Aires de Libertad

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      Dante Alighieri (1265-1321) - Página 8 Empty Re: Dante Alighieri (1265-1321)

      Mensaje por Maria Lua Jue 25 Abr 2024, 08:42


      CANTO XXX



      [Canto XXX, ove narra come l'auttore vidde per conducimento di
      Beatrice li splendori de la divinità e le seggie de l'anime de li
      uomini, tra le quali vide già collocata quella de lo imperadore
      Arrigo di Lunzimborgo con la sua corona.]



      Forse semilia miglia di lontano
      ci ferve l'ora sesta, e questo mondo
      china già l'ombra quasi al letto piano,
      quando 'l mezzo del cielo, a noi profondo,
      comincia a farsi tal, ch'alcuna stella
      perde il parere infino a questo fondo;
      e come vien la chiarissima ancella
      del sol più oltre, così 'l ciel si chiude
      di vista in vista infino a la più bella.
      Non altrimenti il trïunfo che lude
      sempre dintorno al punto che mi vinse,
      parendo inchiuso da quel ch'elli 'nchiude,
      a poco a poco al mio veder si stinse:
      per che tornar con li occhi a Bëatrice
      nulla vedere e amor mi costrinse.
      Se quanto infino a qui di lei si dice
      fosse conchiuso tutto in una loda,
      poca sarebbe a fornir questa vice.
      La bellezza ch'io vidi si trasmoda
      non pur di là da noi, ma certo io credo
      che solo il suo fattor tutta la goda.
      Da questo passo vinto mi concedo
      più che già mai da punto di suo tema
      soprato fosse comico o tragedo:
      ché, come sole in viso che più trema,
      così lo rimembrar del dolce riso
      la mente mia da me medesmo scema.
      Dal primo giorno ch'i' vidi il suo viso
      in questa vita, infino a questa vista,
      non m'è il seguire al mio cantar preciso;
      ma or convien che mio seguir desista
      più dietro a sua bellezza, poetando,
      come a l'ultimo suo ciascuno artista.
      Cotal qual io la lascio a maggior bando
      che quel de la mia tuba, che deduce
      l'ardüa sua matera terminando,
      con atto e voce di spedito duce
      ricominciò: «Noi siamo usciti fore
      del maggior corpo al ciel ch'è pura luce:
      luce intellettüal, piena d'amore;
      amor di vero ben, pien di letizia;
      letizia che trascende ogne dolzore.
      Qui vederai l'una e l'altra milizia
      di paradiso, e l'una in quelli aspetti
      che tu vedrai a l'ultima giustizia».
      Come sùbito lampo che discetti
      li spiriti visivi, sì che priva
      da l'atto l'occhio di più forti obietti,
      così mi circunfulse luce viva,
      e lasciommi fasciato di tal velo
      del suo fulgor, che nulla m'appariva.
      «Sempre l'amor che queta questo cielo
      accoglie in sé con sì fatta salute,
      per far disposto a sua fiamma il candelo».
      Non fur più tosto dentro a me venute
      queste parole brievi, ch'io compresi
      me sormontar di sopr' a mia virtute;
      e di novella vista mi raccesi
      tale, che nulla luce è tanto mera,
      che li occhi miei non si fosser difesi;
      e vidi lume in forma di rivera
      fulvido di fulgore, intra due rive
      dipinte di mirabil primavera.
      Di tal fiumana uscian faville vive,
      e d'ogne parte si mettien ne' fiori,
      quasi rubin che oro circunscrive;
      poi, come inebrïate da li odori,
      riprofondavan sé nel miro gurge,
      e s'una intrava, un'altra n'uscia fori.
      «L'alto disio che mo t'infiamma e urge,
      d'aver notizia di ciò che tu vei,
      tanto mi piace più quanto più turge;
      ma di quest' acqua convien che tu bei
      prima che tanta sete in te si sazi»:
      così mi disse il sol de li occhi miei.
      Anche soggiunse: «Il fiume e li topazi
      ch'entrano ed escono e 'l rider de l'erbe
      son di lor vero umbriferi prefazi.
      Non che da sé sian queste cose acerbe;
      ma è difetto da la parte tua,
      che non hai viste ancor tanto superbe».
      Non è fantin che sì sùbito rua
      col volto verso il latte, se si svegli
      molto tardato da l'usanza sua,
      come fec' io, per far migliori spegli
      ancor de li occhi, chinandomi a l'onda
      che si deriva perché vi s'immegli;
      e sì come di lei bevve la gronda
      de le palpebre mie, così mi parve
      di sua lunghezza divenuta tonda.
      Poi, come gente stata sotto larve,
      che pare altro che prima, se si sveste
      la sembianza non süa in che disparve,
      così mi si cambiaro in maggior feste
      li fiori e le faville, sì ch'io vidi
      ambo le corti del ciel manifeste.
      O isplendor di Dio, per cu' io vidi
      l'alto trïunfo del regno verace,
      dammi virtù a dir com' ïo il vidi!
      Lume è là sù che visibile face
      lo creatore a quella creatura
      che solo in lui vedere ha la sua pace.
      E' si distende in circular figura,
      in tanto che la sua circunferenza
      sarebbe al sol troppo larga cintura.
      Fassi di raggio tutta sua parvenza
      reflesso al sommo del mobile primo,
      che prende quindi vivere e potenza.
      E come clivo in acqua di suo imo
      si specchia, quasi per vedersi addorno,
      quando è nel verde e ne' fioretti opimo,
      sì, soprastando al lume intorno intorno,
      vidi specchiarsi in più di mille soglie
      quanto di noi là sù fatto ha ritorno.
      E se l'infimo grado in sé raccoglie
      sì grande lume, quanta è la larghezza
      di questa rosa ne l'estreme foglie!
      La vista mia ne l'ampio e ne l'altezza
      non si smarriva, ma tutto prendeva
      il quanto e 'l quale di quella allegrezza.
      Presso e lontano, lì, né pon né leva:
      ché dove Dio sanza mezzo governa,
      la legge natural nulla rileva.
      Nel giallo de la rosa sempiterna,
      che si digrada e dilata e redole
      odor di lode al sol che sempre verna,
      qual è colui che tace e dicer vole,
      mi trasse Bëatrice, e disse: «Mira
      quanto è 'l convento de le bianche stole!
      Vedi nostra città quant' ella gira;
      vedi li nostri scanni sì ripieni,
      che poca gente più ci si disira.
      E 'n quel gran seggio a che tu li occhi tieni
      per la corona che già v'è sù posta,
      prima che tu a queste nozze ceni,
      sederà l'alma, che fia giù agosta,
      de l'alto Arrigo, ch'a drizzare Italia
      verrà in prima ch'ella sia disposta.
      La cieca cupidigia che v'ammalia
      simili fatti v'ha al fantolino
      che muor per fame e caccia via la balia.
      E fia prefetto nel foro divino
      allora tal, che palese e coverto
      non anderà con lui per un cammino.
      Ma poco poi sarà da Dio sofferto
      nel santo officio; ch'el sarà detruso
      là dove Simon mago è per suo merto,
      e farà quel d'Alagna intrar più giuso».






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      y en ese vuelo y en ese sueño
      compartir contigo sol y luna,
      siendo guardián en tu cielo
      y tren de tus ilusiones."
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      Dante Alighieri (1265-1321) - Página 8 Empty Re: Dante Alighieri (1265-1321)

      Mensaje por Maria Lua Vie 26 Abr 2024, 16:43

      CANTO TRIGÉSIMO


      EMPÍREO



      DIOS; ANGELES Y BEATOS
      ASCENCIÓN AL EMPÍREO; RIO DE I/UZ; .'LA ROSA DE LOS
      BEATOS; EL ASIENTO DE ENRIQUE VII
      Desaparece gradualmente la danza angélica en torno del Punto. Vuélvese el poeta hacia Beatriz, cuyai belleza se acrecienta. Beatriz
      le dice que está en el empíreo, y le promete la vista de los angeles bienaventurados. El poeta ve delante de sí un río de luz que
      corre entre márgenes de flores primaverales. El poeta ve una grar
      derla en forma de rosa, en cuyas hojas se sientan los bienaventurados. Beatriz le muestra un trono preparado para Enrique vn,
      cuyas magnánimas aspiraciones contrariaron los italianos.




