Aires de Libertad

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      Mensaje por Maria Lua Dom 03 Ene 2021, 06:33

      CANTO XI.


      ARGOMENTO
      Volti a sinistra si avanzano verso il mezzo e si fermano sulla ripa
      del settimo cerchio. Virgilio richiesto da Dante l’istruisce sulla
      condizione dei tre cerchi, che restano loro a percorrere: quello,
      cioè, dei violenti, che è il settimo; quello dei fraudolenti, che è
      l’ottavo; e quello dei traditori, che è il nono. Dopo tale ragiona -
      mento discendono.


      In su l’estremità di un’alta ripa,
      Che facevan gran pietre rotte in cerchio,
      Venimmo sopra più crudele stipa: 3
      E quivi per l’orribile soperchio
      Del puzzo, che il profondo abisso gitta,
      Ci raccostammo dietro ad un coperchio 6
      D’un grande avello, ov’io vidi una scritta,
      Che diceva: ANASTASIO PAPA GUARDO,
      LO QUAL TRASSE FOTIN DELLA VIA DRITTA. 9
      Lo nostro scender conviene esser tardo,
      Sì che s’ausi in prima un poco il senso
      Al tristo fiato, e poi non fia riguardo. 12
      Così il Maestro. E io: Alcun compenso,
      Dissi lui, trova che il tempo non passi
      Perduto. Ed egli: Vedi, ch’a ciò penso. 15
      Figliuolo mio, dentro a cotesti sassi,
      Cominciò poi a dir, son tre cerchietti
      Di grado in grado, come quei che lassi. 18
      Tutti son pien di spirti maledetti:
      Ma perchè poi ti basti pur la vista,
      Intendi come e perchè son costretti. 21
      D’ogni malizia, ch’odio in cielo acquista,
      Ingiuria è il fine; e ogni fin cotale
      O con forza o con frode altrui contrista. 24
      Ma perchè frode è dell’uom proprio male,
      Più spiace a Dio; e però stan di sutto
      Gli frodolenti, e più dolor gli assale. 27
      De’ violenti il primo cerchio è tutto;
      Ma perchè si fa forza a tre persone,
      In tre gironi è distinto e costrutto. 30
      A Dio, a sè, al prossimo si puone
      Far forza; dico in loro e in lor cose,
      Come udirai con aperta ragione. 33
      Morte per forza e ferute dogliose
      Nel prossimo si danno, e nel suo avere
      Ruine, incendi e collette dannose: 36
      Onde omicidi, e ciascun che mal fiere,
      Guastatori, e predon tutti tormenta
      Lo giron primo per diverse schiere. 39
      Può uomo avere in sè man violenta,
      E ne’ suoi beni; e però nel secondo
      Giron convien che senza pro si penta 42
      Qualunque priva sè del vostro mondo,
      Biscazza e fonde la sua facultade,
      E piange là dove esser dee giocondo. 45
      Puossi far forza nella Deitade,
      Col cor negando e bestemmiando quella,
      E spregiando Natura e sua bontade: 48
      E però lo minor giron suggella
      Del segno suo e Soddoma e Caorsa,
      E chi, spregiando Dio, col cuor favella. 51
      La frode, ond’ogni coscienza è morsa,
      Può l’uomo usare in quei che in lui si fida,
      E in quei che fidanza non imborsa. 54
      Questo modo di retro par che uccida
      Pur lo vincol d’amor, che fa Natura;
      Onde nel cerchio secondo s’annida 57
      Ipocrisia, lusinghe, e chi affattura,
      Falsità, ladroneccio, e simonia,
      Ruffian, baratti, e simile lordura. 60
      Per l’altro modo quell’amor s’obblia,
      Che fa Natura, e quel, ch’è poi aggiunto,
      Di che la fede spezial si cria: 63
      Onde nel cerchio minore, ov’è il punto
      Dell’universo, in su che Dite siede,
      Qualunque trade in eterno è consunto. 66
      E io: Maestro, assai chiaro procede
      La tua ragione, e assai ben distingue
      Questo baratro, e il popol che il possiede. 69
      Ma dimmi: Quei della palude pingue,
      Che mena il vento, e che batte la pioggia,
      E che si scontran con sì aspre lingue, 72
      Perchè non dentro della città roggia
      Son ei puniti, se Dio gli ha in ira?
      E s’ei non gli ha, perchè sono a tal foggia? 75
      Ed egli a me: Perchè tanto delira,
      Disse, lo ingegno tuo da quel ch’ei suole,
      Ovver la mente dove altrove mira? 78
      Non ti rimembra di quelle parole,
      Con le quai la tua Etica pertratta
      Le tre disposizion, che il ciel non vuole; 81
      Incontinenza, malizia, e la matta
      Bestialitade? e come incontinenza
      Men Dio offende e men biasimo accatta? 84
      Se tu riguardi ben questa sentenza,
      E rechiti alla mente chi son quelli,
      Che su di fuor sostengon penitenza, 87
      Tu vedrai ben perchè da questi felli
      Sien dipartiti, e perchè men crucciata
      La divina giustizia li martelli. 90
      O Sol, che sani ogni vista turbata,
      Tu mi contenti sì quando tu solvi,
      Che non men, che saver, dubbiar m’aggrata. 93
      Ancora un poco in dietro ti rivolvi,
      Diss’io, là dove di’, che usura offende
      La divina bontade, e il groppo svolvi. 96
      Filosofia, mi disse, a chi l’attende,
      Nota non pure in una sola parte,
      Come Natura lo suo corso prende 99
      Dal divino Intelletto, e da sua arte:
      E se tu ben la tua Fisica note,
      Tu troverai non dopo molte carte, 102
      Che l’arte vostra quella, quanto puote,
      Segue, come il maestro fa il discente,
      Sì che vostr’arte a Dio quasi è nipote. 105
      Da queste due, se tu ti rechi a mente
      Lo Genesi dal principio, conviene
      Prender sua vita, e avanzar la gente. 108
      E perchè l’usuriere altra via tiene,
      Per sè natura e per la sua seguace
      Dispregia, poi che in altro pon la spene. 111
      Ma seguimi oramai, che il gir mi piace;
      Chè i Pesci guizzan su per l’orizzonta,
      E il Carro tutto sovra Coro giace,
      E il balzo via là oltre si dismonta


