MUERTE DE HUGOIJNO, CONTRA PISA
      ARO TERCERO:
      TOLOMEA: TRAIDORES A SUS COMENSALES
      ALBERIGO, CONTRA LOS GENOVESES
      upolino narra su emparedamiento en la torre de Pisa, juntamente
      ™n sus cuatro hijos. Su sueño fatídico. La agonía de sus hijos,
      y su muerte por hambre. Hugolino sobrevive a sus hijos, y ciego,
      desatentado, puede en él más el hambre que los sentimientos naturales. Imprecación del poeta contra Pisa . La regi&n de la Tolomea
      donde sufren tormentos otros traidores políticos. Fray Alberigo Mainfredi. Branca D'Oria. Anticipación de l a pena a las demás almas
      de los traidores, cuyo cuerpo permanece todavía en la tierra .


      La boca levantó del fiero pasto.
      el pecador, limpiándola en el pelo
      del cráneo, por detrás ya casi guasto. ¡¡
      i comenzó.- «¡Quieres renueve el duelo,
      que el corazón, impío me atormenta,
      y antes de hablar, me oprime sin consuelo! e
      «Mas, si al traidor que muerdo, cría afrenta
      mi palabra cual germen encarnado,
      hablaré como el que habla y se lamenta. 9
      «No sé quién eres, ni cómo has bajado;
      mas por, tu acento, tú eres florentino;
      y lo pienso, después que te he escuchado.
      «Saber debes fui el conde de Hugolino,
      y éste fué el arzobispo de Ruggiero:
      ahora sabrás por qué soy su vecino.
      «Por los amaños de su genio artero
      confíeme de él, y a muerte condenado,
      bien se sabe, fui, triste prisionero.
      «Mas no- sabes el modo despiadado
      que hizo la muerte para mí más cruda:
      oye, y sabrás como yo fui agraviado.
      «Una estrecha ventana de La Muda,
      que es hoy torre del hambre, y todavía
      a otro afligido encerrará sin duda,
      «más de una luna ya mostrado había,
      cuando en sueños miré correrse el velo
      que el futuro a mis ojos escondía;
      «y a éste vi, cual señor con crudo anhelo
      cazar lobo y lobeznos, en montaña
      que de Luca y de Pisa parte el suelo.
      «Con perras flacas, dadas a esta maña,
      los Gualando, Sismondis y Lanfranco,
      corrían tras sus huellas la campaña.
      «En corto trecho, con. cansado tranco,
      soñé, que a hijos y padre devoraban
      las perras, con su diente hendiendo el flanco.
      «Al despertar, mis hijos allí estaban,
      y los sentí en sueños más crueles,
      que me pedían pan, y que lloraban.
      «¡Serás muy cruel si de mi mal no dueles,
      pensando en lo que el alma me anunciaba!
      Si no lloras, ¿de qué llorar tú sueles?
      «Despiertos ya mis hijos, se acercaba
      la hora del alimento acostumbrado,
      y aun soñando, cada uno vacilaba.
      «Sentí clavar la puerta: sepultado
      quedé en la horrible torre, y vi maltrecho
      el rostro de mis hijos; y callado,
      «¡ yo no lloraba, empedernido el pecho!
      ellos lloraban, y Anselmuccio dijo:
      ¡Cómo me miras, padre! ¿Qué te han hecho?
      «Ni lloré entonces, ni repuse a mi hijo;
      toda aquel día y en la noche, opreso,
      basta que al mundo un nuevo sol bendijo.
      «; Débil rayo de luz, el aire espeso
      bañó de la prisión, y estremecido,
      vi en cuatro rostros mi semblante impreso!
      «Mordíme las dos manos dolorido,
      y mis hijos, pensando que me embiste
      hambre voraz, prorrumpen en quejido:
      «•¡Será para nosotros menos triste


      Última edición por Maria Lua el Mar 11 Jul 2023, 08:41, editado 1 vez


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      "Ser como un verso volando
      o un ciego soñando
      y en ese vuelo y en ese sueño
      compartir contigo sol y luna,
      siendo guardián en tu cielo
      y tren de tus ilusiones."
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      Mensaje por Maria Lua Mar 11 Jul 2023, 08:27

      CANTO XXXIV


      [Canto XXXIV e ultimo de la prima cantica di Dante Alleghieri
      di Fiorenza, nel qual canto tratta di Belzebù principe de' dimoni e
      de' traditori di loro signori, e narra come uscie de l'inferno.]



      «Vexilla regis prodeunt inferni
      verso di noi; però dinanzi mira»,
      disse 'l maestro mio, «se tu 'l discerni».
      Come quando una grossa nebbia spira,
      o quando l'emisperio nostro annotta,
      par di lungi un molin che 'l vento gira,
      veder mi parve un tal dificio allotta;
      poi per lo vento mi ristrinsi retro
      al duca mio, ché non lì era altra grotta.
      Già era, e con paura il metto in metro,
      là dove l'ombre tutte eran coperte,
      e trasparien come festuca in vetro.
      Altre sono a giacere; altre stanno erte,
      quella col capo e quella con le piante;
      altra, com' arco, il volto a' piè rinverte.
      Quando noi fummo fatti tanto avante,
      ch'al mio maestro piacque di mostrarmi
      la creatura ch'ebbe il bel sembiante,
      d'innanzi mi si tolse e fé restarmi,
      «Ecco Dite», dicendo, «ed ecco il loco
      ove convien che di fortezza t'armi».
      Com' io divenni allor gelato e fioco,
      nol dimandar, lettor, ch'i' non lo scrivo,
      però ch'ogne parlar sarebbe poco.
      Io non mori' e non rimasi vivo;
      pensa oggimai per te, s'hai fior d'ingegno,
      qual io divenni, d'uno e d'altro privo.
      Lo 'mperador del doloroso regno
      da mezzo 'l petto uscia fuor de la ghiaccia;
      e più con un gigante io mi convegno,
      che i giganti non fan con le sue braccia:
      vedi oggimai quant' esser dee quel tutto
      ch'a così fatta parte si confaccia.
      S'el fu sì bel com' elli è ora brutto,
      e contra 'l suo fattore alzò le ciglia,
      ben dee da lui procedere ogne lutto.
      Oh quanto parve a me gran maraviglia
      quand' io vidi tre facce a la sua testa!
      L'una dinanzi, e quella era vermiglia;
      l'altr' eran due, che s'aggiugnieno a questa
      sovresso 'l mezzo di ciascuna spalla,
      e sé giugnieno al loco de la cresta:
      e la destra parea tra bianca e gialla;
      la sinistra a vedere era tal, quali
      vegnon di là onde 'l Nilo s'avvalla.
      Sotto ciascuna uscivan due grand' ali,
      quanto si convenia a tanto uccello:
      vele di mar non vid' io mai cotali.
      Non avean penne, ma di vispistrello
      era lor modo; e quelle svolazzava,
      sì che tre venti si movean da ello:
      quindi Cocito tutto s'aggelava.
      Con sei occhi piangëa, e per tre menti
      gocciava 'l pianto e sanguinosa bava.
      Da ogne bocca dirompea co' denti
      un peccatore, a guisa di maciulla,
      sì che tre ne facea così dolenti.
      A quel dinanzi il mordere era nulla
      verso 'l graffiar, che talvolta la schiena
      rimanea de la pelle tutta brulla.
      «Quell' anima là sù c'ha maggior pena»,
      disse 'l maestro, «è Giuda Scarïotto,
      che 'l capo ha dentro e fuor le gambe mena.
      De li altri due c'hanno il capo di sotto,
      quel che pende dal nero ceffo è Bruto:
      vedi come si storce, e non fa motto!;
      e l'altro è Cassio, che par sì membruto.
      Ma la notte risurge, e oramai
      è da partir, ché tutto avem veduto».
      Com' a lui piacque, il collo li avvinghiai;
      ed el prese di tempo e loco poste,
      e quando l'ali fuoro aperte assai,
      appigliò sé a le vellute coste;
      di vello in vello giù discese poscia
      tra 'l folto pelo e le gelate croste.
      Quando noi fummo là dove la coscia
      si volge, a punto in sul grosso de l'anche,
      lo duca, con fatica e con angoscia,
      volse la testa ov' elli avea le zanche,
      e aggrappossi al pel com' om che sale,
      sì che 'n inferno i' credea tornar anche.
      «Attienti ben, ché per cotali scale»,
      disse 'l maestro, ansando com' uom lasso,
      «conviensi dipartir da tanto male».
      Poi uscì fuor per lo fóro d'un sasso
      e puose me in su l'orlo a sedere;
      appresso porse a me l'accorto passo.
      Io levai li occhi e credetti vedere
      Lucifero com' io l'avea lasciato,
      e vidili le gambe in sù tenere;
      e s'io divenni allora travagliato,
      la gente grossa il pensi, che non vede
      qual è quel punto ch'io avea passato.
      «Lèvati sù», disse 'l maestro, «in piede:
      la via è lunga e 'l cammino è malvagio,
      e già il sole a mezza terza riede».
      Non era camminata di palagio
      là 'v' eravam, ma natural burella
      ch'avea mal suolo e di lume disagio.
      «Prima ch'io de l'abisso mi divella,
      maestro mio», diss' io quando fui dritto,
      «a trarmi d'erro un poco mi favella:
      ov' è la ghiaccia? e questi com' è fitto
      sì sottosopra? e come, in sì poc' ora,
      da sera a mane ha fatto il sol tragitto?».
      Ed elli a me: «Tu imagini ancora
      d'esser di là dal centro, ov' io mi presi
      al pel del vermo reo che 'l mondo fóra.
      Di là fosti cotanto quant' io scesi;
      quand' io mi volsi, tu passasti 'l punto
      al qual si traggon d'ogne parte i pesi.
      E se' or sotto l'emisperio giunto
      ch'è contraposto a quel che la gran secca
      coverchia, e sotto 'l cui colmo consunto
      fu l'uom che nacque e visse sanza pecca;
      tu haï i piedi in su picciola spera
      che l'altra faccia fa de la Giudecca.
      Qui è da man, quando di là è sera;
      e questi, che ne fé scala col pelo,
      fitto è ancora sì come prim' era.
      Da questa parte cadde giù dal cielo;
      e la terra, che pria di qua si sporse,
      per paura di lui fé del mar velo,
      e venne a l'emisperio nostro; e forse
      per fuggir lui lasciò qui loco vòto
      quella ch'appar di qua, e sù ricorse».
      Luogo è là giù da Belzebù remoto
      tanto quanto la tomba si distende,
      che non per vista, ma per suono è noto
      d'un ruscelletto che quivi discende
      per la buca d'un sasso, ch'elli ha roso,
      col corso ch'elli avvolge, e poco pende.
      Lo duca e io per quel cammino ascoso
      intrammo a ritornar nel chiaro mondo;
      e sanza cura aver d'alcun riposo,
      salimmo sù, el primo e io secondo,
      tanto ch'i' vidi de le cose belle
      che porta 'l ciel, per un pertugio tondo.
      E quindi uscimmo a riveder le stelle.




      [Explicit prima pars Comedie Dantis Alagherii
      Dantis Alagherii in qua tractatum est de Inferis]





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      o un ciego soñando
      y en ese vuelo y en ese sueño
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      Mensaje por Maria Lua Mar 11 Jul 2023, 08:36

      CANTO TRIGÉSIMO CUARTO

      CIRCULO NONO: TRAICIÓN

      ARO CUARTO:
      JÜDECA: TRAIDORES A SUS BENEFACTORES
      LÜCIFES
      BOCAS DE LUCIFER: TRAIDORES A LA MAGESTAD
      JUDAS, BRUTO, CASIO
      DEL CENTRO DEL MUNDO AL OTRO HEMISFERIO



      Cuarta y ultima esfera del círculo nono. Los traidores sumergidos
      en el hielo. El abismo de la Judea. Aparición de Lucifer. Bajada
      y subida de los dos poetas. El centro de atracción de la tierra.
      Salida a otro hemisferio. El rivcder de las estrellas.