      Tal vez, a seis mil millas de lejano,
      arde allá la hora sexta, y este mundo
      su sombra inclina, cuasi al lecho plano,
      cuando el centro del cielo más profundo
      comienza a ser, tal que una que otra estrella
      muestra en su fondo brillo moribundo;
      y a medida que avanza clara y bella,
      del sol la ancila, cierra el firmamento
      de luz en luz, a la que más destella;
      así el coro triunfal con su contento
      en torno al Punto, porque fui vencido,
      y que incluido parece en su elemento,
      poco a poco en mis ojos fué extinguido;
      y así a tornarlos a Beatriz amada,
      movióme amor y estar enceguecido.
      Si cuanto fué en mis cantos, alabada,
      pudiese condensar, con más riqueza,
      poco sería, para ser loada.
      Lo que yo vi, supera, en su belleza
      nuestro alcance, y aun vivo persuadido
      que sólo Dios se goza en su grandeza.
      Me doy en este paso por vencido,
      pues jamás escribiendo sobre un tema
      autor grave o festivo, más lo ha sido;
      que como el sol deslumhra ojo que trema,
      cuando recuerdo su sonrisa beata,
      la mente ofusca con su luz suprema.
      Desde aquel día en que la vi tan grata,
      en esta vida y en aquella vista,
      mi canto de su amor no se desata.
      Mas ora es bien que de seguir desista
      su beldad más allá, poetizando,
      como en su último esfuerzo hace el artista.
      A canto más sonoro encomendando
      el loor que mi trompa no le diera,
      voy mi difícil obra terminando.
      Con gesto y voz de quien hablando impera,
      comenzó: «Ved del cielo la luz pura:
      ya del más grande cuerpo estamos fuera;
      «luz de la mente, llena de ternura,
      de verdadero amor y de leticia,
      que trasciende doquiera su dulzura.
      «Verás del paraíso la milicia,
      la una y la otra, y la una con su aspecto
      en el día de la última justicia.»
      Como súbito lampo por su efecto
      quiebra fuerza visual, y que hasta priva,
      de ver al ojo ni el más grande objeto,
      así una circunfusa luz muy viva,
      ciñó mi vista con fulgente velo,
      privándola de fuerza perceptiva.
      «Siempre el amor que da la paz del cielo,
      de este modo saluda al bienvenido
      para encender la llama de su celo.»
      Al entrar estas voces en mi oído,
      y en el pecho me hubieron penetrado,
      sobre mi fuerza me sentí silbido;
      por nueva vista me sentí alumbrado,
      de modo tal, que contemplar pudiera
      el resplandor más vivo en lo creado.
      Entonces, vi fluyente una lumbrera,
      que corría cual río, entre dos ribas,
      pintadas de admirable primavera.
      De aquel río brotaban chispas vivas,
      que se engarzaban en las bellas flores,
      como en oro el rubí, luces activas.
      Embriagadas después en los olores,
      se sumergían en la luz fluyente,
      alternando con varios resplandores.
      «El gran deseo que te anima ardiente
      de mirar lo que ves, con vista clara,
      si a ti te place, a mí me es complaciente.
      «A beber de esas luces te prepara
      antes que tus deseos sean sacios.»
      De mis ojos el sol, así me hablara.
      «Este río que ves y estos topacios,
      que entran y salen, y el verdor sonriente,
      son de verdad sombríferos prefacios.
      «Pueden verse cual son muy fácilmente,
      y si tú no lo ves, es que turbada
      tu vista, nada vio más esplendente.»
      El infante, tan pronto la mamada
      no busca más ansioso al despertarse,
      cuando ha pasado la hora acostumbrada,
      como yo, por mejor ver espejarse
      mi vista inclino a la fluvial hoguera,
      que encierra la virtud de mejorarse.
      Y al par que de mis ojos la visera
      mojaba en ella, vi que redondeada
      en vez de larga, ante mis ojos fuera.
      Y como vése gente disfrazada,
      al mostrarse con máscaras depuestas,
      aparecer de pronto trasformadas,
      tal se cambiaron en mayores fiestas
      las ñores y las chispas; y así vide,
      ambas cortes del cielo manifiestas.
      ¡ Oh, tu, esplendor de Dios, por quien yo vide
      alto triunfo del reino verdadero!
      ¡ dame fuerza a decir como lo vide!
      Hay en la altura, celestial lucero
      que el Criador sólo muestra a la criatura,
      que en paz se goza en verle por entero,
      y que se extiende en circular figura,
      tan grande, que su gran circunferencia,
      fuera en torno del sol larga cintura:
      un solo rayo muestra en su apariencia,
      que del móvil primero es el reflejo,
      de quien toma su vida y su potencia.
      Cual colina que mírase al espejo
      del agua de su pie, por ver su adorno,
      con sus yerbas y flores en festejo,
      así sobre la luz que gira en tomo,
      en gradería inmensa vi espejadas
      a las almas, del mundo de retorno.
      Y si en ínfimo grado, están bañadas
      de tanta luz ¡cuánta la luz sería
      de esta rosa en sus hojas dilatadas!
      No en su amplitud mi vista se perdía,
      ni en su altura, midiendo aunque profano
      todo el cuánto y el cuál de su alegría.
      Allí, no hay nada lejos ni cercano,
      pues donde Dios, sin mediador gobierna,
      no tiene efecto ley del mundo humano.
      Al cáliz de oro de la i-osa eterna,
      que se dilata, y su loor ofrece
      en su perfume al sol, y nunca inverna,
      —como el que quiere hablar y que enmudece,—
      Beatriz me atrajo, y dijo: «¡ Mira, mira,
      cuanta candida veste aquí aparece!
      «¡Y ve nuestra ciudad que inmensa gira!
      ¡Mira esa gradería tan colmada,
      que poca gente más, tener aspira!
      «La gran silla que llama tu mirada,
      por corona que tiene sobrepuesta,
      antes que goces cena bienhadada
      «será ocupada por el alma honesta,
      del alto Enrique, que a la Italia triste
      . querrá ordenar antes de estar dispuesta.
      «Esa ciega codicia que os enviste,
      os asemeja al niño, que maligno,
      aun muerto de hambre, á la noclriz resiste.
      «Será Prefecto en tribunal divino,
      uno, que ni en lo público o privado,
      ha de marchar con él por un camino.
      «Más de su santo oficio, despojado
      pronto será por Dios, y echado al hondo,
      con el mago Simón por su pecado;
      «y empujará al de Alaña más al fondo.»



      638


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      Mensaje por Maria Lua Sáb 27 Abr 2024, 09:13

      CANTO XXXI


      [Canto XXXI, il quale tratta come l'auttore fue lasciato da
      Beatrice e trovò Santo Bernardo, per lo cui conducimento rivide
      Beatrice ne la sua gloria; poi pone una orazione che Dante fece a
      Beatrice che pregasse per lui lo nostro Segnore Iddio e la nostra
      Donna sua Madre; e come vide la Divina Maestà.]


      In forma dunque di candida rosa
      mi si mostrava la milizia santa
      che nel suo sangue Cristo fece sposa;
      ma l'altra, che volando vede e canta
      la gloria di colui che la 'nnamora
      e la bontà che la fece cotanta,
      sì come schiera d'ape che s'infiora
      una fïata e una si ritorna
      là dove suo laboro s'insapora,
      nel gran fior discendeva che s'addorna
      di tante foglie, e quindi risaliva
      là dove 'l süo amor sempre soggiorna.
      Le facce tutte avean di fiamma viva
      e l'ali d'oro, e l'altro tanto bianco,
      che nulla neve a quel termine arriva.
      Quando scendean nel fior, di banco in banco
      porgevan de la pace e de l'ardore
      ch'elli acquistavan ventilando il fianco.
      Né l'interporsi tra 'l disopra e 'l fiore
      di tanta moltitudine volante
      impediva la vista e lo splendore:
      ché la luce divina è penetrante
      per l'universo secondo ch'è degno,
      sì che nulla le puote essere ostante.
      Questo sicuro e gaudïoso regno,
      frequente in gente antica e in novella,
      viso e amore avea tutto ad un segno.
      Oh trina luce che 'n unica stella
      scintillando a lor vista, sì li appaga!
      guarda qua giuso a la nostra procella!
      Se i barbari, venendo da tal plaga
      che ciascun giorno d'Elice si cuopra,
      rotante col suo figlio ond' ella è vaga,
      veggendo Roma e l'ardüa sua opra,
      stupefaciensi, quando Laterano
      a le cose mortali andò di sopra;
      ïo, che al divino da l'umano,
      a l'etterno dal tempo era venuto,
      e di Fiorenza in popol giusto e sano,
      di che stupor dovea esser compiuto!
      Certo tra esso e 'l gaudio mi facea
      libito non udire e starmi muto.
      E quasi peregrin che si ricrea
      nel tempio del suo voto riguardando,
      e spera già ridir com' ello stea,
      su per la viva luce passeggiando,
      menava ïo li occhi per li gradi,
      mo sù, mo giù e mo recirculando.
      Vedëa visi a carità süadi,
      d'altrui lume fregiati e di suo riso,
      e atti ornati di tutte onestadi.
      La forma general di paradiso
      già tutta mïo sguardo avea compresa,
      in nulla parte ancor fermato fiso;
      e volgeami con voglia rïaccesa
      per domandar la mia donna di cose
      di che la mente mia era sospesa.
      Uno intendëa, e altro mi rispuose:
      credea veder Beatrice e vidi un sene
      vestito con le genti glorïose.
      Diffuso era per li occhi e per le gene
      di benigna letizia, in atto pio
      quale a tenero padre si convene.
      E «Ov' è ella?», sùbito diss' io.
      Ond' elli: «A terminar lo tuo disiro
      mosse Beatrice me del loco mio;
      e se riguardi sù nel terzo giro
      dal sommo grado, tu la rivedrai
      nel trono che suoi merti le sortiro».
      Sanza risponder, li occhi sù levai,
      e vidi lei che si facea corona
      reflettendo da sé li etterni rai.
      Da quella regïon che più sù tona
      occhio mortale alcun tanto non dista,
      qualunque in mare più giù s'abbandona,
      quanto lì da Beatrice la mia vista;
      ma nulla mi facea, ché süa effige
      non discendëa a me per mezzo mista.
      «O donna in cui la mia speranza vige,
      e che soffristi per la mia salute
      in inferno lasciar le tue vestige,
      di tante cose quant' i' ho vedute,
      dal tuo podere e da la tua bontate
      riconosco la grazia e la virtute.
      Tu m'hai di servo tratto a libertate
      per tutte quelle vie, per tutt' i modi
      che di ciò fare avei la potestate.
      La tua magnificenza in me custodi,
      sì che l'anima mia, che fatt' hai sana,
      piacente a te dal corpo si disnodi».
      Così orai; e quella, sì lontana
      come parea, sorrise e riguardommi;
      poi si tornò a l'etterna fontana.
      E 'l santo sene: «Acciò che tu assommi
      perfettamente», disse, «il tuo cammino,
      a che priego e amor santo mandommi,
      vola con li occhi per questo giardino;
      ché veder lui t'acconcerà lo sguardo
      più al montar per lo raggio divino.
      E la regina del cielo, ond' ïo ardo
      tutto d'amor, ne farà ogne grazia,
      però ch'i' sono il suo fedel Bernardo».
      Qual è colui che forse di Croazia
      viene a veder la Veronica nostra,
      che per l'antica fame non sen sazia,
      ma dice nel pensier, fin che si mostra:
      'Segnor mio Iesù Cristo, Dio verace,
      or fu sì fatta la sembianza vostra?';
      tal era io mirando la vivace
      carità di colui che 'n questo mondo,
      contemplando, gustò di quella pace.
      «Figliuol di grazia, quest' esser giocondo»,
      cominciò elli, «non ti sarà noto,
      tenendo li occhi pur qua giù al fondo;
      ma guarda i cerchi infino al più remoto,
      tanto che veggi seder la regina
      cui questo regno è suddito e devoto».
      Io levai li occhi; e come da mattina
      la parte orïental de l'orizzonte
      soverchia quella dove 'l sol declina,
      così, quasi di valle andando a monte
      con li occhi, vidi parte ne lo stremo
      vincer di lume tutta l'altra fronte.
      E come quivi ove s'aspetta il temo
      che mal guidò Fetonte, più s'infiamma,
      e quinci e quindi il lume si fa scemo,
      così quella pacifica oriafiamma
      nel mezzo s'avvivava, e d'ogne parte
      per igual modo allentava la fiamma;
      e a quel mezzo, con le penne sparte,
      vid' io più di mille angeli festanti,
      ciascun distinto di fulgore e d'arte.
      Vidi a lor giochi quivi e a lor canti
      ridere una bellezza, che letizia
      era ne li occhi a tutti li altri santi;
      e s'io avessi in dir tanta divizia
      quanta ad imaginar, non ardirei
      lo minimo tentar di sua delizia.
      Bernardo, come vide li occhi miei
      nel caldo suo caler fissi e attenti,
      li suoi con tanto affetto volse a lei,
      che ' miei di rimirar fé più ardenti.