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      o un ciego soñando
      y en ese vuelo y en ese sueño
      compartir contigo sol y luna,
      siendo guardián en tu cielo
      y tren de tus ilusiones."
      (Hánjel)





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      Mensaje por Maria Lua Lun 04 Ene 2021, 15:08

      CANTO UNDÉCIMO


      CIRCULO SEXTO: HEREJÍA
      TUMBA DED PAPA ANASTASIO, DISTRIBUCIÓN DE DOS
      CONDENADOS EN EL INFIERNO


      Primer recinto del círculo sétimo, de cuyo fondo se desprenden hediondas exhalaciones. Tumba del papa Anastasio. Virgilio explica a
      Dante la condición de los tres círculos que tiene que recorrer, segün
      el orden y la gravedad de los pecadores y de los pecados. En el
      primer círculo a recorrer, que es el sétimo en el orden general del
      infierno, están los violentos. El segundo círculo, o sea el octavo
      el mismo orden general, es el de los fraudulentos, dividido en tres
      girones, en cada uno de los cuales son atormentados otras especies
      de violentos. El tercer círculo, o sea el noveno, es el de los traidores,
      dividido en cuatro departamentos concéntricos. Virgilio explica ai
      Dante la categoría de ios pecados segtm la. distinción escolástica.




      Llegamos al extremo de una altura
      que con peñas enormes circundaba,
      donde se encierra una mayor tortura.
      La hediondez que del fondo reventaba,
      nos obligó a buscar sitio abrigado
      tras un peñón, que un túmulo marcaba.
      «Aquí el papa Anastasio está enterrado,
      a quien desvió Fotín de su camino.-»
      Este epitafio estaba allí grabado.
      «Conviene descender con mucho tino»,
      dijo el maestro, «a, fin que nuestro olfato
      a este aire se acostumbre tan dañino.»
      «Compensa», dije, «este momento ingrato,
      y el tiempo aprovechemos útilmente.»
      Y él: «En eso pensaba. Oye el relato:
      «Hijo mío, este círculo doliente,
      tres circuitos comprende bien graduados,
      cual los que antes bajamos en pendiente.
      «Están llenos da espíritus malvados:
      y que te baste, al verlos en su duelo,
      saber cómo y por qué son castigados.
      «Toda maldad es repugnante al cielo,
      y sobre todo, el fraude y la violencia,
      que a otros causa desgracia o desconsuelo.
      «Y como vuestra humana fraudulencia,
      más desagrada a Dios, los fraudulentos
      sufren en proporción mayor dolencia.
      «En el primero, yacen los violentos,
      y purgan tres delitos diferentes,
      divididos en tres compartimentos.
      «A Dios, a sí y al prójimo, inclementes,
      los hombres atropellan y las cosas,
      cual ts dirán razones evidentes.
      «Muerte violenta, heridas dolorosas,
      en sí y en los demás, y en heredajes,
      ruinas, incendio, expoliación dañosas;
      «el homicidio, el que comete ultrajes,
      hiriendo o depredando, es tormentado
      en el primer girón, según linajes.
      «El hombre que a sí mismo se ha matado,
      no le vale el estar arrepentido,
      y en el girón segundo está enclavado.