      «El rey con las banderas del infierno
      esta cercano; mas primero mira,»
      dijo el guía, «si ves lo que discierno.»
      Como cuando entre nieblas se respira,
      o que¡ al anochecer la luz decrece,
      se ve un molino que a lo lejos gira,
      grande fábrica así ver me parece.
      Contra el viento que viene, busco abrigo.
      Y mi guía a su espalda me le ofrece.
      Estaba (en metro con temor lo digo)
      do las sombras se ven en transparencia,
      cual paja que el cristal lleva consigo; n
      donde entre el hielo sufren penitencia,
      de pie o cabeza, en arco contraído
      el cuerpo, pies y rostro en adherencia. „
      Siguiendo por mi guía conducido,
      hasta donde le plugo al fin mostrarme
      a la criatura de esplendor perdido, 18
      me detuvo, y atrás hizo quedarme,
      diciendo: «Mira a Dite; es el momento
      de que. tu pecho de energía se arme.» 21
      Como quedara helado y sin aliento,
      no preguntes, lector, ni yo lo escribo,
      pues que todo decir es vano intento. 2*
      No estaba muerto, mas no estaba vivo,
      y puede imaginarse un ingenioso,
      lo que es un semi-muerto y semi-vivo. 2r
      El que impera en el reino doloroso,
      está en el hielo, a medias soterrado;
      y más bien me igualara yo a un coloso, 3 o
      que un gigante a su brazo desdoblado.
      ¡ Cual sería de pies a la cabeza
      su gigantesco cuerpo levantado! 3a
      Si su fealdad iguala su belleza
      cuando contra el Criador alzó los ojos,
      ¡ razón hay de llorar en la tristeza! 3 o
      ¡Oh! ¡qué gran maravilla en sus despojos,
      cuando le vi tres caras en la testa!
      Una delante de colores rojos, 39
      y otras dos, ayuntadas con aquesta,
      que desde el medio de cada ancha espalda
      se reunían en lo alto de la cresta.
      La diestra, era entre blanca y entre gualda,
      y la izquierda, cual son tales y cuales,
      los que del Nilo nacen a su falda.
      Llevan las tres, dos alas colosales,
      cual de tamaño pájaro en el vuelo.
      ¡Jamás el viento infló velas iguales!
      Eran sin plumas, mas tenían pelo:
      ¡Murciélago infernal! ¡con que aventaba
      tres vientos varios de perenne hielo,
      con que el Cocito todo congelaba!
      por seis ojos y seis mejillas llora,
      y mezcla el llanto a sanguinosa baba.
      En cada boca un pecador devora,
      con sus colmillos, de espadilla a guisa:
      de un alma es cada boca torcedora.
      La del frente, algo menos martiriza,
      pero su garra, cual de acero dura,
      la piel hace pedazos triza a triza.
      «Aquel que sufre la mayor tortura,»
      dijo el maestro, «es Judas Iscariote,
      cabeza adentro y piernas en soltura.
      De esos cabeza abajo, en otro lote,
      el que penda del negro befo, es Bruto,
      que sufre sin que el labio queja brote.
      El otro es Caeio, fuerte como enjuto.
      Mas ya la noche viene y es la hora
      de la partida, en la mansión del luto.»
      Me abracé de mi sombra protectora,
      y al tentar Lucifer un nuevo vuelo,
      pisó el lomo con planta previsora: n
      y en seguida, pisando pelo y pelo,
      de vello en vello descendiendo fuimos,
      entre la helada costra y denso pelo. T5
      Cuando al anca del monstruo descendimos,
      en donde el muslo a compartirse empieza,
      en angustia, mi guía y yo nos vimos, 78
      él puso el pie do estaba su cabeza,
      y del pelo se asió, cual si volviera
      una vez más al antro más apriesa, 8i
      «¡ Guarda!,» dijo, «¡ que no hay más escalera!»
      como hombre que perdiese ya el aliento,
      «¡Partir conviene de mansión tan fiera!» 84
      Por peñasco horadado en su cimiento,
      salió, y al deponerme al otro lado,
      me dio la explicación del movimiento. 87
      Alcé los ojos, y quedé asombrado
      al ver arriba al infernal coloso
      que las piernas había trastornado. . 9o
      Cual yo quedé confuso y afanoso,
      puede pensarlo el vulgo que no entiende,
      como salí, del paso trabajoso. 93
      «¡De pie!», dijo el maestro, «que aun se extiende,
      en larga vía, el áspero camino,
      y ya a la media tercia el sol asciende.» 96
      No era, por cierto, un sitio palatino,
      aquel recinto, triste y desolado,
      sin luz, y el suelo duro y salvajino. 90
      «Al dejar el abismo condenado.»
      poniéndome de pie, dije a mi guía,
      «sácame del error que me ha turbado.
      «¿Dó está el hielo? ¿Cómo ese que se erguía,
      nos muestra su estatura trastornada?
      ¿Cómo la noche se convierte en día?»
      Y él a mí: «Tu cabeza preocupada,
      (.star piensa en el centro en que me viste
      asir el pelo del que al mundo horada.
      «Mientras que yo bajaba, allí estuviste,
      y al revolverme, descendiste, al punto
      que todo peso atrae de cuanto existe.
      «Ahora, de otro hemisferio te hallas junto,
      que es por la tierra santa cobijado,
      bajo de cuya cima fué consunto
      «EL que nació y viviera sin pecado:
      tienes los pies sobre la estrecha esfera
      que la,Judeca forma al otro lado:
      «quí amanece; allá la sombra impera;
      y este que por escala nos dio el pelo,
      está lo mismo que antes estuviera.
      «A esta parte cayó del alto cielo,
      y la tierra, al principio dilatada,
      con espanto, tendió del mar el v:lo,
      «y a este hemisferio vino arrebatada;
      y dejando vacío el centro roto
      aquí formó montaña levantada;
      «y abajo, allá, de Belzebut remoto,
      del largo de su tumba una rotura,
      que no S3 ve, más que cercana noto
      «por el son de arroyuelo que murmura,
      bajando lento con andar tortuoso,
      y en la roca ha cavado su abertura.»
      Entramos al camino tenebroso,
      para volver a ver el claro mundo,
      y sin cuidarnos de ningún reposo,
      subimos, él primero y yo segundo,
      basta del cielo ver las cosas bellas,
      por un resquicio de perfil rotundo,
      a contemplar de nuevo las estrellas.





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      256


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      Mensaje por Maria Lua Jue 13 Jul 2023, 08:17

      LA DIVINA COMMEDIA


      di Dante Alighieri


      PURGATORIO


      CANTO I



      [Comincia la seconda parte overo cantica de la Comedia di Dante
      Allaghieri di Firenze, ne la quale parte si purgano li commessi
      peccati e vizi de' quali l'uomo è confesso e pentuto con animo di
      sodisfazione; e contiene XXXIII canti. Qui sono quelli che
      sperano di venire quando che sia a le beate genti.]


      Per correr miglior acque alza le vele
      omai la navicella del mio ingegno,
      che lascia dietro a sé mar sì crudele;
      e canterò di quel secondo regno
      dove l'umano spirito si purga
      e di salire al ciel diventa degno.
      Ma qui la morta poesì resurga,
      o sante Muse, poi che vostro sono;
      e qui Calïopè alquanto surga,
      seguitando il mio canto con quel suono
      di cui le Piche misere sentiro
      lo colpo tal, che disperar perdono.
      Dolce color d'orïental zaffiro,
      che s'accoglieva nel sereno aspetto
      del mezzo, puro infino al primo giro,
      a li occhi miei ricominciò diletto,
      tosto ch'io usci' fuor de l'aura morta
      che m'avea contristati li occhi e 'l petto.
      Lo bel pianeto che d'amar conforta
      faceva tutto rider l'orïente,
      velando i Pesci ch'erano in sua scorta.
      I' mi volsi a man destra, e puosi mente
      a l'altro polo, e vidi quattro stelle
      non viste mai fuor ch'a la prima gente.
      Goder pareva 'l ciel di lor fiammelle:
      oh settentrïonal vedovo sito,
      poi che privato se' di mirar quelle!
      Com' io da loro sguardo fui partito,
      un poco me volgendo a l'altro polo,
      là onde 'l Carro già era sparito,
      vidi presso di me un veglio solo,
      degno di tanta reverenza in vista,
      che più non dee a padre alcun figliuolo.
      Lunga la barba e di pel bianco mista
      portava, a' suoi capelli simigliante,
      de' quai cadeva al petto doppia lista.
      Li raggi de le quattro luci sante
      fregiavan sì la sua faccia di lume,
      ch'i' 'l vedea come 'l sol fosse davante.
      «Chi siete voi che contro al cieco fiume
      fuggita avete la pregione etterna?»,
      diss' el, movendo quelle oneste piume.
      «Chi v'ha guidati, o che vi fu lucerna,
      uscendo fuor de la profonda notte
      che sempre nera fa la valle inferna?
      Son le leggi d'abisso così rotte?
      o è mutato in ciel novo consiglio,
      che, dannati, venite a le mie grotte?».
      Lo duca mio allor mi diè di piglio,
      e con parole e con mani e con cenni
      reverenti mi fé le gambe e 'l ciglio.
      Poscia rispuose lui: «Da me non venni:
      donna scese del ciel, per li cui prieghi
      de la mia compagnia costui sovvenni.
      Ma da ch'è tuo voler che più si spieghi
      di nostra condizion com' ell' è vera,
      esser non puote il mio che a te si nieghi.
      Questi non vide mai l'ultima sera;
      ma per la sua follia le fu sì presso,
      che molto poco tempo a volger era.
      Sì com' io dissi, fui mandato ad esso
      per lui campare; e non lì era altra via
      che questa per la quale i' mi son messo.
      Mostrata ho lui tutta la gente ria;
      e ora intendo mostrar quelli spirti
      che purgan sé sotto la tua balìa.
      Com' io l'ho tratto, saria lungo a dirti;
      de l'alto scende virtù che m'aiuta
      conducerlo a vederti e a udirti.
      Or ti piaccia gradir la sua venuta:
      libertà va cercando, ch'è sì cara,
      come sa chi per lei vita rifiuta.
      Tu 'l sai, ché non ti fu per lei amara
      in Utica la morte, ove lasciasti
      la vesta ch'al gran dì sarà sì chiara.
      Non son li editti etterni per noi guasti,
      ché questi vive e Minòs me non lega;
      ma son del cerchio ove son li occhi casti
      di Marzia tua, che 'n vista ancor ti priega,
      o santo petto, che per tua la tegni:
      per lo suo amore adunque a noi ti piega.
      Lasciane andar per li tuoi sette regni;
      grazie riporterò di te a lei,
      se d'esser mentovato là giù degni».
      «Marzïa piacque tanto a li occhi miei
      mentre ch'i' fu' di là», diss' elli allora,
      «che quante grazie volse da me, fei.
      Or che di là dal mal fiume dimora,
      più muover non mi può, per quella legge
      che fatta fu quando me n'usci' fora.
      Ma se donna del ciel ti move e regge,
      come tu di', non c'è mestier lusinghe:
      bastisi ben che per lei mi richegge.
      Va dunque, e fa che tu costui ricinghe
      d'un giunco schietto e che li lavi 'l viso,
      sì ch'ogne sucidume quindi stinghe;
      ché non si converria, l'occhio sorpriso
      d'alcuna nebbia, andar dinanzi al primo
      ministro, ch'è di quei di paradiso.
      Questa isoletta intorno ad imo ad imo,
      là giù colà dove la batte l'onda,
      porta di giunchi sovra 'l molle limo:
      null' altra pianta che facesse fronda
      o indurasse, vi puote aver vita,
      però ch'a le percosse non seconda.
      Poscia non sia di qua vostra reddita;
      lo sol vi mosterrà, che surge omai,
      prendere il monte a più lieve salita».
      Così sparì; e io sù mi levai
      sanza parlare, e tutto mi ritrassi
      al duca mio, e li occhi a lui drizzai.
      El cominciò: «Figliuol, segui i miei passi:
      volgianci in dietro, ché di qua dichina
      questa pianura a' suoi termini bassi».
      L'alba vinceva l'ora mattutina
      che fuggia innanzi, sì che di lontano
      conobbi il tremolar de la marina.
      Noi andavam per lo solingo piano
      com' om che torna a la perduta strada,
      che 'nfino ad essa li pare ire in vano.
      Quando noi fummo là 've la rugiada
      pugna col sole, per essere in parte
      dove, ad orezza, poco si dirada,
      ambo le mani in su l'erbetta sparte
      soavemente 'l mio maestro pose:
      ond' io, che fui accorto di sua arte,
      porsi ver' lui le guance lagrimose;
      ivi mi fece tutto discoverto
      quel color che l'inferno mi nascose.
      Venimmo poi in sul lito diserto,
      che mai non vide navicar sue acque
      omo, che di tornar sia poscia esperto.
      Quivi mi cinse sì com' altrui piacque:
      oh maraviglia! ché qual elli scelse
      l'umile pianta, cotal si rinacque
      subitamente là onde l'avelse.





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      162


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      "Ser como un verso volando
      o un ciego soñando
      y en ese vuelo y en ese sueño
      compartir contigo sol y luna,
      siendo guardián en tu cielo
      y tren de tus ilusiones."
      (Hánjel)





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      Mensaje por Maria Lua Jue 13 Jul 2023, 08:24


      EL PURGATORIO


      SEGUNDA PARTE


      1-9 INVOCACIÓN

      CANTO PRIMERO

      PROEMIO DEL PURGATORIO
      PEELUDIO E INVOCACIÓN, LA CÜATÜO ESTRELLAS, CATÓN
      GUARDIAN DEL PURGATORIO

      Alegoría preliminar. El poeta invoca a las Musas y llegan ambos al
      Pe de la montaña del purgatorio en el hemisftrio au:tral. Recobra
      aniruo a la venida de la aurora . Contempla las cuatro estrellas de
      las cuatro virtudes cardinales. Los poetas encuentran la sombra
      de Caten de Etica . Coloquio entre Virgilio y Catón, y elogio de
      éste. Catón instruye a Virgilio de lo que debe hacer para limpiar
      el color infernal del rostro del Dante . Los poetas descienden bacía
      'a playa de la isla del purgatorio y ven a la distancia el mar. VirSdio
      lava el rostro del Dante con el roclo del purgatorio, y le ciñe
      '¡n junco marino, símbolo de humildad y de docilidad. El retoñe
      de ios juncos.