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      "Ser como un verso volando
      o un ciego soñando
      y en ese vuelo y en ese sueño
      compartir contigo sol y luna,
      siendo guardián en tu cielo
      y tren de tus ilusiones."
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      Mensaje por Maria Lua Lun 29 Abr 2024, 08:29

      CANTO TRIGESTMOPRIMERO


      EMPÍREO



      DIOS; ANGELES Y BEATOS
      LA CANDIDA ROSA Y LAS ABEJAS ANGÉLICAS;
      SAN BERNARDO ; ORACIÓN A BEATRIZ; GLORIA DE LA VIRGEN
      MARÍA
      El poo-ta, extasiado, contempla en toda su gloria, en su rosa místlca_
      la forma, del paraíso. Al volverse hacia donde estaba Beatriz, para pedirle que le explique sus dudas, ve que ella na desaparecido.
      San Bernardo le muestra el trono en que está Beatriz sentada ai
      lado de Raquel en recompensa de sus virtudes. El poeta levanta
      hacia ella sus ojos y le agradece haberle guiado por los dos reinos, y le ruega que guarde su alma en la gracia que le ha; propiciado. San Bernardo invita al poeta a fijar sus ojos en las maravillas de) jardín celeste, y le señala la mfls hermosa de las criaínras. El poeta ve a la reina del cielo rodeada de angeles, y su
      felicidad es tan grande, que no se aítreve a 'describirla.




      Bajo la forma, pues, de blanca rosa,
      se me mostraba la milicia santa,
      que con su sangre Cristo hizo su esposa; 3
      Mas la otra, que volando mira y canta
      al esplendor de Aquel que la enamora,
      y a la inmensa bondad que la levanta, „
      cual multitud de abejas que se enflora,
      una vez y otra vez torna afanada
      donde su miel dulcísima elabora,
      a la gran flor bajaba, engalanada
      de tantas hojas, resurgiendo arriba,
      allí donde su amor tiene morada.
      Eran sus rostros como llama viva,
      sus alas de oro, y lo demás tan blanco,
      que ni la nieve a tal blancura arriba;
      y al descender así, de banco en banco,
      esparcían la paz y los ardores
      de Dios, batiendo el ala por su flanco.
      Aunque interpuesto, encima y entre flores,
      y el Punto, aquel, la multitud volante,
      no interceptaba vista ni esplendores;
      porque la luz divina es penetrante
      en los orbes, según cada uno es digno,
      y a eclipsarla, jamás nada es bastante.
      Aquel reino seguro y tan benigno,
      habitación de antigua y nueva gente,
      vista y amor, ponía en sólo un signo.
      ¡ Oh, trina luz! ¡ sólo astro refulgente,
      que cintilas, los ojos encantando!
      i Mira nuestro huracán piadosamente!
      Si el Bárbaro, de playas arribando
      que Hélice cubre en diario movimiento
      con el hijo que al lado va rotando,
      viendo de Roma el vasto monumento,
      se asombraba, mirando el Laterano,
      que es de cosas mortales el portento;
      yo, que al divino ser, del ser humano,
      hasta el eterno tiempo era venido,
      desde Florencia, a un pueblo justo y sano,
      ¡De cuan grande estupor sobrecogido,
      quedar debí, ante el sublime ejemplo,
      que ató mi lengua, y asordó el oído!
      Cual peregrino que llegado al templo
      donde le lleva un voto, está pensando
      describirlo al regreso, así contemplo
      la viva luz, mi vista levantando,
      que paseo vagante por las gradas,
      ora arriba, ora abajo, circulando.
      Faces veía en caridad bañadas,
      reflejos de otra luz, y con su riso,
      de púdicas virtudes adornadas.
      La forma general del paraíso,
      en su extensión había contemplado;
      mas sin fijarme en término preciso:
      por ardientes anhelos reanimado,
      busqué los ojos de mi dulce guía,
      de tantas maravillas, asombrado.
      En vez de la que ver me prometía,
      un anciano encontré, de noble aspecto
      que gloriosos vestidos revestía.
      Sus ojos difundían, del electo
      la benigna leticia, y silencioso,
      me miraba como a hijo, con afecto.
      «¿Dónde ella está?» le pregunté yo ansioso.
      Y él: «Tu Beatriz, para llenar tu anhelo,
      me ha hecho dejar mi sitio luminoso.
      «Mira al sumo ternario de este cielo,
      y la verás en trono refulgente,
      premio de. la virtud de que es modelo.»
      Mudo, la vista aleé súbitamente,
      y la vi que se hacía una corona,
      luz eterna irradiando de su frente.
      Del suelo nuestro en la más alta zona,
      ni aun el ojo del buzo tanto dista
      cuando a los hondos mares se abandona,
      cuánto distaba de Beatriz mi vista,
      pero bien distinguía su semblanza,
      pues no la interceptaba cosa mixta.
      «¡Mujer! ¡en quien florece mi esperanza!
      ¡ Tú, que por mi salud sufrir quisiste,
      en el infierno dándome amparanza!
      «En cuanta cosa tú mirar me hiciste,
      de la virtud que me has comunicado,
      reconozco la gracia que te asiste.
      «Yo era un esclavo: tú me has libertado,
      y me has puesto en la vía en que me ayude
      para alcanzar el término anhelado.
      «Que tu magnificencia mi alma escude
      de todo mal, para que torne sana
      cuando del cuerpo humano se desnude.»
      Así le hablé; y aquélla, tan lejana
      cual parecía, sonrió y miróme:
      luego volvióse a la eternal fontana.
      El santo anciano, dijo: «Porque tome
      tu pie mortal el salvador camino,
      movida elJa de amor, aquí mandóme.
      «Vuelve tu vista en el jardín divino,
      y que vuele encendida y sin retardo,
      hasta alcanzar el esplendor genuino.
      «La reina de los cielos, por quien ardo
      con todo amor dispensará su gracia,
      porque yo soy, sabrás, su fiel Bernardo.»
      Y como aquel que Tiene de la Croacia.
      de Verónica a ver la imagen nuestra,
      por su fama, y de verla no se sacia;
      y se dice entre sí, mientras se muestra:
      ¡Jesucristo, Dios mío verdadero!
      ¿Es verdad que así fué la cara vuestra?
      Así, yo contemplando aquel lucero
      de viva caridad, que en este mundo
      saboreó dulce paz, justo y sincero.
      «Hijo de gracia, este vivir jocundo,»
      así me dijo, «no ha de serte noto,
      si miras solamente a lo profundo.
      «Mira esos cercos, en lo más remoto,
      hasta ver en su trono a la regina,
      de que este reino es subdito devoto.»
      Y al mirar, como en hora matutina,
      brilla más del oriente el horizonte,
      que el occidente a donde el sol se inclina,
      vi como el valle que limita un monte,
      con mis ojos, brillar en la alta esfera,
      una luz superior como en tramonte,
      y como donde el Carro ver se espera,
      que mal guió Faetonte, más se inflama,
      y aquí y allí, toda otra ley supera;
      de este modo, el pacífico oriflama,
      avivado en su centro, se reparte,
      debilitando en torno toda llama;
      y tendiendo sus alas a esa parte,
      ángeles mil, festejan sus encantos,
      distinto cada cual en brillo y arte;
      allí vi, con sus juegos y sus cantos
      reir a una belleza, que leticia
      era a todos los ojos de los santos.
      Si tuviese en decir, tanta divicia
      cual para imaginar, nunca pudiera
      ni el bosquejo tentar de esta delicia.
      Cuando Bernardo vio que yo pusiera
      toda mi alma en la luz resplandeciente,
      y el amor en sus ojos más ardiera,
      mi extático mirar, fué más ferviente.