      «Quien se priva del mundo en que ha vivido,
      y el que juega o disipa patrimonio,
      llora la dulce dicha que ha perdido.
      «Se hace violencia a Dios, cuando el demonio
      nos hace blasfemar, dando al olvido
      de bondosa natura el testimonio.
      «Y yacen en girón más reducido,
      con signo de Cahors y da Sodoma,
      los que en desprecio a Dios le han ofendido.
      «Sigue el fraude, que muerde cual carcoma,
      de que la buena fe no se recata,
      y al desconfiado de sorpresa toma;
      «porque es fraude alevoso, que desata
      el vínculo de amor que hace natura.
      En el segundo cerco se maltrata:
      «la hipocresía, el robo, la impostura,
      lisonja, augurios, dolo, simonía,
      y rufianes, y toda acción impura.
      «Y como el fraude aleve, desafía
      la ley de la natura, contra fianza
      que el mutuo acuerdo hace nacer y cría,
      «bajo¡Dite, hasta el fondo que se alcanza
      del universo, gimen los traidores,
      en consunción, perdida la esperanza.»
      Y yo: «Son tus palabras resplandores
      que alumbran este abismo tenebroso,
      y el rigor de estos grandes pecadores.
      «Mas dime: los que en lago cenagoso,
      . que lluvia y viento azotan duramente,
      y chocan en lenguaje tan furioso,
      «¿Por qué no están en la ciudad ardiente,
      si los castiga del Señor la ira?
      si no ¿Por qué es la psna diferente?»
      Y de él a mí: «¡ Cuál tu magín delira!
      niegas la ley que todo lo calcula,
      porque tu mente vacilante gira.
      «Olvidas la lección que se formula
      en tu Etica, que encierra tanta ciencia,
      que en tres grados los crímenes regula:
      «bestialidad, malicia, incontinencia.
      ¿La incontinencia acaso es más solvente?
      ¿Ofende a Dios con menos reverencial»
      «Si meditas el punto atentamente,
      y recuerdas los tristes condenados
      que en duelo arriba están, duelo inclemente,
      «ya verás por qué SQ hallan separados
      estos perversos, que justicia eterna
      martilla con sus golpes más airados.»
      «¡ Oh sol! ¡ que sanas toda vista interna!
      Es tu elocuencia para mí tan grata,
      que en dudar y saber el gozo alterna.
      «Mas explica,» añadí, «si no es ingrata
      esta tarea ¿Por qué a Dios la usura
      es más odiosa? El nudo me desata.»
      «Filosofía, enseña, al que la apura,»
      replicóme, «y en más de una sentencia,
      «del arte, en su divina inteligencia:
      y hallarás, eon tu Física en la mano,
      con solo hojear sil texto, la evidencia,
      «que el arte vuestro, tentaría en vano,
      de ser más que discípulo obediente,
      que es cual nieto de Dios el arte humano.
      «El Génesis lo dice claramente
      en su principio: Trabajar la vida
      y progresar con ánimo valiente.
      «Ya ves, como la usura maldecida,
      viola el precepto, y más a Dios ofende,
      pues de natura la lección olvida.
      «Mas el Carro hacia Coro ya desciende,
      y me place seguir nuestra jornada
      al ver a Piscis que al oriente asciende;
      que larga del tramonte es la bajada.»