      Por correr mejor mar, alza la vela
      la navecilla de mi ingenio errante,
      que deja tras de sí tan cruel procela. s
      Canto el segundo reino, en que anhelante
      se purifica el alma humana, en vía
      de alzarse digna al cielo bienandante. „
      Ivosurja aquí la muerta poesía,
      ¡ Oh, santas Musas que me dais confianza!
      ¡Alce Caliope un tanto su armonía, 9
      y acompañe mi canto la pujanza,
      con que¡ de nueve Urracas el respiro,
      . ahogó, de remisión, sin esperanza! 12
      Dulce color del oriental zafiro
      que en el sereno espacio difundía
      el éter, hasta el fin del primer giro, l5
      de nuevo deleitó la vista mía,
      fuera del aura muerta y sus dolores,
      que ojos y pecho contristado había. 1S
      Bello planeta que conforta amores
      hacía sonreír todo el oriente,
      velando en luz los Peces precursores. ^i
      Volvíme a diestra mano, y puse mente
      al otro polo, y vide cuatro estrellas
      que sólo vio la primitiva gente. u
      Parecía gozarse el cielo en ellas.
      ¡ Oh viudo seteintrión entristecido,
      que estás privado de mirar aquellas! 2r
      Cuando su luz de vista hube perdido,
      volvíme un poco hacia el opuesto polo
      donde el Carro se había sumergido, so
      y cerca, vi de mí un anciano solo,
      que al verle, reverencia era debida,
      cual la que el hijo al padre da tan solo. 33
      Larga barba, algún tanto emblanquecida,
      llevaba, y cabellera semejante,
      en trenzas sobre el pecho repartida. 30
      Las santas luces de esplendor radiante
      alumbraban su rostro con su fuego,
      como si el sol tuviera por delante. 39
      «¿Quiénes sois, que subiendo el río ciego,
      salido habéis de la prisión eterna?»
      dijo, y la noble barba movió luego;
      y siguió: «i Quién os guía ? ¿ qué lucerna
      os alumbró en la noche que allá enluta
      el valle siempre negro en que se inferna ?
      «Del hondo abismo ¿qué su ley inmutaf
      ¿o ha revocado el cielo su decreto,
      que, malditos, venís hasta mi gruta?»
      Mi guía entonces me cogió discreto,
      y con señas, con voces, y con mano,
      me hizo de hinojos tributar respeto.
      Y luego respondió: «Virtuoso anciano,
      yo no vengo por mí; mujer del cielo
      me ha pedido que acorra a un ser humano.
      «Si el saber quiénes somos es tu anhelo,
      lo diré con palabra verdadera,
      que al decirlo, de tí nada recelo.
      «Este que ves, no vio noche postrera;
      por su demencia se encontró afligido,
      tanto, que en su camino se perdiera,
      «si en su auxilio no hubiese yo acudido;
      y como no hay más vía en la jornada
      que la seguida, por aquí he venido.
      «Le he mostrado la gente condenada,
      y mostrar los espíritus pretendo
      que purgan bajo tí, su alma manchada.
      «Largo es, cómo, decir, y no me extiendo:
      de arriba baja la virtud que ayuda
      para verte y oírte conduciendo.
      «Que tu valer en su favor acuda:
      busca la libertad, que sabe cara,
      quien por ella de vida se desnuda.
      «Lo sabes tú, que amarga no encontrara
      en Utica la muerte, en que has dejado
      la carne, que el gran día hará preclara.
      «Ningún decreto eterno hemos violado:
      este es un vivo, y Minos no me manda.
      Donde los castos ojos me han mirado,
      «de Marzia, estoy, y aun te demanda,
      gran corazón, la tengas por esposa.
      Acoge por su amor nuestra demanda.
      «Déjanos ir por tu región piadosa,
      de siete reinos; que éste, agradecido,
      de tí en la tierra hará mención honrosa.»
      «Marzia», dijo, «a¡ mis ojos grata ha sido,
      mientras viví en el mundo en otra hora,
      y consiguió de mí cuanto ha querido;
      «Si más allá del Aqueronte mora,
      yo aparte estoy del mal, por ley dictada,
      cuando salí del limbo en buena hora.
      «Mas si te guía Bienaventurada,
      como lo dices, ella te asegura,
      que tu demanda sea propiciada.
      «Anda, y ciñe de un junco la cintura
      de ese mortal, y lava su semblante,
      para quitarle toda mancha impura.
      «No es bueno se presente así delante,
      con sombras que sorprendan la mirada,
      del que es del paraíso el anunciante.
      «En torno de esta islilla, a la bajada,
      por el costado que la bate la honda,
      el junco crece, en playa empantanada:
      «Ninguna planta que produzca fronda
      o pueda endurecerse, tiene vida,
      cuando inflexible a percusión responda.
      «No renovéis la senda recorrida:
      el sol que nace os mostrará el camino,
      y de este monte la mejor subida.»
      Y desapareció, y acto eontino,
      miré en silencio, de mi guía al lado,
      escrutando en sus ojos mi destino.
      «Mis pases», díjome, «sigue, hijo amado:
      volvamos hacia atrás, que aquí declina
      esta llanura que hemos contorneado.»
      El alba vence la hora matutina,
      que huye delante de ella, y aun lejano
      percibo el tremolar de la marina.
      Seguimos solitarios por el llano,
      como quien busca la perdida estrada,
      y mientras tanto, todo es tiempo vano.
      Al llegar a la parte resguardada,
      que pugna con el sol, donde el rocío
      no evapora la luz de la alborada,
      ambas manos impuso el maestro mío
      sobre la húmeda yerba, blandamente;
      y yo que penetré su intento pío,
      "lis mejillas tendíle prontamente,
      en llanto humedecidas; y borrado
      el infernal color quedó en mi frente.
      Llegamos hasta el borde desolado,
      donde mortal que al mundo retornara
      en sus aguas jamás lia navegado.
      Y como el buen anciano aconsejara,
      me ciñó la cintura con un junco;
      y ¡oh maravilla! al punto retoñara
      la humilde planta, de su gajo trunco.




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      Mensaje por Maria Lua Lun 17 Jul 2023, 12:30

      CANTO II



      [Canto secondo, nel quale tratta de la prima qualitade cioè
      dilettazione di vanitade, nel quale peccato inviluppati sono puniti
      proprio fuori del purgatorio in uno piano, e in persona di costoro
      nomina il Casella, uomo di corte.]



      Già era 'l sole a l'orizzonte giunto
      lo cui meridïan cerchio coverchia
      Ierusalèm col suo più alto punto;
      e la notte, che opposita a lui cerchia,
      uscia di Gange fuor con le Bilance,
      che le caggion di man quando soverchia;
      sì che le bianche e le vermiglie guance,
      là dov' i' era, de la bella Aurora
      per troppa etate divenivan rance.
      Noi eravam lunghesso mare ancora,
      come gente che pensa a suo cammino,
      che va col cuore e col corpo dimora.
      Ed ecco, qual, sorpreso dal mattino,
      per li grossi vapor Marte rosseggia
      giù nel ponente sovra 'l suol marino,
      cotal m'apparve, s'io ancor lo veggia,
      un lume per lo mar venir sì ratto,
      che 'l muover suo nessun volar pareggia.
      Dal qual com' io un poco ebbi ritratto
      l'occhio per domandar lo duca mio,
      rividil più lucente e maggior fatto.
      Poi d'ogne lato ad esso m'appario
      un non sapeva che bianco, e di sotto
      a poco a poco un altro a lui uscìo.
      Lo mio maestro ancor non facea motto,
      mentre che i primi bianchi apparver ali;
      allor che ben conobbe il galeotto,
      gridò: «Fa, fa che le ginocchia cali.
      Ecco l'angel di Dio: piega le mani;
      omai vedrai di sì fatti officiali.
      Vedi che sdegna li argomenti umani,
      sì che remo non vuol, né altro velo
      che l'ali sue, tra liti sì lontani.
      Vedi come l'ha dritte verso 'l cielo,
      trattando l'aere con l'etterne penne,
      che non si mutan come mortal pelo».
      Poi, come più e più verso noi venne
      l'uccel divino, più chiaro appariva:
      per che l'occhio da presso nol sostenne,
      ma chinail giuso; e quei sen venne a riva
      con un vasello snelletto e leggero,
      tanto che l'acqua nulla ne 'nghiottiva.
      Da poppa stava il celestial nocchiero,
      tal che faria beato pur descripto;
      e più di cento spirti entro sediero.
      'In exitu Isräel de Aegypto'
      cantavan tutti insieme ad una voce
      con quanto di quel salmo è poscia scripto.
      Poi fece il segno lor di santa croce;
      ond' ei si gittar tutti in su la piaggia:
      ed el sen gì, come venne, veloce.
      La turba che rimase lì, selvaggia
      parea del loco, rimirando intorno
      come colui che nove cose assaggia.
      Da tutte parti saettava il giorno
      lo sol, ch'avea con le saette conte
      di mezzo 'l ciel cacciato Capricorno,
      quando la nova gente alzò la fronte
      ver' noi, dicendo a noi: «Se voi sapete,
      mostratene la via di gire al monte».
      E Virgilio rispuose: «Voi credete
      forse che siamo esperti d'esto loco;
      ma noi siam peregrin come voi siete.
      Dianzi venimmo, innanzi a voi un poco,
      per altra via, che fu sì aspra e forte,
      che lo salire omai ne parrà gioco».
      L'anime, che si fuor di me accorte,
      per lo spirare, ch'i' era ancor vivo,
      maravigliando diventaro smorte.
      E come a messagger che porta ulivo
      tragge la gente per udir novelle,
      e di calcar nessun si mostra schivo,
      così al viso mio s'affisar quelle
      anime fortunate tutte quante,
      quasi oblïando d'ire a farsi belle.
      Io vidi una di lor trarresi avante
      per abbracciarmi, con sì grande affetto,
      che mosse me a far lo somigliante.
      Ohi ombre vane, fuor che ne l'aspetto!
      tre volte dietro a lei le mani avvinsi,
      e tante mi tornai con esse al petto.
      Di maraviglia, credo, mi dipinsi;
      per che l'ombra sorrise e si ritrasse,
      e io, seguendo lei, oltre mi pinsi.
      Soavemente disse ch'io posasse;
      allor conobbi chi era, e pregai
      che, per parlarmi, un poco s'arrestasse.
      Rispuosemi: «Così com' io t'amai
      nel mortal corpo, così t'amo sciolta:
      però m'arresto; ma tu perché vai?».
      «Casella mio, per tornar altra volta
      là dov' io son, fo io questo vïaggio»,
      diss' io; «ma a te com' è tanta ora tolta?».
      Ed elli a me: «Nessun m'è fatto oltraggio,
      se quei che leva quando e cui li piace,
      più volte m'ha negato esto passaggio;
      ché di giusto voler lo suo si face:
      veramente da tre mesi elli ha tolto
      chi ha voluto intrar, con tutta pace.
      Ond' io, ch'era ora a la marina vòlto
      dove l'acqua di Tevero s'insala,
      benignamente fu' da lui ricolto.
      A quella foce ha elli or dritta l'ala,
      però che sempre quivi si ricoglie
      qual verso Acheronte non si cala».
      E io: «Se nuova legge non ti toglie
      memoria o uso a l'amoroso canto
      che mi solea quetar tutte mie doglie,
      di ciò ti piaccia consolare alquanto
      l'anima mia, che, con la sua persona
      venendo qui, è affannata tanto!».
      'Amor che ne la mente mi ragiona'
      cominciò elli allor sì dolcemente,
      che la dolcezza ancor dentro mi suona.
      Lo mio maestro e io e quella gente
      ch'eran con lui parevan sì contenti,
      come a nessun toccasse altro la mente.
      Noi eravam tutti fissi e attenti
      a le sue note; ed ecco il veglio onesto
      gridando: «Che è ciò, spiriti lenti?
      qual negligenza, quale stare è questo?
      Correte al monte a spogliarvi lo scoglio
      ch'esser non lascia a voi Dio manifesto».
      Come quando, cogliendo biado o loglio,
      li colombi adunati a la pastura,
      queti, sanza mostrar l'usato orgoglio,
      se cosa appare ond' elli abbian paura,
      subitamente lasciano star l'esca,
      perch' assaliti son da maggior cura;
      così vid' io quella masnada fresca
      lasciar lo canto, e fuggir ver' la costa,
      com' om che va, né sa dove rïesca;
      né la nostra partita fu men tosta.






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      Mensaje por Maria Lua Lun 17 Jul 2023, 12:33

      CANTO SEGUNDO


      ANTEPURGATORIO. ISLETA


      EL ÁNGEL NAUTA, ALMAS QUE LLEGAN, CASELLA,
      CATÓN DE NUEVO
      M salir el sol, ¡lega desde alta mar una barquilla Impulsada por un ángel,
      que viene desde el Tíber, punto de partida de las almas del purgatorio. Las almas, toman tierra y se asombran al ver que el Dante no es un muerto. Una de las sombras, ñábil músico que había
      conocido al Dante en vida, se acerca a éste y se entabla un coloquio. Casella narra su viaje y canta una candín amorosa del poeta.
      Mientras los dos poetas y las demás sombras oyen a Casella, aparece Catón, y les reprocha ese olvido. El grupo se dispersa y los
      poetas corren al monte.