      644


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      Mensaje por Maria Lua Mar 30 Abr 2024, 17:21

      CANTO XXXII



      [Canto XXXII, ove tratta come santo Bernardo mostrò a Dante
      ordinatamente li luoghi de' beati del Vecchio e del Nuovo
      Testamento; e come a la voce de l'Arcangelo Gabriello laudavano
      nostra Madonna, cioè la Virgine Maria.]



      Affetto al suo piacer, quel contemplante
      libero officio di dottore assunse,
      e cominciò queste parole sante:
      «La piaga che Maria richiuse e unse,
      quella ch'è tanto bella da' suoi piedi
      è colei che l'aperse e che la punse.
      Ne l'ordine che fanno i terzi sedi,
      siede Rachel di sotto da costei
      con Bëatrice, sì come tu vedi.
      Sarra e Rebecca, Iudìt e colei
      che fu bisava al cantor che per doglia
      del fallo disse 'Miserere mei',
      puoi tu veder così di soglia in soglia
      giù digradar, com' io ch'a proprio nome
      vo per la rosa giù di foglia in foglia.
      E dal settimo grado in giù, sì come
      infino ad esso, succedono Ebree,
      dirimendo del fior tutte le chiome;
      perché, secondo lo sguardo che fée
      la fede in Cristo, queste sono il muro
      a che si parton le sacre scalee.
      Da questa parte onde 'l fiore è maturo
      di tutte le sue foglie, sono assisi
      quei che credettero in Cristo venturo;
      da l'altra parte onde sono intercisi
      di vòti i semicirculi, si stanno
      quei ch'a Cristo venuto ebber li visi.
      E come quinci il glorïoso scanno
      de la donna del cielo e li altri scanni
      di sotto lui cotanta cerna fanno,
      così di contra quel del gran Giovanni,
      che sempre santo 'l diserto e 'l martiro
      sofferse, e poi l'inferno da due anni;
      e sotto lui così cerner sortiro
      Francesco, Benedetto e Augustino
      e altri fin qua giù di giro in giro.
      Or mira l'alto proveder divino:
      ché l'uno e l'altro aspetto de la fede
      igualmente empierà questo giardino.
      E sappi che dal grado in giù che fiede
      a mezzo il tratto le due discrezioni,
      per nullo proprio merito si siede,
      ma per l'altrui, con certe condizioni:
      ché tutti questi son spiriti asciolti
      prima ch'avesser vere elezïoni.
      Ben te ne puoi accorger per li volti
      e anche per le voci püerili,
      se tu li guardi bene e se li ascolti.
      Or dubbi tu e dubitando sili;
      ma io discioglierò 'l forte legame
      in che ti stringon li pensier sottili.
      Dentro a l'ampiezza di questo reame
      casüal punto non puote aver sito,
      se non come tristizia o sete o fame:
      ché per etterna legge è stabilito
      quantunque vedi, sì che giustamente
      ci si risponde da l'anello al dito;
      e però questa festinata gente
      a vera vita non è sine causa
      intra sé qui più e meno eccellente.
      Lo rege per cui questo regno pausa
      in tanto amore e in tanto diletto,
      che nulla volontà è di più ausa,
      le menti tutte nel suo lieto aspetto
      creando, a suo piacer di grazia dota
      diversamente; e qui basti l'effetto.
      E ciò espresso e chiaro vi si nota
      ne la Scrittura santa in quei gemelli
      che ne la madre ebber l'ira commota.
      Però, secondo il color d'i capelli,
      di cotal grazia l'altissimo lume
      degnamente convien che s'incappelli.
      Dunque, sanza mercé di lor costume,
      locati son per gradi differenti,
      sol differendo nel primiero acume.
      Bastavasi ne' secoli recenti
      con l'innocenza, per aver salute,
      solamente la fede d'i parenti;
      poi che le prime etadi fuor compiute,
      convenne ai maschi a l'innocenti penne
      per circuncidere acquistar virtute;
      ma poi che 'l tempo de la grazia venne,
      sanza battesmo perfetto di Cristo
      tale innocenza là giù si ritenne.
      Riguarda omai ne la faccia che a Cristo
      più si somiglia, ché la sua chiarezza
      sola ti può disporre a veder Cristo».
      Io vidi sopra lei tanta allegrezza
      piover, portata ne le menti sante
      create a trasvolar per quella altezza,
      che quantunque io avea visto davante,
      di tanta ammirazion non mi sospese,
      né mi mostrò di Dio tanto sembiante;
      e quello amor che primo lì discese,
      cantando 'Ave, Maria, gratïa plena',
      dinanzi a lei le sue ali distese.
      Rispuose a la divina cantilena
      da tutte parti la beata corte,
      sì ch'ogne vista sen fé più serena.
      «O santo padre, che per me comporte
      l'esser qua giù, lasciando il dolce loco
      nel qual tu siedi per etterna sorte,
      qual è quell' angel che con tanto gioco
      guarda ne li occhi la nostra regina,
      innamorato sì che par di foco?».
      Così ricorsi ancora a la dottrina
      di colui ch'abbelliva di Maria,
      come del sole stella mattutina.
      Ed elli a me: «Baldezza e leggiadria
      quant' esser puote in angelo e in alma,
      tutta è in lui; e sì volem che sia,
      perch' elli è quelli che portò la palma
      giuso a Maria, quando 'l Figliuol di Dio
      carcar si volse de la nostra salma.
      Ma vieni omai con li occhi sì com' io
      andrò parlando, e nota i gran patrici
      di questo imperio giustissimo e pio.
      Quei due che seggon là sù più felici
      per esser propinquissimi ad Agusta,
      son d'esta rosa quasi due radici:
      colui che da sinistra le s'aggiusta
      è il padre per lo cui ardito gusto
      l'umana specie tanto amaro gusta;
      dal destro vedi quel padre vetusto
      di Santa Chiesa a cui Cristo le chiavi
      raccomandò di questo fior venusto.
      E quei che vide tutti i tempi gravi,
      pria che morisse, de la bella sposa
      che s'acquistò con la lancia e coi clavi,
      siede lungh' esso, e lungo l'altro posa
      quel duca sotto cui visse di manna
      la gente ingrata, mobile e retrosa.
      Di contr' a Pietro vedi sedere Anna,
      tanto contenta di mirar sua figlia,
      che non move occhio per cantare osanna;
      e contro al maggior padre di famiglia
      siede Lucia, che mosse la tua donna
      quando chinavi, a rovinar, le ciglia.
      Ma perché 'l tempo fugge che t'assonna,
      qui farem punto, come buon sartore
      che com' elli ha del panno fa la gonna;
      e drizzeremo li occhi al primo amore,
      sì che, guardando verso lui, penètri
      quant' è possibil per lo suo fulgore.
      Veramente, ne forse tu t'arretri
      movendo l'ali tue, credendo oltrarti,
      orando grazia conven che s'impetri
      grazia da quella che puote aiutarti;
      e tu mi seguirai con l'affezione,
      sì che dal dicer mio lo cor non parti».
      E cominciò questa santa orazione:








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      Mensaje por Maria Lua Mar 30 Abr 2024, 17:24

      CANfO TRIGESIMOSEGUNDO



      EMPÍREO


      DIOS; ANGELES Y BEATOS
      ARTIFICIO DE LA ROSA CELESTE;
      PÁRVULOS BIENAVENTURADOS ; MARÍA Y GABRIEL; LOS
      GRANDES PATRICIOS DE LA CELESTE JERUSALEN
      San Bernardo continúa explicando al poeta el orden en que están
      colocados los bienaventurados en el inmenso anfiteatro de la rosa
      mística. La rosa esta dividida en dos mitades, en cuyo centro se
      eleva el trono de la virgen. A los pies del trono está Eva y mas
      abajo, las mujeres judías. Frente al trono, se halla el de san
      Juan Bautista, y más abajo, los asientos ocupados por san Francisco, san Benito, sao Agustín y otros santos. Estos asientos dividen la rosa como por un muro de separación, entre los santos
      que creyeron en Jesucristo, antes y después de la redención. Una
      parte de la rosa está ocupada por ¡os niños, y san Bernardo explica al poeta por qué los inocentes tienen un lugar en ella, señalándole los santos más considerables que forman ei cortejo de
      la gloriosa virgen.