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      Mensaje por Maria Lua Miér 06 Ene 2021, 08:17

      CANTO XII.


      ARGOMENTO


      Discendono nel settimo cerchio, dove vedono i violenti tuffati
      entro un bollente ruscello di sangue. Una torma di centauri, che
      ivi si stanno a tenere in ordine i dannati, tendono gli archi contro
      i poeti. Virgilio favella a Chirone, loro capo, ed espostagli la missione di Dante, ottiene che entrambi trapassino il ruscello sulla
      groppa di Nesso. Costui, nominati parecchi fra i più notevoli pec -
      catori, e deposti i poeti sul margine opposto, ritorna a’ compagni.


      Era lo loco, ove a scender la riva
      Venimmo, alpestro, e, per quel ch’ivi er’anco,
      Tal, ch’ogni vista ne sarebbe schiva. 3
      Qual è quella ruina, che nel fianco
      Di qua da Trento l’Adice percosse,
      O per tremuoto, o per sostegno manco; 6
      Che da cima del monte, onde si mosse,
      Al piano è sì la roccia discoscesa,
      Ch’alcuna via darebbe a chi su fosse; 9
      Cotal di quel burrato era la scesa:
      E in su la punta della rotta lacca
      La infamia di Creti era distesa, 12
      Che fu concetta nella falsa vacca:
      E quando vide noi, sè stesso morse,
      Sì come quei, cui l’ira dentro fiacca. 15
      Virgilio mio in ver lui gridò: Forse
      Tu credi, che qui sia il duca d’Atene,
      Che su nel mondo la morte ti porse? 18
      Partiti, bestia, che questi non viene
      Ammaestrato dalla tua sorella,
      Ma vassi per veder le vostre pene. 21
      Qual è quel toro che si slaccia in quella
      Ch’ha ricevuto già il colpo mortale,
      Che gir non sa, ma qua e là saltella; 24
      Vid’io lo Minotauro far cotale.
      E quegli accorto gridò: Corri al varco;
      Mentre ch’è in furia, è buon che tu ti cale. 27
      Così prendemmo via giù per lo scarco
      Di quelle pietre, che spesso moviensi
      Sotto i miei piedi per lo nuovo carco. 30
      Io gìa pensando; e quei disse: Tu pensi
      Forse a questa ruina, ch’è guardata
      Da quell’ira bestial, ch’io ora spensi. 33
      Or vo’ che sappi, che l’altra fiata,
      Ch’io discesi quaggiù nel basso inferno,
      Questa roccia non era ancor cascata. 36
      Ma certo poco pria, se ben discerno,
      Che discendesse Quei, che la gran preda
      Levò a Dite del cerchio superno, 39
      Da tutte parti l’alta valle feda
      Tremò sì, ch’io pensai, che l’universo
      Sentisse amor, per lo quale è chi creda 42
      Più volte il mondo in caos converso:
      E in quel punto questa vecchia roccia
      Qui, e altrove più, fece riverso. 45
      Ma ficca gli occhi a valle; chè s’approccia
      La riviera del sangue, in la qual bolle
      Qual che per violenza in altrui noccia. 48
      O cieca cupidigia, o ira folle,
      Che sì ci sproni nella vita corta,
      E nell’eterna poi sì mal c’immolle! 51
      Io vidi un’ampia fossa in arco torta,
      Come quella, che tutto il piano abbraccia,
      Secondo ch’avea detto la mia scorta: 54
      E tra il piè della ripa ed essa in traccia
      Correan Centauri armati di saette,
      Come solean nel mondo andare a caccia. 57
      Veggendoci calar ciascun ristette,
      E della schiera tre si dipartiro
      Con archi e asticciuole prima elette: 60
      E l’un gridò da lungi: A qual martiro
      Venite voi, che scendete la costa?
      Ditel costinci, se non, l’arco tiro. 63