      Ya estaba el sol al horizonte junto,
      que cubre con su cerco meridiano
      «Jerusalén en su más alto punto. 8
      ^a noche, opuesta en círculo lejano,
      sale del Ganges con la fiel Balanza,
      que al levantarse el sol cae de su mano; 6
      i' del blanco y del rojo la semblanza,
      marcando el paso de la bella aurora,
      Pasa al fin del dorado a la mudanza. ,,
      Aun cerca de la mar estamos ora,
      tal como aquel que piensa en su camino
      con deseos, y el cuerpo se demora; l2
      y como vése en cielo matutino,
      de Marte, entre el vapor, la luz rojiza,
      al ocaso bañar campo marino, 1(
      así me pareció venir de prisa
      una luz por el mar, y que volaba,
      tal que un ala veloz fuera remisa. u
      Y mientras al maestro interrogaba,
      apartando mi vista, al remirarla
      vi que con más fulgor la luz brillaba. 21
      Por ambos lados pude contemplarla,
      y vi una blanca forma reluciente,
      y abajo, otra más blanca, al observarla. 2t
      Mudo el guía, miraba atentamente,
      y al ver el ala blanca en la barquilla,
      al nauta conoció distintamente. • 2J
      Y esclamó: «¡Dobla en tierra la rodilla:
      es el ángel de Dios: plega las manos!
      Ministro de divina maravilla, 30
      «ve cual desdeña bártulos humanos:
      no emplea remos; cual celeste vela,
      su ala cruza les mares más lejanos. 33
      «Ve cuan erguido sobre el agua vuela,
      batiendo el aire con eterna pluma,
      que no es mortal cual pelo que se pela.» 3<¡
      Así miro avanzar entre la bruma
      aquella ave divina de luz viva,
      tan deslumbrante, que su vista abruma. s»
      Doblo la faz; y entonces a la riba
      toca el esbelto esquife, tan ligero
      que apenas roza el agua fugitiva.
      Viene a la popa el celestial nauclero,
      de beatitud el signo en él inscripto,
      con cien almas que trae al surgidero.
      «//» exitu Israel», cantan, €de JEgypto!»
      las almas a una voz, fervientemente,
      con todo lo demás del salmo escrito.
      De la cruz hizo el signo re.verente,
      y dejando en la playa a los viajeros,
      volvió, como al venir, rápidamente.
      Parecía que fuesen forasteros,
      pues asombrados, todo lo miraban,
      cual quien mira con ojos noveleros.
      Rayos del sol los cielos saeteaban,
      y sus certeras flechas, al poniente
      a Capricornio del zenit lanzaban.
      Cuando la nueva turba alzó la frente,
      se vino hacia nosotros, preguntando:
      «¿Por dó al monte se va derechamentef»
      Virgilio respondió: «Estáis pensando
      que almas somos del sitio habitadoras;
      pero vamos también peregrinando.
      «Hemos llegado aquí no ha muchas horas,
      por vía que es tan áspera y tan fuerte,
      que estas breñas nos son halagadoras.»
      -A.1 verme sin el signo de la muerte,
      y respirando como lo hace un vivo,
      palideció la grey, quedando inerte.
      Mas luego, como el ramo del olivo
      que levanta de nuevas mensajero,
      nadie se muestra de acudir esquivo, „
      así corrieron con el pie ligero,
      las fortunadas almas adelante,
      olvidando hermosear su ser primero. „
      Una de ellas, llegó de mí delante,
      y me abrazó con tan cordial afecto,
      que movióme a cariño semejante. n
      ¡ Oh, sombras vanas, fuera de su aspecto!
      tres veces a su espalda eché los brazos,
      y otras tantas hallé solo aire escueto. 8 i
      En mi rostro de asombro vio los trazos
      la sombra, y sonrióse levemente;
      y yo, siguiéndola, fui tras sus pasos. s<
      Que parara, me dijo dulcemente:
      la conocí: pedí se detuviera
      para hablarme, aunque fuese brevemente. «
      Y respondióme: «Así cual te quisiera,
      con mi carne mortal, te amo sin ella.
      ¿Más dónde vas con planta tan ligera?» M
      «Casella mío», repliqué, «la huella
      sigo a que he de tornar en otro viaje;
      pero tú, como muerto, ¿por qué estrella, es
      «tanto tardaste?» Y él: «ningún ultraje,
      si por acaso retardó el permiso
      de realizar hasta ahora este pasaje, n»
      «el que pudiera hacerlo, a mí me hizo:
      que en tres meses seguidos ha pasado
      a todo aquel que en santa paz lo quiso. »
      cuando sus aguas en el mar derrama,
      y allí benigno me acogió a su lado.
      «Su ala, hacia el Tíber otra vez le llama,
      do se ve todo espíritu arribado,
      que el Aqueronte oscuro no reclama.»
      Y yo: «Si nueva ley no te ha privado
      de la memoria de amoroso canto,
      que a veces en un tiempo me ha encantado,
      «consuélame si bien te place, un tanto,
      porque el ánima mía y mi persona
      se ha llenado en el tránsito de espanto.»
      (¡¡Amor che nella mente mi ragiona!»
      a cantar comenzó tan dulcemente,
      que la dulce canción aun mi alma entona.
      Mi buen maestro y yo, y aquella gente,
      parecíamos seres bien contentos,
      sin cuidados ningunos en la mente.
      Sus notas esauchábamos atentos,
      cuando el viejo de cara respetuosa,
      gritó severo: «¡ Espíritus, que lentos
      «os detenéis en negligente posa,
      id al monte, limpiando la impureza
      que os oculta de Dios la faz piadosa!»
      Cual palomas que en medio a la dehesa
      trigo y cizaña tienen por pastura,
      tranquilas, sin arrullos de braveza,
      y que si algo las turba, con pavura
      súbitamente dejan la comida,
      porque mayor cuidado las apura;
      tal la nueva mesnada sorprendida
      el canto abandonó, y a la ribera
      corrió cual qxiien no atina con la huida.
      Nuestra fuga, no fué menos ligera.





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      "Ser como un verso volando
      o un ciego soñando
      y en ese vuelo y en ese sueño
      compartir contigo sol y luna,
      siendo guardián en tu cielo
      y tren de tus ilusiones."
      (Hánjel)





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      Mensaje por Amalia Lateano Lun 17 Jul 2023, 18:07

      Gracias María Lua por acercar la obra de uno de lo íconos de la Poesía !

      besos
      Maria Lua
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      Mensaje por Maria Lua Lun 17 Jul 2023, 19:16

      Gracias, Amalis!
      Dante Alighieri es inmenso!


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      Mensaje por Maria Lua Lun 31 Jul 2023, 10:08

      CANTO III



      [Canto III, nel quale si tratta de la seconda qualitade, cioè di
      coloro che per cagione d'alcuna violenza che ricevettero, tardaro
      di qui a loro fine a pentersi e confessarsi de' loro falli, sì come
      sono quelli che muoiono in contumacia di Santa Chiesa
      scomunicati, li quali sono puniti in quel piano. In essempro di
      cotali peccatori nomina tra costoro il re Manfredi.]



      Avvegna che la subitana fuga
      dispergesse color per la campagna,
      rivolti al monte ove ragion ne fruga,
      i' mi ristrinsi a la fida compagna:
      e come sare' io sanza lui corso?
      chi m'avria tratto su per la montagna?
      El mi parea da sé stesso rimorso:
      o dignitosa coscïenza e netta,
      come t'è picciol fallo amaro morso!
      Quando li piedi suoi lasciar la fretta,
      che l'onestade ad ogn' atto dismaga,
      la mente mia, che prima era ristretta,
      lo 'ntento rallargò, sì come vaga,
      e diedi 'l viso mio incontr' al poggio
      che 'nverso 'l ciel più alto si dislaga.
      Lo sol, che dietro fiammeggiava roggio,
      rotto m'era dinanzi a la figura,
      ch'avëa in me de' suoi raggi l'appoggio.
      Io mi volsi dallato con paura
      d'essere abbandonato, quand' io vidi
      solo dinanzi a me la terra oscura;
      e 'l mio conforto: «Perché pur diffidi?»,
      a dir mi cominciò tutto rivolto;
      «non credi tu me teco e ch'io ti guidi?
      Vespero è già colà dov' è sepolto
      lo corpo dentro al quale io facea ombra;
      Napoli l'ha, e da Brandizio è tolto.
      Ora, se innanzi a me nulla s'aombra,
      non ti maravigliar più che d'i cieli
      che l'uno a l'altro raggio non ingombra.
      A sofferir tormenti, caldi e geli
      simili corpi la Virtù dispone
      che, come fa, non vuol ch'a noi si sveli.
      Matto è chi spera che nostra ragione
      possa trascorrer la infinita via
      che tiene una sustanza in tre persone.
      State contenti, umana gente, al quia;
      ché, se potuto aveste veder tutto,
      mestier non era parturir Maria;
      e disïar vedeste sanza frutto
      tai che sarebbe lor disio quetato,
      ch'etternalmente è dato lor per lutto:
      io dico d'Aristotile e di Plato
      e di molt' altri»; e qui chinò la fronte,
      e più non disse, e rimase turbato.
      Noi divenimmo intanto a piè del monte;
      quivi trovammo la roccia sì erta,
      che 'ndarno vi sarien le gambe pronte.
      Tra Lerice e Turbìa la più diserta,
      la più rotta ruina è una scala,
      verso di quella, agevole e aperta.
      «Or chi sa da qual man la costa cala»,
      disse 'l maestro mio fermando 'l passo,
      «sì che possa salir chi va sanz' ala?».
      E mentre ch'e' tenendo 'l viso basso
      essaminava del cammin la mente,
      e io mirava suso intorno al sasso,
      da man sinistra m'apparì una gente
      d'anime, che movieno i piè ver' noi,
      e non pareva, sì venïan lente.
      «Leva», diss' io, «maestro, li occhi tuoi:
      ecco di qua chi ne darà consiglio,
      se tu da te medesmo aver nol puoi».
      Guardò allora, e con libero piglio
      rispuose: «Andiamo in là, ch'ei vegnon piano;
      e tu ferma la spene, dolce figlio».
      Ancora era quel popol di lontano,
      i' dico dopo i nostri mille passi,
      quanto un buon gittator trarria con mano,
      quando si strinser tutti ai duri massi
      de l'alta ripa, e stetter fermi e stretti
      com' a guardar, chi va dubbiando, stassi.
      «O ben finiti, o già spiriti eletti»,
      Virgilio incominciò, «per quella pace
      ch'i' credo che per voi tutti s'aspetti,
      ditene dove la montagna giace,
      sì che possibil sia l'andare in suso;
      ché perder tempo a chi più sa più spiace».
      Come le pecorelle escon del chiuso
      a una, a due, a tre, e l'altre stanno
      timidette atterrando l'occhio e 'l muso;
      e ciò che fa la prima, e l'altre fanno,
      addossandosi a lei, s'ella s'arresta,
      semplici e quete, e lo 'mperché non sanno;
      sì vid' io muovere a venir la testa
      di quella mandra fortunata allotta,
      pudica in faccia e ne l'andare onesta.
      Come color dinanzi vider rotta
      la luce in terra dal mio destro canto,
      sì che l'ombra era da me a la grotta,
      restaro, e trasser sé in dietro alquanto,
      e tutti li altri che venieno appresso,
      non sappiendo 'l perché, fenno altrettanto.
      «Sanza vostra domanda io vi confesso
      che questo è corpo uman che voi vedete;
      per che 'l lume del sole in terra è fesso.
      Non vi maravigliate, ma credete
      che non sanza virtù che da ciel vegna
      cerchi di soverchiar questa parete».
      Così 'l maestro; e quella gente degna
      «Tornate», disse, «intrate innanzi dunque»,
      coi dossi de le man faccendo insegna.
      E un di loro incominciò: «Chiunque
      tu se', così andando, volgi 'l viso:
      pon mente se di là mi vedesti unque».
      Io mi volsi ver' lui e guardail fiso:
      biondo era e bello e di gentile aspetto,
      ma l'un de' cigli un colpo avea diviso.
      Quand' io mi fui umilmente disdetto
      d'averlo visto mai, el disse: «Or vedi»;
      e mostrommi una piaga a sommo 'l petto.
      Poi sorridendo disse: «Io son Manfredi,
      nepote di Costanza imperadrice;
      ond' io ti priego che, quando tu riedi,
      vadi a mia bella figlia, genitrice
      de l'onor di Cicilia e d'Aragona,
      e dichi 'l vero a lei, s'altro si dice.
      Poscia ch'io ebbi rotta la persona
      di due punte mortali, io mi rendei,
      piangendo, a quei che volontier perdona.
      Orribil furon li peccati miei;
      ma la bontà infinita ha sì gran braccia,
      che prende ciò che si rivolge a lei.
      Se 'l pastor di Cosenza, che a la caccia
      di me fu messo per Clemente allora,
      avesse in Dio ben letta questa faccia,
      l'ossa del corpo mio sarieno ancora
      in co del ponte presso a Benevento,
      sotto la guardia de la grave mora.
      Or le bagna la pioggia e move il vento
      di fuor dal regno, quasi lungo 'l Verde,
      dov' e' le trasmutò a lume spento.
      Per lor maladizion sì non si perde,
      che non possa tornar, l'etterno amore,
      mentre che la speranza ha fior del verde.
      Vero è che quale in contumacia more
      di Santa Chiesa, ancor ch'al fin si penta,
      star li convien da questa ripa in fore,
      per ognun tempo ch'elli è stato, trenta,
      in sua presunzïon, se tal decreto
      più corto per buon prieghi non diventa.
      Vedi oggimai se tu mi puoi far lieto,
      revelando a la mia buona Costanza
      come m'hai visto, e anco esto divieto;
      ché qui per quei di là molto s'avanza».