      Absorto, contemplando gracias tantas,
      vertió el doctor su gran sabiduría,
      de labios santos, con palabras santas: a
      «La llaga que cerró y ungió María,
      abrió y pungió esa mujer hermosa,
      que a sus plantas sentada se extasía. 0
      «En el tercer estado, está gloriosa,
      Eaquel y entre las hojas se levanta
      con Beatriz cual lo ves, y esplendorosa, „
      «Judit, Rebeca, Sara, y cual se encanta
      la bisabuela del cantor doliente
      que en la escritura el Miserere canta.
      «De grada y grada en la floral pendiente,
      están los que uno a uno iré nombrando,
      entre hoja y hoja cada cual sedente.
      «Hasta el sétimo grado remontando,
      y bajando, se ven a las hebreas,
      la flor en dos mitades separando;
      «porque según de Cristo en las ideas
      vivieron y en su fe, y forman muro
      partiendo las escalas elíseas.
      «De la flor en el círculo maduro,
      que sus hojas ostenta, están sentados
      los que creyeron en Jesús venturo.
      «En esos hemiciclos, raleados,
      están los que en el gran advenimiento
      creyeron de Jesús, al ser salvados;
      «y como en torno del glorioso asiento
      de la reina del cielo, los escaños
      forman un celestial compartimiento,
      «en frente está el gran Juan, libre de daños,
      el siempre santo, en soledad y pena,
      que en el infierno padeció dos años;
      «y más abajo, en su grandeza plena,
      Francisco, Benedicto y Agustino,
      y la falange que las gradas llena.
      «Admira el alto proceder divino,
      que la fe vieja y nueva tiene en cuenta,
      y les da en su jardín igual destino.
      «Abajo de aquel grado en que se ostenta
      la línea de las dos circunscripciones,
      nadie por propio mérito se sienta,
      «más por el de otro; en ciertas condiciones,
      que son almas del cuerpo separadas,
      sin la libre elección de sus acciones,
      «bien lo muestran sus faces delicadas,
      y el eco de sus voces infantiles,
      si por tí son bien vistas y escuchadas.
      «Tu duda veo, empero la sigiles:
      mas yo desataré las ligaduras,
      de esos tus pensamientos tan sutiles.
      «En la amplitud de estas regiones puras,
      es todo lo casual desconocido,
      como el hambre, la sed, las amarguras;
      «porque el orden eterno establecido
      en cuanto ves, se amolda justamente,
      como el anillo que va al dedo unido;
      «y la inocente, festinada gente,
      no penetra a esta vida sine causa,
      en grado más o menos excelente.
      «El rey que esta región rige con pausa,
      con tanto amor y con placer perfecto,
      —que 'voluntad ninguna, mas no ausa,—~
      «las almas todas con su ledo aspecto,
      creadas a su placer, de gracia dota,
      diversamente ¡ y bástete el efecto.
      «Y esto, claro y expreso se denota
      en los gemelos de la Biblia, aquellos,
      que en el vientre materno la ira azota.
      «Que así, cual da color a los cabellos,
      de tal luz los corona la alta gracia,
      para dar a la frente sus destellos.
      «Así, pues, por bondad que los congracia
      ocupan esas gradas, diferentes
      tan sólo por la ingénita eficacia.
      «Bastaba en otros siglos precedentes,
      para salvarse, sólo la inocencia,
      y la fe de los buenos ascendientes;
      «en tiempos posteriores, de existencia
      al dar vuelo a los niños, les conviene
      por la circuncisión, darles potencia;
      «mas cuando el tiempo de la gracia adviene,
      sin el bautismo candido de CRISTO,
      la inocencia en el limbo se retiene.
      «Ora mira la faz que más a CRISTO
      se asemeja; y la luz que ella fulgura,
      puede, sólo, ayudarte a ver a CRISTO.»
      Sobre ella vi llover tanta ventura,
      que esparcían los ángeles flotantes,
      creados para volar a tanta altura,
      que todo cuanto había visto enantes,
      de tanta admiración no me colmara
      cual ver de Dios los rasgos semejantes;
      y aquel amor primero que bajara,
      cantando: ¡Ave María gratia plena!
      delante de él, sus alas desplegara,
      Eespondió a la divina cantilena
      todo el celeste coro esclarecido,
      en radiación más pura y más serena.
      «¡ Oh, santo Padre, que por mí lias querido,
      dejar tu dulce sitio esplendoroso,
      que por decreto eterno te es debido!
      «I Qué ángel es ese, que al mirar gozoso
      a nuestra reina, ante su faz divina,
      parece iluminar fuego amoroso?»
      Así busqué enseñanza en la doctrina,
      de aquel, que se hermoseaba ante María,
      como ante el sol la estrella matutina.
      Y él a mí: «Cuanta gracia y gallardía,
      puede un ángel tener y cabe en alma,
      en él está conforme Dios lo fía:
      «él a María le llevó la palma,
      cuando el hijo de Dios, quiso piadoso,
      cargar con los pecados de nuestra alma.
      «Mas sigue mi palabra cuidadoso,
      a fin que con tus ojos patentices
      los patricios de reino tan piadoso.
      «Los dos más encumbrados y felices,
      por más cercanos de la reina augusta,
      son como de esta rosa las raíces.
      «El que a la izquierda de ella más se ajusta,
      el Padre fué, por cuyo osado gusto,
      la especie humana tanto acíbar gusta.
      «Mira a la diestra, aquel Padre vetusto
      de nuestra santa iglesia, a quien las llaves
      confia Dios de este jardín venusto.
      «Y el que antes de morir, vio en tiempos graves
      las conquistas de Cristo y de su esposa,
      con su lanza y sus clavos, como sabes,
      «está a su lado; y a su lado posa
      el guiador, bajo el cual vivió del mana
      gente ingrata, rebelde y veleidosa.
      «Sentada frente a Pedro, está santa Ana,
      de contemplar a su hija tan contenta,
      que ni ojos mueve por cantar ¡Hosana!
      «Y junto al más gran padre allí se ostenta,
      Lucía, que en tu trance de amargiira,
      para salvarte a tu Beatriz alienta.
      «Pero huye el tiempo que tu ensueño apura;
      pongamos punto, y como el sastre haremos,
      que mide x>orel paño la costura.
      «Al primo amor los ojos alzaremos,
      para que viéndolo, la luz penetres,
      de sus rayos profundos y supremos.
      «Y a fin que por acaso, no te enhetres,
      y al extender tu vuelo ultrapasarte,
      conviene que con pío ruego impetres,
      «gracia, de la que puede aquí ampararte;
      y tú me seguirás con afecciones,
      sin que de mí tu corazón se aparte.»
      Y comenzó sus santas oraciones.






      _________________



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      "Ser como un verso volando
      o un ciego soñando
      y en ese vuelo y en ese sueño
      compartir contigo sol y luna,
      siendo guardián en tu cielo
      y tren de tus ilusiones."
      (Hánjel)





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      Mensaje por Maria Lua Mar 30 Abr 2024, 17:26

      CANTO XXXIII



      [Canto XXXIII, il quale è l'ultimo de la terza cantica e ultima; nel
      quale canto santo Bernardo in figura de l'auttore fa una orazione
      a la Vergine Maria, pregandola che sé e la Divina Maestade si
      lasci vedere visibilemente.]



      «Vergine Madre, figlia del tuo figlio,
      umile e alta più che creatura,
      termine fisso d'etterno consiglio,
      tu se' colei che l'umana natura
      nobilitasti sì, che 'l suo fattore
      non disdegnò di farsi sua fattura.
      Nel ventre tuo si raccese l'amore,
      per lo cui caldo ne l'etterna pace
      così è germinato questo fiore.
      Qui se' a noi meridïana face
      di caritate, e giuso, intra ' mortali,
      se' di speranza fontana vivace.
      Donna, se' tanto grande e tanto vali,
      che qual vuol grazia e a te non ricorre,
      sua disïanza vuol volar sanz' ali.
      La tua benignità non pur soccorre
      a chi domanda, ma molte fïate
      liberamente al dimandar precorre.
      In te misericordia, in te pietate,
      in te magnificenza, in te s'aduna
      quantunque in creatura è di bontate.
      Or questi, che da l'infima lacuna
      de l'universo infin qui ha vedute
      le vite spiritali ad una ad una,
      supplica a te, per grazia, di virtute
      tanto, che possa con li occhi levarsi
      più alto verso l'ultima salute.
      E io, che mai per mio veder non arsi
      più ch'i' fo per lo suo, tutti miei prieghi
      ti porgo, e priego che non sieno scarsi,
      perché tu ogne nube li disleghi
      di sua mortalità co' prieghi tuoi,
      sì che 'l sommo piacer li si dispieghi.
      Ancor ti priego, regina, che puoi
      ciò che tu vuoli, che conservi sani,
      dopo tanto veder, li affetti suoi.
      Vinca tua guardia i movimenti umani:
      vedi Beatrice con quanti beati
      per li miei prieghi ti chiudon le mani!».
      Li occhi da Dio diletti e venerati,
      fissi ne l'orator, ne dimostraro
      quanto i devoti prieghi le son grati;
      indi a l'etterno lume s'addrizzaro,
      nel qual non si dee creder che s'invii
      per creatura l'occhio tanto chiaro.
      E io ch'al fine di tutt' i disii
      appropinquava, sì com' io dovea,
      l'ardor del desiderio in me finii.
      Bernardo m'accennava, e sorridea,
      perch' io guardassi suso; ma io era
      già per me stesso tal qual ei volea:
      ché la mia vista, venendo sincera,
      e più e più intrava per lo raggio
      de l'alta luce che da sé è vera.
      Da quinci innanzi il mio veder fu maggio
      che 'l parlar mostra, ch'a tal vista cede,
      e cede la memoria a tanto oltraggio.
      Qual è colüi che sognando vede,
      che dopo 'l sogno la passione impressa
      rimane, e l'altro a la mente non riede,
      cotal son io, ché quasi tutta cessa
      mia visïone, e ancor mi distilla
      nel core il dolce che nacque da essa.
      Così la neve al sol si disigilla;
      così al vento ne le foglie levi
      si perdea la sentenza di Sibilla.
      O somma luce che tanto ti levi
      da' concetti mortali, a la mia mente
      ripresta un poco di quel che parevi,
      e fa la lingua mia tanto possente,
      ch'una favilla sol de la tua gloria
      possa lasciare a la futura gente;
      ché, per tornare alquanto a mia memoria
      e per sonare un poco in questi versi,
      più si conceperà di tua vittoria.
      Io credo, per l'acume ch'io soffersi
      del vivo raggio, ch'i' sarei smarrito,
      se li occhi miei da lui fossero aversi.
      E' mi ricorda ch'io fui più ardito
      per questo a sostener, tanto ch'i' giunsi
      l'aspetto mio col valore infinito.
      Oh abbondante grazia ond' io presunsi
      ficcar lo viso per la luce etterna,
      tanto che la veduta vi consunsi!
      Nel suo profondo vidi che s'interna,
      legato con amore in un volume,
      ciò che per l'universo si squaderna:
      sustanze e accidenti e lor costume
      quasi conflati insieme, per tal modo
      che ciò ch'i' dico è un semplice lume.
      La forma universal di questo nodo
      credo ch'i' vidi, perché più di largo,
      dicendo questo, mi sento ch'i' godo.
      Un punto solo m'è maggior letargo
      che venticinque secoli a la 'mpresa
      che fé Nettuno ammirar l'ombra d'Argo.
      Così la mente mia, tutta sospesa,
      mirava fissa, immobile e attenta,
      e sempre di mirar faceasi accesa.
      A quella luce cotal si diventa,
      che volgersi da lei per altro aspetto
      è impossibil che mai si consenta;
      però che 'l ben, ch'è del volere obietto,
      tutto s'accoglie in lei, e fuor di quella
      è defettivo ciò ch'è lì perfetto.
      Omai sarà più corta mia favella,
      pur a quel ch'io ricordo, che d'un fante
      che bagni ancor la lingua a la mammella.
      Non perché più ch'un semplice sembiante
      fosse nel vivo lume ch'io mirava,
      che tal è sempre qual s'era davante;
      ma per la vista che s'avvalorava
      in me guardando, una sola parvenza,
      mutandom' io, a me si travagliava.
      Ne la profonda e chiara sussistenza
      de l'alto lume parvermi tre giri
      di tre colori e d'una contenenza;
      e l'un da l'altro come iri da iri
      parea reflesso, e 'l terzo parea foco
      che quinci e quindi igualmente si spiri.
      Oh quanto è corto il dire e come fioco
      al mio concetto! e questo, a quel ch'i' vidi,
      è tanto, che non basta a dicer 'poco'.
      O luce etterna che sola in te sidi,
      sola t'intendi, e da te intelletta
      e intendente te ami e arridi!
      Quella circulazion che sì concetta
      pareva in te come lume reflesso,
      da li occhi miei alquanto circunspetta,
      dentro da sé, del suo colore stesso,
      mi parve pinta de la nostra effige:
      per che 'l mio viso in lei tutto era messo.
      Qual è 'l geomètra che tutto s'affige
      per misurar lo cerchio, e non ritrova,
      pensando, quel principio ond' elli indige,
      tal era io a quella vista nova:
      veder voleva come si convenne
      l'imago al cerchio e come vi s'indova;
      ma non eran da ciò le proprie penne:
      se non che la mia mente fu percossa
      da un fulgore in che sua voglia venne.
      A l'alta fantasia qui mancò possa;
      ma già volgeva il mio disio e 'l velle,
      sì come rota ch'igualmente è mossa,