      Lo mio Maestro disse: La risposta
      Farem noi a Chiron costà di presso:
      Mal fu la voglia tua sempre sì tosta. 66
      Poi mi tentò, e disse: Quegli è Nesso,
      Che morì per la bella Deianira,
      E fe’ di sè la vendetta egli stesso. 
      E quel di mezzo, che il petto si mira,
      è il gran Chirone, il qual nudrio Achille:
      Quell’altro è Folo, che fu sì pien d’ira. 72
      Dintorno al fosso vanno a mille a mille,
      Saettando quale anima si svelle
      Del sangue più che sua colpa sortille. 75
      Noi ci appressammo a quelle fiere snelle:
      Chiron prese uno strale, e con la cocca
      Fece la barba in dietro a le mascelle. 78
      Quando s’ebbe scoperta la gran bocca,
      Disse a’ compagni: Siete voi accorti,
      Che quel di rietro move ciò ch’ei tocca? 81
      Così non soglion fare i piè de’ morti.
      E il mio buon Duca, che già gli era al petto,
      Ove le due nature son consorti, 84
      Rispose: Ben è vivo; e sì soletto
      tMostrargli mi convien la valle buia:
      Necessità ’l c’induce, e non diletto. 87
      Tal si partì da cantare alleluia,
      Che me condusse a quest’uficio nuovo;
      Non è ladron, nè io anima fuia. 90
      Ma per quella virtù, per chi io movo
      Li passi miei per sì selvaggia strada,
      Danne un de’ tuoi, a cui noi siamo a pruovo, 93
      Che ne dimostri là dove si guada,
      E che porti costui in su la groppa,
      Che non è spirto, che per l’aer vada. 96
      Chiron si volse in sulla destra poppa,
      E disse a Nesso: Torna, e sì li guida,
      E fa cansar, s’altra schiera v’intoppa. 99
      Noi ci movemmo con la scorta fida
      Lungo la proda del bollor vermiglio,
      Ove i bolliti facean acri strida. 102
      Quivi era gente sotto infino al ciglio;
      E il gran Centauro disse: Ei son tiranni,
      Che dier nel sangue e nell’aver di piglio. 105
      Quivi si piangon gli spietati danni:
      Quivi è Alessandro, e Dionisio fero
      Che fe’ Cicilia aver dolorosi anni: 108
      E quella fronte, ch’ha pel così nero,
      È Azzolino; e quell’altro, ch’è biondo,
      È Obizzo da Esti, il qual per vero 111
      Fu spento dal figliastro su nel mondo.
      Allor mi volsi al Poeta; e quei disse:
      Questi ti sia or primo, e io secondo. 114
      Poco più oltre il Centauro s’affisse
      Sovra una gente, che infino alla gola
      Parea che di quel bulicame uscisse. 117
      Mostrocci un’ombra dall’un canto sola,
      Dicendo: Colui fesse in grembo a Dio
      Lo cor, che in sul Tamigi ancor si cola. 120
      Poi vidi gente, che di fuor del rio
      Tenean la testa, e ancor tutto il casso;
      E di costoro assai riconobb’io. 123
      Così a più a più si facea basso
      Quel sangue sì, che copria pur li piedi:
      E quivi fu del fosso il nostro passo. 126
      Sì come tu da questa parte vedi
      Lo bulicame, che sempre si scema,
      Disse il Centauro, voglio che tu credi, 129
      Che da quest’altra più e più giù prema
      Lo fondo suo, infin ch’ei si raggiunge
      Ove la tirannia convien che gema. 132
      La divina Giustizia di qua punge
      Quell’Attila, che fu flagello in terra,
      E Pirro, e Sesto; e in eterno munge 135
      Le lagrime, che col bollor disserra
      A Rinier da Corneto, a Rinier Pazzo,
      Che fecero alle strade tanta guerra: 138
      Poi si rivolse, e ripassossi il guazzo.