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      171


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      Dante Alighieri (1265-1321) - Página 3 Empty Re: Dante Alighieri (1265-1321)

      Mensaje por Maria Lua Mar 01 Ago 2023, 10:59

      CANTO TERCERO

      ANTEPURGATORIO. ISLETA

      ALMAS DE MUERTOS EN CONTUMACIA DE LA IGLESIA

      Los poetas prosiguen su camino. Confusión de ambos a consecuencia
      de su huidai. Dante, al ver que su cuerpo interceptaba los rayos
      del sol. se admira que Virgilio no proyecte su sombra y se cree
      abandonado por éste. Discurso de Virgilio sobre el misterio del
      mds allá. Encuentran almas que les indica el camino y vuelyen
      hacia atrás. Maníredo, rey de Sicilia, relata su muerte
      y su conversiñn final, pidiendo al Dante lo encomiende a la bija suya para
      abreviar su penitencia. Detención al pie de la montaña de los
      condenados por la iglesia, arrepentidos a última hora.


      Así que hubo las almas dispersado
      la subitánea fuga en la campaña,
      hacia el monte que purga del pecado,
      yo me estreché contra mi fiel compaña.
      ¿Cómo sin él habría yo corrido?
      i Quién me habría llevado a la montaña?
      Me pareció de sí desavenido:
      ¡ Oh, conciencia tan digna como pura!
      ¡ Cómo tan leve falta te ha dolido!
      Al verle detenerse en la premura
      que despoja la acción de su nobleza,
      mi mente, en un principio algo insegura, 12
      se dilató, volviendo la cabeza
      al monte que mi vista concentraba,
      y que en la tierra sube a más alteza. 18
      El sol, de tras de mí, rojo flameaba,
      y rompiendo sus rayos mi figura,
      adelante, mi sombra proyectaba. JS
      Yo me volví hacia un lado, con pavura,
      de abandonado estar, cuando veía
      delante mí sólo la tierra oscura. 21
      Mas, confortándome, dijo mi guía
      «¿Por qué tu desconfianza? ¿, Tú has pensado
      que no te guíe siempre en compañía! 2 t
      «Vesper está do se halla sepultado
      mi cuerpo, que antes sombra proyectara,
      y Ñapóles a Brindis ha quitado. 21
      «Si ora ninguna sombra a mí se encara,
      no te admire, que no es propio del cielo
      que rayo a rayo asombre su luz clara. 30
      «Para sufrir tormento en fuego e hielo
      Dios del cuerpo nos da la semejanza,
      guardando su secreto a nuestro anhelo. 33
      «Insensato quien tenga la esperanza
      de hallar razón en la infinita vía,
      que en uno y tres, substancia es y semblanza, sa
      «Basta a la humana gente con el quia,
      pues si todo supiese en absoluto,
      no era preciso el parto de María. sa
      «Aspiraron a más, pero sin fruto,
      los que, perdiendo anhelo sosegado,
      alcanzaron tan sólo eterno luto.
      «De Platón y Aristóteles he hablado
      y de otros, muchos más.» Y aquí su frente
      inclinó silencioso, asaz turbado.
      Al pie de la montaña, en su pendiente,
      vimos rocas tan ásperas e inciertas,
      que atajaran el pie más diligente.
      Entre Lerice y Turbia, más desiertas
      no son las sendas figurando escalas,
      pues a estás comparadas, son abiertas.
      «¿Por dónde este camino tendrá calas,»
      dijo el maestro, el paso reposando,
      «si se puede subir sin tener alas?»
      Mientras tanto, su rostro doblegando,
      recorría el camino con la mente,
      e iba en torno la roca contemplando;
      cuando a la izquierda apareció una gente,
      que eran almas de andar tan retardado,
      que venían muy lenta, lentamente.
      «Alza la vista,» dije al maestro amado.
      «He aquí quien darnos puede cierta seña,
      si es que acaso te encuentras extraviado.»
      Miróme entonces, y con grata seña
      dijo: «Vamos, pues vienen tan despacio:
      y tú, hijo mío, la esperanza empeña.»
      Lejos estaban con su andar rehacio,
      y después de mil pasos recorridos,
      a buen tiro de piedra en el espacio,
      vimos a los espíritus reunidos
      estrecharse a la roca titubeantes,
      como quien sitios ve desconocidos.
      «¡ Oh, espíritus, selectos bienandantes,»
      dijo Virgilio «por la paz benigna,
      que creo alcanzaréis perseverantes,
      «decidnos donde el monte aquí se inclina,
      si es posible subir al alto risco;
      que es triste perder tiempo, al que imagina!»
      Cual corderas que salen del aprisco,
      una, dos, tres, y el resto quieto espera,
      con timidez, y gesto medio arisco;
      y hacen todas, lo que hace la primera,
      se detienen o van atropelladas,
      sin saber el por qué que las moviera,
      de tal suerte las almas fortunadas
      vi yo moverse en pos su cabecera,
      púdico el rostro, honestas las pisadas;
      pero la sombra que cabeza hiciera,
      al ver la luz, en tierra interceptada,
      y que mi sombra a diestra se extendiera,
      se detuvo, y quedó maravillada:
      y el resto de la banda, símilmente,
      sin saber el por qué, quedó parada.
      «Sin que lo preguntéis: es un viviente;»
      el guía dijo, por calmar su anhelo,
      «y por eso obscurece el sol luciente;
      «Y no os asombre, pues lo quiere el cielo,
      que pueda traspasar esta barrera,
      por especial virtud, fuera del suelo.»
      Y aquella gente digna respondiera:
      «Tornad, y de nosotros id delante,»
      y saludó con mano placentera.
      Y uno de ellos, llegando a mí delante,
      así empezó: «Quién seas no pregunto:
      mira bien si conoces mi semblante.»
      Le miré con fijeza en su conjunto:
      rubio era, y bello y de gentil aspecto,
      mostrando un golpe, de la ceja junto.
      Humildemente confesé mi aprieto;
      no le reconocí, y él dijo: «¡ cuida!
      de la imperial Constanza, soy el nieto.»
      (Y sobre el pecho me mostró una herida).
      «Soy Manfredo,» agregó: «yo te suplico,
      que si llegas a ver mi hija querida,
      «de Aragón y Sicilia, timbre rico,
      generatriz que fué de su corona,
      le digas la verdad, cual la publico.
      «Cuando fué traspasada mi persona,
      por mortales heridas, repentido,
      me consagré lloroso al que perdona.
      «He muy grandes pecados cometido;
      mas la bondad de Dios es infinita,
      y en sus brazos acoge al convertido.
      «Si el pastor de Cosenza, que en mi cuita
      mandó Clemente a perseguirme, en su hora,
      leído hubiese de Dios, la ley escrita,
      «yacerían aún mis huesos ora
      a la entrada del puente en Benevento
      bajo pesada losa protectora.
      «Hoy la lluvia los baña, y mueve el viento,
      fuera del reino, casi sobre el Verde,
      enterrados con cirios de escarmiento;
      «pero el eterno amor, nunca se pierde
      por maldición contra la eterna gracia,
      mientras florece la esperanza verde.
      «Verdad es que quien muere en contumacia
      de nuestra iglesia y tarde se arrepienta,
      debe sufrir su pena y su desgracia,
      «en este sitio, tantas veces treinta,
      sobre la edad en que murió obstinado,
      si con un ruego, remisión no cuenta:
      «Por eso, si me atiendes con agrado,
      cuenta por caridad a mi Constanza,
      cómo me has visto y cómo estoy penado,
      «que aquí la prez del mundo, mucho alcanza.




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      275


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      "Ser como un verso volando
      o un ciego soñando
      y en ese vuelo y en ese sueño
      compartir contigo sol y luna,
      siendo guardián en tu cielo
      y tren de tus ilusiones."
      (Hánjel)





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      Mensaje por Maria Lua Miér 02 Ago 2023, 15:04

      CANTO IV



      [Canto IV, dove si tratta de la soprascritta seconda qualitade,
      dove si purga chi per negligenza di qui a la morte si tardòe a
      confessare; tra i quali si nomina il Belacqua, uomo di corte.]



      Quando per dilettanze o ver per doglie,
      che alcuna virtù nostra comprenda,
      l'anima bene ad essa si raccoglie,
      par ch'a nulla potenza più intenda;
      e questo è contra quello error che crede
      ch'un'anima sovr' altra in noi s'accenda.
      E però, quando s'ode cosa o vede
      che tegna forte a sé l'anima volta,
      vassene 'l tempo e l'uom non se n'avvede;
      ch'altra potenza è quella che l'ascolta,
      e altra è quella c'ha l'anima intera:
      questa è quasi legata e quella è sciolta.
      Di ciò ebb' io esperïenza vera,
      udendo quello spirto e ammirando;
      ché ben cinquanta gradi salito era
      lo sole, e io non m'era accorto, quando
      venimmo ove quell' anime ad una
      gridaro a noi: «Qui è vostro dimando».
      Maggiore aperta molte volte impruna
      con una forcatella di sue spine
      l'uom de la villa quando l'uva imbruna,
      che non era la calla onde salìne
      lo duca mio, e io appresso, soli,
      come da noi la schiera si partìne.
      Vassi in Sanleo e discendesi in Noli,
      montasi su in Bismantova e 'n Cacume
      con esso i piè; ma qui convien ch'om voli;
      dico con l'ale snelle e con le piume
      del gran disio, di retro a quel condotto
      che speranza mi dava e facea lume.
      Noi salavam per entro 'l sasso rotto,
      e d'ogne lato ne stringea lo stremo,
      e piedi e man volea il suol di sotto.
      Poi che noi fummo in su l'orlo suppremo
      de l'alta ripa, a la scoperta piaggia,
      «Maestro mio», diss' io, «che via faremo?».
      Ed elli a me: «Nessun tuo passo caggia;
      pur su al monte dietro a me acquista,
      fin che n'appaia alcuna scorta saggia».
      Lo sommo er' alto che vincea la vista,
      e la costa superba più assai
      che da mezzo quadrante a centro lista.
      Io era lasso, quando cominciai:
      «O dolce padre, volgiti, e rimira
      com' io rimango sol, se non restai».
      «Figliuol mio», disse, «infin quivi ti tira»,
      additandomi un balzo poco in sùe
      che da quel lato il poggio tutto gira.
      Sì mi spronaron le parole sue,
      ch'i' mi sforzai carpando appresso lui,
      tanto che 'l cinghio sotto i piè mi fue.
      A seder ci ponemmo ivi ambedui
      vòlti a levante ond' eravam saliti,
      che suole a riguardar giovare altrui.
      Li occhi prima drizzai ai bassi liti;
      poscia li alzai al sole, e ammirava
      che da sinistra n'eravam feriti.
      Ben s'avvide il poeta ch'ïo stava
      stupido tutto al carro de la luce,
      ove tra noi e Aquilone intrava.
      Ond' elli a me: «Se Castore e Poluce
      fossero in compagnia di quello specchio
      che sù e giù del suo lume conduce,
      tu vedresti il Zodïaco rubecchio
      ancora a l'Orse più stretto rotare,
      se non uscisse fuor del cammin vecchio.
      Come ciò sia, se 'l vuoi poter pensare,
      dentro raccolto, imagina Sïòn
      con questo monte in su la terra stare
      sì, ch'amendue hanno un solo orizzòn
      e diversi emisperi; onde la strada
      che mal non seppe carreggiar Fetòn,
      vedrai come a costui convien che vada
      da l'un, quando a colui da l'altro fianco,
      se lo 'ntelletto tuo ben chiaro bada».
      «Certo, maestro mio», diss' io, «unquanco
      non vid' io chiaro sì com' io discerno
      là dove mio ingegno parea manco,
      che 'l mezzo cerchio del moto superno,
      che si chiama Equatore in alcun' arte,
      e che sempre riman tra 'l sole e 'l verno,
      per la ragion che di', quinci si parte
      verso settentrïon, quanto li Ebrei
      vedevan lui verso la calda parte.
      Ma se a te piace, volontier saprei
      quanto avemo ad andar; ché 'l poggio sale
      più che salir non posson li occhi miei».
      Ed elli a me: «Questa montagna è tale,
      che sempre al cominciar di sotto è grave;
      e quant' om più va sù, e men fa male.
      Però, quand' ella ti parrà soave
      tanto, che sù andar ti fia leggero
      com' a seconda giù andar per nave,
      allor sarai al fin d'esto sentiero;
      quivi di riposar l'affanno aspetta.
      Più non rispondo, e questo so per vero».
      E com' elli ebbe sua parola detta,
      una voce di presso sonò: «Forse
      che di sedere in pria avrai distretta!».
      Al suon di lei ciascun di noi si torse,
      e vedemmo a mancina un gran petrone,
      del qual né io né ei prima s'accorse.
      Là ci traemmo; e ivi eran persone
      che si stavano a l'ombra dietro al sasso
      come l'uom per negghienza a star si pone.
      E un di lor, che mi sembiava lasso,
      sedeva e abbracciava le ginocchia,
      tenendo 'l viso giù tra esse basso.
      «O dolce segnor mio», diss' io, «adocchia
      colui che mostra sé più negligente
      che se pigrizia fosse sua serocchia».
      Allor si volse a noi e puose mente,
      movendo 'l viso pur su per la coscia,
      e disse: «Or va tu sù, che se' valente!».
      Conobbi allor chi era, e quella angoscia
      che m'avacciava un poco ancor la lena,
      non m'impedì l'andare a lui; e poscia
      ch'a lui fu' giunto, alzò la testa a pena,
      dicendo: «Hai ben veduto come 'l sole
      da l'omero sinistro il carro mena?».
      Li atti suoi pigri e le corte parole
      mosser le labbra mie un poco a riso;
      poi cominciai: «Belacqua, a me non dole
      di te omai; ma dimmi: perché assiso
      quiritto se'? attendi tu iscorta,
      o pur lo modo usato t'ha' ripriso?».
      Ed elli: «O frate, andar in sù che porta?
      ché non mi lascerebbe ire a' martìri
      l'angel di Dio che siede in su la porta.
      Prima convien che tanto il ciel m'aggiri
      di fuor da essa, quanto fece in vita,
      per ch'io 'ndugiai al fine i buon sospiri,
      se orazïone in prima non m'aita
      che surga sù di cuor che in grazia viva;
      l'altra che val, che 'n ciel non è udita?».
      E già il poeta innanzi mi saliva,
      e dicea: «Vienne omai; vedi ch'è tocco
      meridïan dal sole e a la riva
      cuopre la notte già col piè Morrocco».