      l'amor che move il sole e l'altre stelle.





      [Explicit Liber Comedie
      Dantis Alagherii de Florentia]




      FINE




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      "Ser como un verso volando
      o un ciego soñando
      y en ese vuelo y en ese sueño
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      Mensaje por Maria Lua Mar 30 Abr 2024, 17:29

      CANTO TRÍGESIMOTERCERO



      EMPÍREO



      DIOS; ANGELES Y BEATOS
      LA SANTA ORACIÓN; INTERCESIÓN DE MARÍA; VISION DE
      LA DIVINIDAD ; LA ULTIMA SALUD
      Plegaria de san Bernardo a la virgen parafraseando la Salve, para
      que acuerde a Dante la gracia de contemplar la visita de Dios, y
      sacar saludables lecciones de lo que lia visto. El poeta siente que
      la potencia del rayo visual aumenta en él, y su vista, al penetrar
      en la eterna luz, percibe un triple circulo, los tres colores simbólicos del misterio de la trinidad. En el círculo central, ve la
      efigie humana, pero sin poder comprender cómo se combina la naturaleza mortal con la divina. Un súbito y nuevo resplandor de
      la gracia, le hace comprender lo que no podría por si ni repetir a
      los mortales, armonizándose la voluntad humana con la divina.




      «¡ Virgen y madre, la hija de tu hijo,
      alta y humilde como no hay criatura,
      del acuerdo eterna! término fijo!
      «Tú ennobleciste la humanal natura,
      tanto, que en su grandeza el Hacedor,
      no desdeñó encarnar su propia hechura.
      «Se reanimó en tu vientre el santo amor,
      y a su ealor, en paz eternamente,
      ha germinado esta divina flor.
      «Tú eres la meridiana refulgente
      de caridad aquí, y allá en el suelo
      de esperanza mortal la viva fuente.
      «Señora/es tan valioso tu consuelo,
      que quien pide merced, si a tí no corre,
      es cual volar sin alas, vano anhelo.
      «No sólo tu bondad pía socorre
      a quien demanda; a veces generosa,
      al que no pide con amor acorre.
      «En ti misericordia y luz piadosa;
      en ti magnificencia; en ti se aduna
      cuanto hay en la criatura bondadosa.
      «Ora este ser, que de ínfima laguna,
      la vida espiritual ha recorrido,
      por sus gradas subiendo, una por una,
      «ruega, le sea en gracia concedido,
      poder mirar con ojo levantado,
      a la final salud, fortalecido.
      «Y yo, que en contemplarte te he abrazado,
      pido por él, con voto más ferviente,
      que no en vano su gracia haya implorado;
      «y disipes las nubes de la mente
      de su mortalidad, y esplendorosa
      pueda ver la ventura claramente.
      «También te ruego, ¡Reina poderosa!
      quieras que guarde sus afectos sanos,
      después de una visión tan portentosa;
      «¡ Y le guardes de caer cual los humanos!
      Mira a Beatriz, con todos los electos,
      que a par de mi suplican con las manos.»
      Y los ojos que a Dios son tan dilectos,
      fijos en el que oraba, demostraron,
      que acogía en sus preces, sus afectos;
      y hacia la eterna luz se enderezaron;
      que ojos mortales, según creen y creo,
      nunca tan claramente penetraron.
      Y yo, que el fin de mis anhelos veo,
      tan próximo de mí, como debía,
      apago en mí las llamas del deseo.
      Bernardo me apuntaba, y sonreía,
      porque mirase arriba, pero ya era
      yo por mí mismo, lo que en mí quería;
      pues mi vista, más fija y más sincera,
      más y más se extendía penetrante
      en la alta luz eterna y verdadera.
      Vi con mayor poder más adelante,
      lo que a la lengua y a la vista excede,
      y postra la memoria vacilante.
      Como al que ve entre sueños, le sucede,
      que en pos del sueño, la impresión pasada
      queda en la mente, sin que más le quede;
      tal estoy, cuando casi disipada
      la visión, todavía me destila
      dulzura al corazón de ella emanada.
      Así la nieve al sol se desigila,
      así el viento se lleva en hojas leves
      las sentencias que lanza la Sybila.
      ¡Oh, suma luz, que en las alturas mueves
      los mortales conceptos, da a mi mente
      un poco del poder con que me eleves!
      ¡Y haz que mi lengua sea tan potente,
      que al menos una chispa de tu gloria
      pueda dejar a la futura gente;
      que al retornar un tanto en mi memoria,
      y hacer mi verso un poco resonante,
      acrezca en su concepto tu victoria!
      Pienso, que de aquel rayo penetrante
      la viva luz me habría desmarrido,
      a no apartar los ojos al instante;
      mas recuerdo, que fui más atrevido,
      al encarar de cerca el gran aspecto
      del supremo Valer indefinido.
      ¡ Gracia abundante, que como a un electo,
      me ba permitido ver la luz eterna,
      hasta perder mi vista por completo!
      En su profundo ser, vi cual se interna,
      en un volumen por amor atado,
      cuanto el vasto universo descuaderna;
      sustancia y accidente, combinado
      todo de modo tal, que forma un todo,
      de que es vislumbre lo por mí narrado.
      ¡ La forma universal, su nudo y modo,
      pienso que vi, porque en contentos largos,
      esto al decir, aun gozo sobre todo!
      Un instante me trajo más letargos,
      que veinte y cinco siglos de la empresa,
      en que Neptuno vio la sombra de Argos.
      Así la mente, llena de sorpresa,
      mirando inmóvil, con fijeza atenta,
      cuanto más mira ardiente, se embelesa.
      Y de tal modo aquella luz me alienta,
      que dejarla de ver por otro aspecto,
      no hay humano poder que lo consienta;
      por cuanto el bien, que es del querer objeto,
      se encierra en ella; y fuera de su llama,
      es defectuoso lo que allí es perfecto.
      Ora que su presencia no me inflama,
      es mi recuerdo como el de un infante
      que se baña la lengua en lo que mama.
      No que variase el único semblante
      ele aquella viva luz que contemplaba,
      que es siempre igual como la vi delante,
      sino porque mi vista se esforzaba,
      haciendo ver en sólo una apariencia
      lo que en mí y no en ella se mudaba.
      En la profunda y trasparente esencia
      de la alta luz, tres cercos percibía,
      de tres colores, de una continencia.
      Uno de otro, el reflejo parecía,
      como dos iris, y el tercero un foco
      del fuego que en los dos resplandecía.
      No alcanza mi palabra a lo que evoco,
      para pintar las celestiales llamas,
      ¡y es tanto, que no basta decir poco!
      ¡Oh luz eterna, que en tu luz te inflamas,
      que te comprendes, y de ti entendida
      al entenderte te sonríes y amas!
      Aquella irradiación de ti nacida,
      que parecía en ti, luz reflejada,
      por mis ojos fué un tanto percibida.
      Dentro de sí, con su color pintada,
      me pareció mirar nuestra figura,
      reconcentrando en ella la mirada.
      Como afanoso geómetra procura,
      sin hallar el principipo que le mueva,
      del círculo encontrar la cuadratura;
      así me hallaba ante visión tan nueva,
      queriendo comprender cual se adunaba
      el cerco con la imagen, que en sí lleva.
      Con mis alas, tan alto no volaba,
      cuando repercutir sentí en la mente,
      un fulgor que su anhelo condensaba:
      ya mi alta fantasía fué impotente;
      mas cual rueda que gira por sus huellas,
      el mío y su querer movió igualmente,


      el amor que al sol mueve y las estrellas.