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      177


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      Mensaje por Maria Lua Dom 06 Ago 2023, 09:09

      CANTO CUARTO


      ANTEPURGATORIO. SUBIDA AL RELLANO I

      POSICIÓN DEL. SOL Y NATURALEZA DE LA MONTAÑA
      ANTEPURGATORIO
      PRIMER RELLANO: NEGLIGENTES
      BKLACQUA


      Guiados por las almas suben a la montaña por un sendero J llegan
      hasta el primer rellano. Ambos se sientan a descansar y Virgilio
      explica al Dante la causa del opuesto giro del sol en el hemisferio
      donde se encuentra la montaña del purgatorio, antípoda de Jerusalén.
      Encuentro con un grupo de almas que yacen perezosamente
      tendidas. Dante reconoce entre ellos a Bellacqua, quien le explica
      que aquéllos son los que tardaron en convertirse. Penitencia de
      los negligentes que esperan la última hora para convertirse.


      Cuando por el placer o la congoja,
      que alguna facultad nuestra comprenda,
      el alma bien a su interior se acoja, „
      no es posible a ninguna otra se extienda,
      y esto prueba ser falsa la doctrina,
      que una alma sobre otra alma, luz encienda; 6
      Porque al mirar y óir, se determina,
      cosa que el alma absorba arrebatada,
      y corre el tiempo que a medir no atina: 9
      que a una potencia afecta, la escuchada,
      y a la otra aquella que en el alma impera;
      pues una es libre, la otra aprisionada. ia
      De esto tuve experiencia verdadera,
      al espíritu oyendo y admirando,
      cuando a cincuenta grados de la esfera, u
      estaba el sol sin yo notarlo, y cuando
      varias almas gritaron de la altura:
      «Aquí tenéis lo que venís buscando.» 1S
      No es mayor de la viña la abertura
      que cierra el viñador con un espino
      cuando la uva negrea de madura, 21
      cual era aquel estrecho salvajino
      en que el maestro y yo fuimos entrando
      y las sombras nos dieron por camino. «\
      De Noli a San León se va bajando,
      y en Bismantova súbese a la cumbre,
      con los pies; pero aquí sólo volando 2f
      con alas que contrasten pesadumbre;
      mas me las dio el deseo, y el buen guía,
      que era de mi esperanza única lumbre. so
      Por una rajadura se subía,
      y era tan escabrosa su estrechura,
      que de los pies y manos me valía. n
      Cuando llegamos a pisar la altura,
      y dominar la playa descubierta,
      clamé: «¿Qué nos reserva la ventura?» 3«
      Y de él a mí: «Sigue mi paso alerta,
      hasta alcanzar el punto culminante,
      donde encontremos una escolta cierta.» 39
      Y era la altura tal, que trepidante
      la vista se ofuscaba, y sus costados
      como una línea a plomo del cuadrante.
      Yo sentía los miembros extenuados,
      y dije al dulce padre: «Vuelve y mira,
      que voy solo a quedar, con pies eansados.»
      «Hijo,» me dice, «anímate y respira.»
      Y me mostró una peña dominante
      que en el contorno de aquel monte gira.
      Me espoleó su palabra confortante,
      y a gatas me arrastré en su seguimiento,
      hasta pisar la roca circundante.
      Ambos tomamos al llegar asiento,
      y volvimos la vista hacia el levante,
      que ver camino andado es un contento.
      Miré primero el fondo colindante,
      y luego el sol, y mucho me admiraba
      ver a izquierda su rayo centellante.
      ftijo el poeta al ver que absorto estaba,
      viendo del carro las chispeantes huellas
      que entre nosotros y Aquilón pasaba:
      «Si de Castor y Polux las estrellas
      se hallaran en compaña de ese espejo,
      que esparce en las esferas luces bellas,
      «rotar verían con fulgor bermejo
      el zodiaco a las Osas muy cercano,
      si recorriese su camino viejo.
      «°i quieres penetrar bien este arcano,
      recapacita y piensa, que este monte,
      aunque opuesto a Sión y en mar lejano,
      «tienen ambos idéntico horizonte
      en los dos hemisferios, que es la senda
      que con su carro no acertó Faetonte; 72
      «y por eso conviene que se atienda,
      que ambos montes están de opuesto lado
      a fin que tu intelecto, bien me entienda.» n
      «Comprendo,» respondí, «que no lie mirado
      con ojos claros, y ahora bien discierno
      lo que antes mi razón no hubo alcanzado. ;s
      «Este es el semicírculo superno
      del movimiento, el Ecuador llamado,
      que siempre está entre el sol y entre el invierno, 31
      «de suerte que,—según me has explicado,—
      se acerca al Setentrión, cuando el Hebreo
      puede mirarlo del candente lado. 3)
      «Mas si te place, colma mi deseo:
      ¿Mucho hay que anda r en la áspera subida,
      porque su fin ni en lontananza veo!» sr
      Y él: «La montaña se halla repartida
      de tal manera, que el comienzo es grave,
      y más arriba, a más subir convida. w
      «Más adelante has de encontrarla suave,
      y sentirás tu paso tan ligero
      como con viento en popa, anda la nave. M
      «Hallarás al final de este sendero
      tregua a tu afán: en tanto, aquí reposa.
      Y nada más, que esto es lo verdadero.» a»
      Y en pos de esta palabra cariñosa
      se oyó cerca una voz que nos decía:
      «Tal vez será la ruta fatigosa.» 33
      Y al volvemos, notamos que salía
      a la izquierda de un risco vigoroso
      que aun ni uno ni otro percibido había.
      Al acercarnos, vimos, silencioso
      un grupo de su sombra cobijado,
      como en el suelo se echa el perezoso:
      uno me pareció más fatigado,
      que ocultaba en sus brazos la cabeza
      de sus propias rodillas abrazado.
      «Maestro» pregunté, «¿qué sombra es esa
      que entre las otras es más indolente,
      cual si fuese su hermana la pereza?»
      En nosotros, la sombra puso mente,
      por debajo la pierna el ojo echando,
      y dijo: «Sube, tú, que eres valiente.»
      Quien era entonces conocí, y aun cuando
      la angustia del cansancio me afligía,
      me aproximé a su lado jadeando:
      y el, la cabeza apenas si movía
      diciendo: «¿ Has visto el sol cuando se mueve
      y hacia el hombro siniestro el carro guía?»
      au floja acción y su palabra breve, .
      a sonreír me habían provocado,
      y comencé: «No a compasión me mueve
      «Bellacqua tu penar. ¿Por qué sentado
      estás aquí? ¿Aguardas algún guía!
      0 es que has vuelto a tu ser acostumbrado ?»
      * el: «En subir yo nada ganaría:
      ángel de Dios que vela en la portada"
      lr al martirio no me dejaría.
      «Antes que al purgatorio tenga entrada,
      dispone el cielo que transcurra un giro
      igual al tiempo de la vida andada;
      «y la expiación aplaza hasta el suspiro,
      a menos que plegaria de alma humana
      a tanta penitencia dé un respiro.»
      «El sol alcanza ya su meridiana;»
      dijo el maestro que adelante iba,
      «ven, que la noche se halla muy cercana,
      «pisando de Marruecos la otra riba.»




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      Mensaje por Maria Lua Mar 08 Ago 2023, 08:11

      CANTO V


      [Canto V, ove si tratta de la terza qualitade, cioè di coloro che per
      cagione di vendicarsi d'alcuna ingiuria insino a la morte mettono
      in non calere di riconoscere sé esser peccatori e soddisfare a Dio;
      de li quali nomina in persona messer Iacopo di Fano e Bonconte
      di Montefeltro.]



      Io era già da quell' ombre partito,
      e seguitava l'orme del mio duca,
      quando di retro a me, drizzando 'l dito,
      una gridò: «Ve' che non par che luca
      lo raggio da sinistra a quel di sotto,
      e come vivo par che si conduca!».
      Li occhi rivolsi al suon di questo motto,
      e vidile guardar per maraviglia
      pur me, pur me, e 'l lume ch'era rotto.
      «Perché l'animo tuo tanto s'impiglia»,
      disse 'l maestro, «che l'andare allenti?
      che ti fa ciò che quivi si pispiglia?
      Vien dietro a me, e lascia dir le genti:
      sta come torre ferma, che non crolla
      già mai la cima per soffiar di venti;
      ché sempre l'omo in cui pensier rampolla
      sovra pensier, da sé dilunga il segno,
      perché la foga l'un de l'altro insolla».
      Che potea io ridir, se non «Io vegno»?
      Dissilo, alquanto del color consperso
      che fa l'uom di perdon talvolta degno.
      E 'ntanto per la costa di traverso
      venivan genti innanzi a noi un poco,
      cantando 'Miserere' a verso a verso.
      Quando s'accorser ch'i' non dava loco
      per lo mio corpo al trapassar d'i raggi,
      mutar lor canto in un «oh!» lungo e roco;
      e due di loro, in forma di messaggi,
      corsero incontr' a noi e dimandarne:
      «Di vostra condizion fatene saggi».
      E 'l mio maestro: «Voi potete andarne
      e ritrarre a color che vi mandaro
      che 'l corpo di costui è vera carne.
      Se per veder la sua ombra restaro,
      com' io avviso, assai è lor risposto:
      fàccianli onore, ed esser può lor caro».
      Vapori accesi non vid' io sì tosto
      di prima notte mai fender sereno,
      né, sol calando, nuvole d'agosto,
      che color non tornasser suso in meno;
      e, giunti là, con li altri a noi dier volta,
      come schiera che scorre sanza freno.
      «Questa gente che preme a noi è molta,
      e vegnonti a pregar», disse 'l poeta:
      «però pur va, e in andando ascolta».
      «O anima che vai per esser lieta
      con quelle membra con le quai nascesti»,
      venian gridando, «un poco il passo queta.
      Guarda s'alcun di noi unqua vedesti,
      sì che di lui di là novella porti:
      deh, perché vai? deh, perché non t'arresti?
      Noi fummo tutti già per forza morti,
      e peccatori infino a l'ultima ora;
      quivi lume del ciel ne fece accorti,
      sì che, pentendo e perdonando, fora
      di vita uscimmo a Dio pacificati,
      che del disio di sé veder n'accora».
      E io: «Perché ne' vostri visi guati,
      non riconosco alcun; ma s'a voi piace
      cosa ch'io possa, spiriti ben nati,
      voi dite, e io farò per quella pace
      che, dietro a' piedi di sì fatta guida,
      di mondo in mondo cercar mi si face».
      E uno incominciò: «Ciascun si fida
      del beneficio tuo sanza giurarlo,
      pur che 'l voler nonpossa non ricida.
      Ond' io, che solo innanzi a li altri parlo,
      ti priego, se mai vedi quel paese
      che siede tra Romagna e quel di Carlo,
      che tu mi sie di tuoi prieghi cortese
      in Fano, sì che ben per me s'adori
      pur ch'i' possa purgar le gravi offese.
      Quindi fu' io; ma li profondi fóri
      ond' uscì 'l sangue in sul quale io sedea,
      fatti mi fuoro in grembo a li Antenori,
      là dov' io più sicuro esser credea:
      quel da Esti il fé far, che m'avea in ira
      assai più là che dritto non volea.
      Ma s'io fosse fuggito inver' la Mira,
      quando fu' sovragiunto ad Orïaco,
      ancor sarei di là dove si spira.
      Corsi al palude, e le cannucce e 'l braco
      m'impigliar sì ch'i' caddi; e lì vid' io
      de le mie vene farsi in terra laco».
      Poi disse un altro: «Deh, se quel disio
      si compia che ti tragge a l'alto monte,
      con buona pïetate aiuta il mio!
      Io fui di Montefeltro, io son Bonconte;
      Giovanna o altri non ha di me cura;
      per ch'io vo tra costor con bassa fronte».
      E io a lui: «Qual forza o qual ventura
      ti travïò sì fuor di Campaldino,
      che non si seppe mai tua sepultura?».
      «Oh!», rispuos' elli, «a piè del Casentino
      traversa un'acqua c'ha nome l'Archiano,
      che sovra l'Ermo nasce in Apennino.
      Là 've 'l vocabol suo diventa vano,
      arriva' io forato ne la gola,
      fuggendo a piede e sanguinando il piano.
      Quivi perdei la vista e la parola;
      nel nome di Maria fini', e quivi
      caddi, e rimase la mia carne sola.
      Io dirò vero, e tu 'l ridì tra ' vivi:
      l'angel di Dio mi prese, e quel d'inferno
      gridava: "O tu del ciel, perché mi privi?
      Tu te ne porti di costui l'etterno
      per una lagrimetta che 'l mi toglie;
      ma io farò de l'altro altro governo!".
      Ben sai come ne l'aere si raccoglie
      quell' umido vapor che in acqua riede,
      tosto che sale dove 'l freddo il coglie.
      Giunse quel mal voler che pur mal chiede
      con lo 'ntelletto, e mosse il fummo e 'l vento
      per la virtù che sua natura diede.
      Indi la valle, come 'l dì fu spento,
      da Pratomagno al gran giogo coperse
      di nebbia; e 'l ciel di sopra fece intento,
      sì che 'l pregno aere in acqua si converse;
      la pioggia cadde, e a' fossati venne
      di lei ciò che la terra non sofferse;
      e come ai rivi grandi si convenne,
      ver' lo fiume real tanto veloce
      si ruinò, che nulla la ritenne.
      Lo corpo mio gelato in su la foce
      trovò l'Archian rubesto; e quel sospinse
      ne l'Arno, e sciolse al mio petto la croce
      ch'i' fe' di me quando 'l dolor mi vinse;
      voltòmmi per le ripe e per lo fondo,
      poi di sua preda mi coperse e cinse».
      «Deh, quando tu sarai tornato al mondo
      e riposato de la lunga via»,
      seguitò 'l terzo spirito al secondo,
      «ricorditi di me, che son la Pia;
      Siena mi fé, disfecemi Maremma:
      salsi colui che 'nnanellata pria
      disposando m'avea con la sua ge
      mma».




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      180


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      "Ser como un verso volando
      o un ciego soñando
      y en ese vuelo y en ese sueño
      compartir contigo sol y luna,
      siendo guardián en tu cielo
      y tren de tus ilusiones."
      (Hánjel)





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      Mensaje por Maria Lua Jue 10 Ago 2023, 09:23

      CANTO QUINTO

      iNTEPURGATORIO

      RELLANO II.

      PEREZOSOS MUERTOS REPENTINAMENTE
      [IOS MENSAJEROS. DEL CASSEEO. DA MONTEFELTRO. LA PÍA.
      Los poetas prosiguiendo su marcha, se encuentran con una multitud
      de espíritus. La sombra, del Dante, lo hace reconocer como un viviente. Las espíritus que son los sorprendidos por muerte violenta,
      y que se arrepintieron al morir, perdonando a sus enemigos, piden
      al poeta haga memoria de ellos en el mundo, auxiliándolos con sus
      ruegos. Jaeobo del Casero, Buonconte de Montefeltro y Pía de
      Siena, hacen relación de su muerte.


      Ya las sombras se habían disipado:
      yo seguía las huellas de mi guía,
      cuando delante a mí, con dedo alzado.
      una gritó: «¡ Ved cual apaga el día
      el que a la izquierda va por el costado:
      que es viviente tal vez parecería!»
      «Volví mis ojos al que había hablado,
      y vi a la turba, ver maravillada,
      «¿Por qué sientes el alma conturbada,»
      dijo el guía, «y tu marcha es insegura?
      ¡ Qué importa lo que diga esa mesnada!» „
      «Sigue, y deja esa gente que murmura;
      sé fuerte, como torre en el embate,
      que el viento no conmueve y la asegura; „
      «que el hombre que entre ideas se debate,
      trepida y su potencia debilita,
      y pierde su objetivo en el combate
      ¿ Qué podía decir con alma aflicta,
      sino empezar? «Te sigo avergonzado.
      con rubor que perdones solicita.» n
      En tanto, y de través al otro lado,
      vi gente de la vía en el entronco
      cantando un Miserere compasado: 21
      al acercarse y ver que con mi tronco
      apagaba los rayos planetarios,
      trocóse el canto en ¡oh! muy largo y ronco. 27
      f dos de ellos a modo de emisarios,
      se avanzan y preguntan asombrados:
      «¿Quiénes sois? ¿de dó sois originarios?» ?..,
      «Volved,» dijo mi guía a los enviados,
      «y decid que es de carne verdadera
      el cuerpo de este ser. Id sosegados. 3 s
      «Si por su sombra ver, estáis a espera.
      basta que os diga: le debéis honores,
      que él puede hacer la pena más ligera.» .-.o
      Nunca vi de la tarde los fulgores,
      tan pronto atravesar cielo sereno.
      ni sol de agosto, penetrar vapores, 39
      como a las sombras vi volver de lleno
      al punto de partida, y darnos frente,
      cual jinetes corriendo en desenfreno.
      «Avanza hacia nosotros mucha gente,
      y vienente a rogar,» dijo el poeta:
      «no te pares, y escucha atentamente.»
      «Alma que vas a la mansión selecta,
      y con los propios miembros que has nacido;»
      llegó clamando; «un tanto el paso aquieta:
      «mira si alguna nuestra has conocido,
      para dar en el mundo buena cuenta.
      6Por qué te vas? detente complacido.
      «A todas nos hirió muerte violenta:
      pecadoras, al fin de última hora
      en que la luz celeste nos alienta.
      «En paz con Dios salimos en buena hora,
      de la vida, y a tiempo arrepentidas
      invocando su gracia bienhechora.»
      Yo respondí: «Me son desconocidas
      vuestras faces, fijando las miradas;
      pero por vuestras almas bien nacidas,
      «serán vuestras demandas propiciadas,
      en la paz que yo busco con mi guía,
      de mundo en mundo en tierras encontradas.»
      Y uno de ellos repuso: «En tí se fía
      cada uno, sin que le hagas juramento,
      que de tu buen querer no desconfía.
      «Yo que te hablo con pío sentimiento
      te ruego que si ves el caro suelo
      que entre Cario y Romana tiene asiento,
      «me otorgues tu plegaria de consuelo,
      en Fano, descargando el alma mía
      de culpas que aquí lloro en desconsuelo.
      «Allí nací; después la sangre mía
      brotó por mis heridas, cuando estaba
      en Antenoria, donde asilo había;
      «y donde más seguro me juzgaba
      matóme el duque d'Este lleno de ira,
      el derecho violando que amparaba.
      «¡Ah! si me hubiese refugiado en Mira
      cuando en Oriaco fuera yo alcanzado,
      gozara el aire que tu mundo aspira;
      «mas, corrí a las lagunas desalado,
      donde entre fango y cañas ¡qué aun lo veo!
      en un lago de sangre caí postrado.»
      Y otro habló: «Que se cumpla el gran deseo
      que te conduce a este elevado monte;
      que al mío ayudarás lo pienso y creo.
      «Yo soy de Montefeltro: soy Buonconte:
      nadie, no, ni aun mi Juana, de mi cura,
      porque hoy mi baja frente, nada afronte.»
      Y yo a él: «¿Qué fuerza, qué aventura
      te hizo desparecer de Campaldino;
      pues se ignora cuál fué tu sepultura!»
      Y él respondió: «Al pie del Casentino
      hay un río que llaman el Arquiano,
      y sobre el Yermo nace en Apenino,
      «y que pierde su nombre en el rellano:
      allí llegué la gola traspasada
      huyendo a pie y ensangrentando el llano;
      «ciego, con la palabra anonadada,
      murmuré el dulce nombre de María,
      y allí cayó mi carne mutilada.
      «Te diré la verdad, por si algún día
      ruegas por mí: un ángel del infierno
      a un ángel celestial que me acogía,
      «gritó: Me quitas tú lo que es eterno
      por una lagrimilla en recompensa;
      pero este cuerpo es mío y lo gobierno.
      «Bien sabes que en el aire se condensa
      el húmedo vapor, que agua se vuelve
      del alto frío en la región inmensa.
      «Allí el genio del mal que el mal resuelve,
      mueve maligno el humo con el viento
      por el poder que su natura envuelve.
      «Iba ya a obscurecer, y en un momento,
      de Prato al monte nube tempestuosa
      llenó el valle, toldando el firmamento.
      «El aire se volvió lluvia copiosa,
      y al descender corrió por las pendientes
      la que no se bebió la tierra ansiosa.
      «Y reunidas las rápidas corrientes
      a las del Arno, todo fué arrastrado
      con fuerza irresistible de torrentes.
      «El Arquiano arrastró mi cuerpo helado
      hasta el Arno, y deshizo enfurecido
      la cruz que con mis brazos, figurado
      «había yo, por el dolor vencido;
      me llevó por su cauce a lo profundo,
      y entre su fango me dejó sumido.»
      Siguió un tercer espíritu al segundo:
      «Cuando descanses de tu larga vía
      y vuelvas otra vez a ver el mundo,
      «acuérdate de mí: yo soy la Pía:
      Siena me hizo, y me mató Marema;
      lo sabe aquél, que en nuevo anillo, un día
      puso en mi dedo desposoria gema.»




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      Mensaje por Maria Lua Sáb 12 Ago 2023, 08:48

      CANTO VI



      [Canto VI, dove si tratta di quella medesima qualitade, dove si
      purga la predetta mala volontà di vendicare la 'ngiuria, e per
      questo si ritarda sua confessione, e dove truova e nomina
      Sordella da Mantua.]