      FIN



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      siendo guardián en tu cielo
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      Mensaje por Maria Lua Lun 27 Mayo 2024, 16:53

      La Divina Comedia de Dante


      Contexto histórico

      Nos situamos en Florencia, una de las ciudades más prósperas de Europa, localizada entre Roma y Milán, en los siglos XIII-XIV. Políticamente, hay tres bandos: los güelfos blancos (donde militaba nuestro autor), que defendían la autonomía de Florencia; los güelfos negros, que apoyaban las aspiraciones políticas del Papa, que entonces gobernaba los llamados Estados Pontificios, unas tierras cercanas a Florencia; y los gibelinos, adeptos del feudalismo protegido por el emperador del Sacro Imperio Romano Germánico, con sede en la actual Alemania.

      Varias veces en el poema Dante agrupa las dos facciones güelfas en un solo bando, y menciona simplemente los güelfos y los gibelinos, es decir, los pro-Italia y los pro-Alemania, aunque estos términos sean anacrónicos, pues en aquel siglo no existían esos países así como los conocemos hoy en día.


      Dante
      Luego, la persona del autor. Nacido en 1265 en una familia de comerciantes, a los nueve años vio por primera vez a una chica, Beatriz (en su lengua, Beatrice), y ese encuentro le marcó profundamente. Según Luka Brajnovic, “se puede identificar este personaje [Beatriz], casi con toda seguridad, con Bice, hija de Folco Portinari, casada con Simone de Bardi, muerta en 1290”, por tanto, a los 25 años, ya que ella tenía la misma edad que Dante.

      Esa muerte precoz de la amada parece haber sido el detonante para el inicio de la vida literaria de Dante Alighieri, una vez que pocos años después (1295) publicará Vida nueva, su primer libro. Pero, diferentemente de las fantasiosas musas que inspiraban a los poetas griegos, lo que Dante nutre por ella va mucho más allá de una mera iluminación poética. Llegó a prometer decir de Beatriz “lo que nunca fue dicho de ninguna mujer”, tamaño fue el encanto y la veneración que le tributó. Y ya no la podrá olvidar por toda su vida, pues cumplirá su promesa precisamente en la Divina comedia, concluida en 1321, el mismo año de su muerte.




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      Mensaje por Maria Lua Lun 27 Mayo 2024, 16:54

      ***

      Beatriz


      Nuestro autor amó a Beatriz de modo idealizado y platónico, de manera que esa pasión no le impidió casarse, en 1283, es decir con dieciocho años de edad y por tanto cuando Beatriz aún vivía, con Gemma di Manetto, una mujer de la aristocracia burguesa de la casa Donati (de los güelfos negros). Tuvieron cuatro hijos: Jacobo, Pietro, Antonia (luego monja, con el significativo nombre de Beatriz) y Giovanni. Pero una pregunta se hace aquí forzosa. ¿Por qué Dante no se casó con Beatriz, si la amaba desde los nueve años? De un lado, cuando lees la Divina comedia, notas una Beatriz que corrige a Dante, que le exige, le reprende, apenas le sonríe, lo que quizás indique que no haya correspondido a su amor entonces.

      De otro lado, es posible que, aunque hubieran querido casarse, no hayan podido hacerlo, dado que, en aquella época y localidad, no era raro que el cónyuge fuera elegido por los padres, y no por uno mismo (tanto en el caso de la mujer como en el del hombre). A lo mejor a los dieciocho años Dante ya no nutría esperanzas de poder casarse con Beatriz, así que accedió a casarse con Gemma.

      Matrimonio


      Un pequeño inciso – poco frecuente en textos de este tipo – vale la pena hacer aquí. ¿Fue el matrimonio de Dante con Gemma una cosa falsa y fingida, puesto que no la amaba, sino a Beatriz? Volvamos al inicio del párrafo anterior. Beatriz era real, pero sin duda fue idealizada, como los buenos poetas saben hacer con sus musas. Tengamos en cuenta que Dante empieza a componer la Divina comedia a los 39 años de edad (1304), más de dos décadas después de haber encontrado a Beatriz por última vez (1283). Ahora dime tú, ¿qué recuerdos tienes de algo fuerte que hayas vivido hace 21 años? ¿Y hace 30 años (Dante se encontró por primera vez con Beatriz en 1274)? Pues, seguramente tienes muchos recuerdos de ello (si tienes edad para ello), pero debes reconocer que todo este tiempo va poco a poco cambiando las impresiones reales y convirtiéndolas cada vez más en subjetivas y afectivas, más que en imparciales y desapasionadas.

      Además, Dante y Beatriz nunca habían sido novios ni nada por el estilo. Por ello, es posible suponer que a lo mejor mucho del amor que él tenía por su esposa Gemma haya sido poéticamente encauzado hacia la figura de Beatriz, a fin de centralizar todo en una única figura femenina. Me parece imposible afirmar que un matrimonio fiel por toda la vida y además con cuatro hijos no se haya mantenido así a causa de un verdadero amor. Sucede que a menudo un amor real y, por así decirlo, “realizado” aparentemente goza de menos atractivo emocional para un poema épico. En este sentido, Gemma puede haber sido una segunda “beatriz” de Dante, una fuente de inspiración real para lo que él narró en la Divina comedia.




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      Mensaje por Maria Lua Lun 27 Mayo 2024, 16:57

      ***

      Exilio


      Si el choque por la prematura muerte de aquella bella señora puede haberle causado todo ese enamoramiento retroactivamente en su memoria, ese no fue el único factor para haberla escogido como figura clave de esa epopeya de ultratumba. Sabemos que en 1302 Dante tuvo que exiliarse de Florencia. Había ido a Roma como embajador de su ciudad, y, mientras se encontraba fuera, los güelfos negros tomaron el poder, y ya no le dejaron volver.

      Primero se fue a Verona, más al norte de la península itálica, luego a distintas ciudades cercanas, hasta acabar en Rávena, donde murió. El inicio de la escritura de la Divina comedia, en 1304, se sitúa por tanto ya en el exilio, fuera de Florencia. El no poder volver a su amada tierra natal le desgarró el corazón, como con la temprana muerte de Beatriz.

      Así pues, se nota en Dante un corazón noble y nostálgico: ama, pero lo que ama siempre le es quitado definitivamente; ama, y sigue fiel a ese amor pase lo que pase. En este sentido, la ciudad de Florencia le es como una nueva musa inspiradora, una tercera “beatriz”, distante de la cual se inspira a poner por obra quizás la más excelsa obra literaria occidental. Por eso el libro mezclará con tanta cercanía su amor patrio (a Florencia), su amor humano (a Beatriz) y su amor divino (a Dios).


      Las partes de la obra

      El libro se divide en tres cánticos denominados infierno, purgatorio y paraíso, es decir, los novísimos, según la doctrina de la Iglesia.
      La primera tiene 34 cantos (1 introductorio y 33 de cuerpo) y las otras dos 33 cada una, totalizando 100 cantos. La simbología de los números indica la relación con la Santísima Trinidad: un solo Dios y tres personas divinas.

      Literariamente, se incluye en la tradición del llamado Dolce stil nuovo (Dulce estilo nuevo), con acentos en la sinceridad, la intimidad, la nobleza y el amor cortés. Como explicó en De vulgari eloquentia (1305), Dante veía también en el idioma vulgar (que es algo parecido a lo que hoy llamamos “italiano”) “un instrumento para hacer cultura y producir belleza, y no solo para ser utilizada para los intercambios comerciales”. Por eso prefirió escribir su poema en la lengua que él hablaba: una mezcla de italiano con latín, resumiendo.

      Si un cierto pragmatismo se asoma en esa elección, todo lo contrario se nota en la temática de los cantos. Ahí encontramos temas literarios, políticos, científicos, eclesiásticos, filosóficos, teológicos, espirituales y amorosos. Como estamos en el siglo siguiente al del inicio de las primeras universidades europeas, cuyo objetivo era alcanzar la profunda unidad y universalidad del saber (de ahí la palabra “universitas”, del latín), él intenta abarcarlo todo en su obra. Mirando hacia los dos siglos siguientes, servirá de preparación para el humanismo y el Renacimiento, cuyo centro no se dio sino en la misma península itálica.






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      Mensaje por Maria Lua Miér 29 Mayo 2024, 09:20

      ***
      El verso


      Cuando empiezas a leerlo, te das cuenta de que todos los versos tienen más o menos el mismo tamaño. Son endecabílabos, lo que significa que tienen once sílabas poéticas, cuando la última sílaba no es acentuada (cuando sí lo es, el verso tiene solo diez sílabas, para conservar la musicalidad del verso; si lo lees en voz alta medio cantando lo percibirás). A su vez, las estrofas están encadenadas del modo que se vino a llamar terzina dantesca, o sea, el final del primer verso rima con el final del tercero, y el segundo rima con el cuarto y el sexto, y el quinto con el séptimo y el noveno… en fin, es un poco difícil de explicar sin dibujar, pero el esquema es este: ABA BCB CDC y así sucesivamente.

      Si quieres entenderlo en detalle es mucho más fácil que lo busques en internet. Te vas a sorprender aún más con el ingenio que hace falta para seguir rigurosamente este esquema durante los más de 14 mil versos que componen la Divina comedia.

      Sobre la forma ya basta, vayamos ahora al contenido. El viaje dantesco por el “otro mundo” dura una semana (de 7 a 13 de abril de 1300) y es en primera persona. Se nota este rasgo biográfico ya en el primer verso: “Nel mezzo del camin di nostra vita” (En el medio del camino de nuestra vida), o sea, se pone en marcha cuando tenía 35 años. Al inicio se encuentra en un callejón sin salida, rodeado por tres bestias y es rescatado por Virgilio, su poeta favorito, que le propone guiarlo a través de los reinos de ultratumba.