      Quando si parte il gioco de la zara,
      colui che perde si riman dolente,
      repetendo le volte, e tristo impara;
      con l'altro se ne va tutta la gente;
      qual va dinanzi, e qual di dietro il prende,
      e qual dallato li si reca a mente;
      el non s'arresta, e questo e quello intende;
      a cui porge la man, più non fa pressa;
      e così da la calca si difende.
      Tal era io in quella turba spessa,
      volgendo a loro, e qua e là, la faccia,
      e promettendo mi sciogliea da essa.
      Quiv' era l'Aretin che da le braccia
      fiere di Ghin di Tacco ebbe la morte,
      e l'altro ch'annegò correndo in caccia.
      Quivi pregava con le mani sporte
      Federigo Novello, e quel da Pisa
      che fé parer lo buon Marzucco forte.
      Vidi conte Orso e l'anima divisa
      dal corpo suo per astio e per inveggia,
      com' e' dicea, non per colpa commisa;
      Pier da la Broccia dico; e qui proveggia,
      mentr' è di qua, la donna di Brabante,
      sì che però non sia di peggior greggia.
      Come libero fui da tutte quante
      quell' ombre che pregar pur ch'altri prieghi,
      sì che s'avacci lor divenir sante,
      io cominciai: «El par che tu mi nieghi,
      o luce mia, espresso in alcun testo
      che decreto del cielo orazion pieghi;
      e questa gente prega pur di questo:
      sarebbe dunque loro speme vana,
      o non m'è 'l detto tuo ben manifesto?».
      Ed elli a me: «La mia scrittura è piana;
      e la speranza di costor non falla,
      se ben si guarda con la mente sana;
      ché cima di giudicio non s'avvalla
      perché foco d'amor compia in un punto
      ciò che de' sodisfar chi qui s'astalla;
      e là dov' io fermai cotesto punto,
      non s'ammendava, per pregar, difetto,
      perché 'l priego da Dio era disgiunto.
      Veramente a così alto sospetto
      non ti fermar, se quella nol ti dice
      che lume fia tra 'l vero e lo 'ntelletto.
      Non so se 'ntendi: io dico di Beatrice;
      tu la vedrai di sopra, in su la vetta
      di questo monte, ridere e felice».
      E io: «Segnore, andiamo a maggior fretta,
      ché già non m'affatico come dianzi,
      e vedi omai che 'l poggio l'ombra getta».
      «Noi anderem con questo giorno innanzi»,
      rispuose, «quanto più potremo omai;
      ma 'l fatto è d'altra forma che non stanzi.
      Prima che sie là sù, tornar vedrai
      colui che già si cuopre de la costa,
      sì che ' suoi raggi tu romper non fai.
      Ma vedi là un'anima che, posta
      sola soletta, inverso noi riguarda:
      quella ne 'nsegnerà la via più tosta».
      Venimmo a lei: o anima lombarda,
      come ti stavi altera e disdegnosa
      e nel mover de li occhi onesta e tarda!
      Ella non ci dicëa alcuna cosa,
      ma lasciavane gir, solo sguardando
      a guisa di leon quando si posa.
      Pur Virgilio si trasse a lei, pregando
      che ne mostrasse la miglior salita;
      e quella non rispuose al suo dimando,
      ma di nostro paese e de la vita
      ci 'nchiese; e 'l dolce duca incominciava
      «Mantüa…», e l'ombra, tutta in sé romita,
      surse ver' lui del loco ove pria stava,
      dicendo: «O Mantoano, io son Sordello
      de la tua terra!»; e l'un l'altro abbracciava.
      Ahi serva Italia, di dolore ostello,
      nave sanza nocchiere in gran tempesta,
      non donna di province, ma bordello!
      Quell' anima gentil fu così presta,
      sol per lo dolce suon de la sua terra,
      di fare al cittadin suo quivi festa;
      e ora in te non stanno sanza guerra
      li vivi tuoi, e l'un l'altro si rode
      di quei ch'un muro e una fossa serra.
      Cerca, misera, intorno da le prode
      le tue marine, e poi ti guarda in seno,
      s'alcuna parte in te di pace gode.
      Che val perché ti racconciasse il freno
      Iustinïano, se la sella è vòta?
      Sanz' esso fora la vergogna meno.
      Ahi gente che dovresti esser devota,
      e lasciar seder Cesare in la sella,
      se bene intendi ciò che Dio ti nota,
      guarda come esta fiera è fatta fella
      per non esser corretta da li sproni,
      poi che ponesti mano a la predella.
      O Alberto tedesco ch'abbandoni
      costei ch'è fatta indomita e selvaggia,
      e dovresti inforcar li suoi arcioni,
      giusto giudicio da le stelle caggia
      sovra 'l tuo sangue, e sia novo e aperto,
      tal che 'l tuo successor temenza n'aggia!
      Ch'avete tu e 'l tuo padre sofferto,
      per cupidigia di costà distretti,
      che 'l giardin de lo 'mperio sia diserto.
      Vieni a veder Montecchi e Cappelletti,
      Monaldi e Filippeschi, uom sanza cura:
      color già tristi, e questi con sospetti!
      Vien, crudel, vieni, e vedi la pressura
      d'i tuoi gentili, e cura lor magagne;
      e vedrai Santafior com' è oscura!
      Vieni a veder la tua Roma che piagne
      vedova e sola, e dì e notte chiama:
      «Cesare mio, perché non m'accompagne?».
      Vieni a veder la gente quanto s'ama!
      e se nulla di noi pietà ti move,
      a vergognar ti vien de la tua fama.
      E se licito m'è, o sommo Giove
      che fosti in terra per noi crucifisso,
      son li giusti occhi tuoi rivolti altrove?
      O è preparazion che ne l'abisso
      del tuo consiglio fai per alcun bene
      in tutto de l'accorger nostro scisso?
      Ché le città d'Italia tutte piene
      son di tiranni, e un Marcel diventa
      ogne villan che parteggiando viene.
      Fiorenza mia, ben puoi esser contenta
      di questa digression che non ti tocca,
      mercé del popol tuo che si argomenta.
      Molti han giustizia in cuore, e tardi scocca
      per non venir sanza consiglio a l'arco;
      ma il popol tuo l'ha in sommo de la bocca.
      Molti rifiutan lo comune incarco;
      ma il popol tuo solicito risponde
      sanza chiamare, e grida: «I' mi sobbarco!».
      Or ti fa lieta, ché tu hai ben onde:
      tu ricca, tu con pace e tu con senno!
      S'io dico 'l ver, l'effetto nol nasconde.
      Atene e Lacedemona, che fenno
      l'antiche leggi e furon sì civili,
      fecero al viver bene un picciol cenno
      verso di te, che fai tanto sottili
      provedimenti, ch'a mezzo novembre
      non giugne quel che tu d'ottobre fili.
      Quante volte, del tempo che rimembre,
      legge, moneta, officio e costume
      hai tu mutato, e rinovate membre!
      E se ben ti ricordi e vedi lume,
      vedrai te somigliante a quella inferma
      che non può trovar posa in su le piume,
      ma con dar volta suo dolore scherma.




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      o un ciego soñando
      y en ese vuelo y en ese sueño
      compartir contigo sol y luna,
      siendo guardián en tu cielo
      y tren de tus ilusiones."
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      Mensaje por Maria Lua Dom 13 Ago 2023, 14:52

      CANTO SEXTO


      ANTEPÜRGATORIO


      RELLANO II.
      PEREZOSOS MUERTOS VIOLENTAMENTE
      liEXIXCASA, TAELATI, NOVELLO, DELI.A BROCCIA, SOIIDELLO
      APOSTROFE A ITALIA Y A FLORENCIA
      Símil ele los jugadores y la situación del poeta, respecto de las almas
      Que le solicitan preces. Encuentro con otras almas convertidas a
      ultima hora. Reseña de algunas de las ánimas en pena. Coloquio
      de los poetas sobre las preces humanas para modificar la voluntad divina. Encuentro de los poetas con Sordello. Entrevista do
      los dos poetas mantuamos. Amarga y dolorosa invectiva del Dante
      sobre el estado de la Italia, y sus luchas intestinas.



      Cuando termina el juego de la zara,
      y el que pierde, retírase doliente,
      repitiendo las suertes que compara; 3
      °on el que gana, va toda la gente,
      los unos por detrás y otros delante,
      o hacen al lado muestra de presente: 8
      escucha el ganador con buen semblante,
      esquivando la mano, y va de priesa,
      y defendiéndose, sigue adelante; ,¡
      AXTEFim. RELLA5Í0 II iH'H. VI 10-39
      tal me encontraba entre la turba espesa
      volviendo el rostro al uno y otro lado,
      y librarme merced a una promesa.
      Allí vi al Aretino, a quien airado
      con fiero brazo Tacco dio la muerte,
      y aquel que perseguido murió ahogado,
      suplicaban allí con mano inerte,
      Novello, y el Pisano que sin vida,
      reanimó de Marzucco el alma fuerte.
      Vi al conde de Orso; y el alma dividida
      del cuerpo (por malicia o por envidia,
      según él, no por culpa cometida),
      de Pier de Broecia, digo; (y de su insidia
      se guarde la princesa de Brabante
      para no verse en más penosa lidia).
      Libre ya de la turba suplicante
      que oración redentora me pedía
      para alcanzar la gracia edificante,
      yo comencé: «Paréceme, luz mía,
      que expresas en las hojas de tu texto,
      que un decreto del cielo no podría
      «la plegaria alterar. Si piden esto,
      de estos sería la esperanza vana,
      o tu dicho ¿no está bien manifiesto?»
      Y de él a mí: «Su inteligencia es llana,
      y la esperanza de éstos no es quimera
      si bien se mira con la mente sana;
      «pues el juicio supremo no se altera
      porque fuego de amor haya pagado
      lo que un alma cumplir aquí debiera.
      «Y allí, donde otra cosa yo he afirmado
      enmienda no cabía, por efecto
      que Dios, del ruego estaba separado.
      «No te es dado aclarar tan gran secreto;
      disipa toda duda, y sólo fía
      en la verdad que alumbra el intelecto.
      «Entiendes que a Beatriz me refería:
      tú la verás en la encumbrada meta
      de este monte, sonriente de alegría.»
      Yo exclamé: «Caro guía el paso aprieta;
      la fatiga pasó que me afligía;
      ve que el monte su sombra ya proyecta.»
      «Caminaremos mientras haya día»
      repúsome, «cuanto nos sea dado;
      pero la empresa es ardua todavía.
      «Antes que la eminencia hayas pisado
      verás de nuevo el Sol, que en el presente
      no se halla por tu cuerpo interceptado.
      «Pero diviso un alma penitente,
      sola, muy sola, que parece aguarda:
      tal vez nos ponga en vía prontamente.»
      Y al acercarnos, ¡ Oh, ánima lombarda!
      ¡cómo estabas altiva y desdeñosa,
      con profunda mirada, honesta y tarda!
      Ella en tanto yacía silenciosa;
      pero dejaba hacer, fijo mirando
      a guisa de león cuando se posa.
      Virgilio, empero, se acercó, rogando
      que nos mostrase la mejor subida:
      y contestó a su vez interrogando
      -VNT-KPO'E. ÜELLANO II IJUR. Vi . 70-99 OOííTRA ITALIA
      sobre la tierra nuestra y nuestra vida;
      y el dulce guía, apenas comenzaba
      «Mantua»... a decir, la sombra estremecida
      vino del sitio en que parada estaba,
      exclamando: «¡ Oh,. Mantuano! ¡ Soy Sordelo!
      ¡Soy de tu misma tierra!»... y lo abrazaba,
      ¡ Oh, Italia esclava, habitación del duelo;
      nave en gran tempestad, sin su piloto;
      señora de un burdel, no de tu suelo!
      Para el alma gentil, bastó el remoto
      dulce recuerdo de nativa tierra,
      para brindar al compatriota el voto,
      mientras tú vives en perpetua guerra,
      y con tus mismas manos te destrozas,
      aun entre muros que igual foso cierra.
      Mira, ¡ infeliz! las playas espaciosas
      de tu marina, y busca si en tu seno
      en parte alguna con la paz te gozas.
      ; De qué sirvió que te ajustase el freno
      Justiniano, si está la silla rota?
      Sin él, tu oprobio fuera menos pleno.
      ¡Ay! gente, que debieras ser devota
      al César en su trono bien sentado,
      ¡Entiende bien lo que tu Dios te nota!
      ¡Ve la fiera que brava se ha tornado
      porque sólo la brida manejaste
      sin haberla de espuelas adiestrado!
      ¡ Oh, tú, tudesco Alberto, que dejaste
      que ella se hiciera indómita y salvaje
      porque en sus hombros nunca cabalgaste!
      ¡Justa sentencia desde el cielo baje
      sobre tu sangre; y sea tan de cierto
      que a tu heredero el miedo le trabaje;
      pues por tí, con tu padre de concierto,
      por codicia de tierras apartadas,
      el jardín del imperio fué un desierto!
      i Ven, y verás facciones desalmadas:
      Mónteseos, Filipesccs, Capuletos
      y Monaldos, y gentes contristadas!
      ¡ Ven a ver a tus nobles predilectos,
      y su magaña dura y opresora,
      y ve si en Santafior se encuentran quietos!
      ¡Mira a tu Roma que al presente llora
      viuda y sola, que en día y noche clama:
      «¿.Por qué mi César me abandona ahora?»
      ¡Ven a mirar cuánto la gente se ama!
      Y si piedad alguna no has sentido,
      ¡Ven a tener vergüenza de tu fama!
      i Oh, Jove! i el invocarte es permitido,
      pues fuiste por amor crucificado!
      ¿Tus justos ojos se han obscurecido?
      j O en tu profundo fallo has ordenado,
      como presagio de una suerte buena,
      que el bien por hoy nos sea denegado!
      Toda la tierra itálica está, llena
      de tiranos, tornándose en Marcelo
      cualquier villano que facción ordena.
      Florencia mía, toma por consuelo
      mi digresión, que a tí nada te toca,
      merced del pueblo a su discreto celo.
      En muchos, la justicia que se evoca,
      tarda dispara su arco, por cordura:
      la de tu pueblo está sobre su boca.
      Muchos renuncian la común procura,
      mas tu pueblo solícito responde,
      gritando: «¡yo la agarro!» y la asegura.
      Alégrate, que a tí te corresponde;
      rica, en paz, y regida con prudencia;
      si hablo verdad, su efecto no se esconde.
      Lacedemonia, Atenas, con su ciencia,
      con sus leyes antiguas, tan civiles,
      buena hicieron, un poco, su existencia;
      pero tú, con tus leyes tan sutiles,
      a mitad de noviembre has alcanzado
      sin que tus leyes en octubre enhiles.
      ¡ Cuántas veces, en tiempo no olvidado,
      leyes, moneda, cargos y costumbre,
      al innovar gobiernos has mudado!
      Acuérdate; cuando la luz te alumbre
      te verás como enferma, que tendida
      sobre plumas, tan sólo pesadumbre,
      al revolverse encuentra dolorida





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      "Ser como un verso volando
      o un ciego soñando
      y en ese vuelo y en ese sueño
      compartir contigo sol y luna,
      siendo guardián en tu cielo
      y tren de tus ilusiones."
      (Hánjel)





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