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      Mensaje por Maria Lua Miér 29 Mayo 2024, 09:22

      ***

      Infierno


      Empiezan por el infierno, en cuyo dintel se recomienda: “Lasciate ogni speranza o voi ch’entrate” (Dejad toda esperanza, vosotros que entráis). Este no es el sitio para tener esperanza de nada bueno, sino un hondo precipicio que llega hasta el centro de la Tierra, donde está preso el mismo Lucifer. Este precipicio surgió con la caída de Lucifer desde el cielo, tan tremenda que generó un enorme agujero, un vacío, una nada, como aludiendo al mismo mal, que no es criatura de Dios, no tiene esencia, es solamente la privación del bien, como el frío no es nada sino la privación del calor, o como la oscuridad no es nada sino la privación de la luz. De hecho, Lucifer se encuentra ahí en un sitio oscuro y congelado (sí, en medio del hielo, aunque el fuego estuviera en otras partes del infierno). Él ha elegido ser nada, en vez de ser fiel al Bien, y por eso padece indeciblemente, él y los que le siguieron, ángeles y humanos.

      Todo el infierno, como luego el purgatorio y el paraíso, están ordenados por zonas, como la mentalidad escolástica en boga prescribía (échale un vistazo al índice de la Suma teológica, de santo Tomás de Aquino, para tener un barrunto de hasta qué extremos puede llegar la virtud del orden). El infierno tiene forma de embudo y se divide en nueve círculos, cada vez más abajo hasta llegar al luciferino, divididos por grupos de pecadores según niveles de gravedad del pecado.



      Pecados


      El nivel más bajo es el de la traición, el pecado más grave según el autor, por eso en la boca de Lucifer están Judas Iscariote (el que traicionó a Jesús), Bruto y Casio (los que traicionaron a Julio César). En el canto XIV, verso 51, dice un condenado: “Qual io fui vivo, tal son morto” (Cual yo fui vivo, tal soy muerto), o sea, el réprobo permanece siendo el mismo después de su muerte, de modo que las penas del infierno tienen directa relación con sus pecados en la Tierra. Las consecuencias indican sus causas.

      Por ejemplo, los que en la Tierra fueron esclavos de su estómago (golosos) ahora se encuentran continuamente con la boca en el fango inmundo. Ahí encontrarás a políticos, a eclesiásticos (incluso a Papas), a nobles, a comerciantes; a todo tipo de gente. En medio a eso, Dante se aflige enormemente y va preguntando a Virgilio lo que no entiende. Se siente pesado en el infierno, sufre con el sufrimiento ajeno. Quiere salir de ahí.




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      Mensaje por Maria Lua Miér 29 Mayo 2024, 09:23

      ***

      Purgatorio


      Tras llegar a Lucifer, ambos se meten por un pasaje y salen al otro lado del globo terrestre (sí, ellos sabían que la tierra era esférica, aunque todavía pensaran que era el centro del universo), y ahí divisan la montaña del purgatorio. La espantosa caída de Lucifer al otro lado del planeta había desplazado la masa de tierra, generando, en el lado opuesto, una montaña. En la Biblia, la montaña es el sitio del diálogo con Dios, de la oración, asequible a la capacidad humana, a pesar de requerir esfuerzo y causar fatiga. Ahí están los que agridulcemente sufren purificándose de sus imperfecciones mientras esperan el cielo tarde o temprano, ya con esperanza. Siete terrazas dividen el purgatorio, de acuerdo con los siete pecados capitales, pero ahora el orden es el inverso: al inicio de la montaña encuentran los pecados más graves, que están más lejos del cielo.

      A diferencia del infierno y del paraíso, en el purgatorio no se encuentran ángeles, sino solo hombres. Las marcas que los pecados dejaron en esas personas están inscritas en sus frentes, ya no se pueden ocultar a nadie, y poco a poco son borradas a medida que avanzan en su purgación.







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      Mensaje por Maria Lua Miér 29 Mayo 2024, 09:24

      ***

      Cielo


      En la cumbre de la montaña dan con el paraíso terrenal, donde estuvieron Adán y Eva y desde el cual Dante accede al paraíso celestial. Y ahí Virgilio se ve impedido de seguir guiándole a Dante. Como poeta pagano, no es apto para ascender a los cielos, simplemente no puede. Sin embargo, a esta altura del trayecto, su discípulo ya se encuentra suficientemente compungido y enmendado como para cruzar el umbral del paraíso.

      En el canto XXX del purgatorio Dante ve una mujer coronada de ramos de olivo y vestida con los colores de las tres virtudes teologales: la fe (el velo blanco que cubre su rostro), la esperanza (el manto verde) y la caridad (el vestido rojo). Dante no la distingue a primera vista, y cuando va a preguntar a Virgilio quién es esta dama, se da cuenta de que Virgilio ha desaparecido, ya no está con él. Dante llora, mientras tanto Beatriz viene hacia él, le llama por el nombre y le reprocha por su mala vida hasta entonces. Es su última conversión hasta pisar el reino de los justos.

      De la mano de Beatriz, cuyo nombre significa “la que hace beato, feliz”, nuestro protagonista se adentra en el paraíso. El recorrido ahora ya no se hará a fuerza de pasos, con cansancio. Lo natural del hombre se queda corto, y tiene que acudir a lo sobrenatural, a la fuerza divina, para poder volar por las nueve esferas celestes que le quedan para llegar a contemplar a Dios. Ahí ya no padece con lo que ve, oye o siente. Todo es gozo, caridad, fraternidad. Los bienaventurados reciben bien a Dante y a su guía, son cordiales, ligeros de peso, rápidos de movimiento.

      Los santos


      En cierto momento, encuentran a santo Tomás de Aquino, quien, siendo dominico, elogia a san Francisco de Asís delante del franciscano san Buenaventura de Bagnoregio, quien, a su vez, enseguida retribuye elogiando a santo Domingo de Guzmán delante del dominico aquinate. Entre otros santos, Dante encuentra en el paraíso a su tatarabuelo Cacciaguida, que había muerto en Tierra Santa en 1147 durante una batalla cruzada. En el canto XXIV, Beatriz invita a san Pedro a que examine la fe de Dante. Echando mano de rigurosos razonamientos e distinciones escolásticas, nuestro “turista de ultratumba” dice que la fe es el principio sobre el cual se apoya la esperanza en la vida futura, y la premisa de la cual debemos partir para explicar lo que no vemos. El príncipe de los apóstoles le aprueba efusivamente y siguen adelante. Luego será examinado en la esperanza por Santiago el Mayor, y en el amor por san Juan.



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      Mensaje por Maria Lua Miér 29 Mayo 2024, 09:25

      ***

      Despedida



      Superadas las nueve esferas celestes, Dante tiene que enfrentarse con otra despedida. Beatriz ya no puede seguir guiándole en el empíreo, donde está propiamente la rosa de los bienaventurados, el anfiteatro más elevado donde están la santísima Virgen María y los santos más elevados.

      En el canto XXXI del paraíso san Bernardo de Claraval asume la ultimísima guía de Dante, ya a las puertas de la contemplación del Eterno. Es en el último canto de la obra, el XXXIII, donde leemos: “Vergine Maria, figlia del tuo figlio” (Virgen María, hija de tu hijo), y así empieza una de las más bellas alabanzas a la Madre de Dios. Al mirar directamente a la luz divina, en ella encuentra todo por lo cual esperaba, todo aquello que le satisface. En esa luz distingue los contornos de una figura humana, y no encuentra palabras para describir a Dios. Lo único que consigue decir es que ahora su voluntad está movida por “l’amore che move il sole e l’altre stelle” (el amor que mueve el sol y las demás estrellas).




      Contemplación


      Así concluye la Divina comedia: con una contemplación inefable de la esencia divina en forma de luz. Por el arte y la razón, representados en Virgilio, Dante se dio cuenta de sus errores; por el amor humano, representado en Beatriz, se preparó para estar en la presencia directa de Dios; y por la amistad con los santos, representados en san Bernardo de Claraval, pudo alcanzar la bienaventuranza sin fin. En el infierno la fe de Dante es confirmada, al comprobar la veracidad de tantas cosas en las cuales creía; en el purgatorio comparte la esperanza de los lugareños por el cielo; por fin en el paraíso puede unirse amorosamente al Creador y a sus santas criaturas. Durante el pasaje por el infierno y el purgatorio las demás criaturas le afectaban interiormente solo a través de los sentidos, pues él no llegaba verdaderamente a comulgar con su entorno. Pero, una vez en el paraíso, los ángeles y hombres que va encontrando están dispuestos a ayudarle, y por eso Dante se abre y acoge esos dones. Todos ganan, porque hay una fuente inagotable de bienes, que es el mismo Bien.

      Dante supo maravillosamente captar y transmitir lo verdadero, lo bello y lo bueno de la realidad, a pesar de todas las dificultades que enfrentó en su vida. La temprana muerte de Beatriz y el exilio definitivo de Florencia podrían haberle dejado un rasgo trágico impreso en el carácter. Sin embargo, con la fuerza de su fe, él aprendió que lo trágico de la vida – cuando lo hay – es solo el primer capítulo. Todavía quedan los siguientes. No hay que desesperarse. Espera, sigue el camino de la belleza con paciencia, abrázate a tus verdaderos amores. Serás ayudado, tendrás que arrepentirte muchas veces, pero, con la gracia de Dios, pronto llegarás adonde te han conducido tus propias acciones.



      FIN



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