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      o un ciego soñando
      y en ese vuelo y en ese sueño
      compartir contigo sol y luna,
      siendo guardián en tu cielo
      y tren de tus ilusiones."
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      Mensaje por Maria Lua Vie 08 Ene 2021, 06:19

      CANTO DUODÉCIMO


      CIRCULO SÉTIMO: VIOLENCIA
      ARO PRIMERO: VIOLENTOS CONTRA EL PRÓJIMO
      EL MIXOTAURO, RUINAS INFEKKAIJES , EL FLEGETONTJE, LOS
      CENTAUROS, DIVERSAS CLASES DE VIOLENTOS
      CONTRA EL PRÓJIMO


      La bajada del sétimo círculo. El Jlinotauro de Creta, guardián de los
      violantes. Virgilio recuerda el estado de la bajada antes de que pasase por olla el Cristo a los limbos del infierno para rescatar las
      almas selectas. El río de sangre en que yacen sumergidos los violentos contra el prójimo y los tiranos sanguinarios, asaetados por
      una legión de centauros. Los poetas siguen su camino por la margan del río sangriento conducidos por el centauro Neso, que hace la
      enumeración de los tiranos. El vado del río de sangre, acrecentado por las lagrimas de los condenados.


      Llegamos al lugar de la bajada,
      y es tan. hondo y alpestre su barranco
      que la vista rehuye horrorizada.
      Como el derrumbe, que de Adige. al flanco,
      de este lado de Trento, se desploma,
      por terremoto o sin apoyo- franco,
      y de lo alto del monte, en que se aploma,
      al contemplar aquel despeñadero,
      no ve camino alguno el que se asoma,
      tal la cuesta de aquel derrocadero,
      en cuya cima rota, está acostado
      el oprobio de Creta, monstruo fiero,
      que en torpe y falsa vaca fué engendrado;
      y al mirarnos, mordióse furibundo,
      por impotente rabia devorado.
      El sabio le gritó: «Engendro inmundo,
      ¿Piensas mirar al príncipe de Atenas,
      que con su mano te mató en el mundo?
      «i Anda bestia! el que cruza tus arenas,
      no ha tomado lecciones de tu hermana:
      viene tan sólo a ver las justas penas.»
      Cual hosco toro, que en su rabia insana,
      rompe sus lazos al sentirse herido,
      y en brincos torpes al morir se afana,
      el Minotauro se sintió vencido:
      y el guía me previno: «Salva el paso,
      mientras el monstruo brama enfurecido.»
      Y descendimos por sendero eriazo,
      entre espeso pedrisco que rodaba,
      bajo la extraña carga de mi pase.
      Iba pensando, y él, en tanto hablaba:
      «Tu mente acaso por las ruinas gira,
      que la domada bestia, mal guardaba,
      «Quiero que sepas, que en la antigua gira,
      cuando bajara al fondo del infierno,
      rota no era la roca que te admira;
      «pero poco antes, según bien discierno,
      que AQUEL viniere, y hubo rescatado,
      grandes almas de Dite, a lo superno,
      «tembló todo este valle soterrado;
      pensé que el universo palpitara
      por el amor, que algunos han pensado,
      «una vez más el mundo al caos tornara;
      y entonces fué cuando esta vieja roca,
      aquí, y.aun más allá, se derrumbara.
      «Mas ve en el valle, que la cuesta toca
      ese río de sangre en que se anega
      la violencia que de otro el mal provoca.»
      i Oh ira loca! y ¡ oh codicia ciega,
      que aguijonea pasajera vida,
      y aquí por siempre entro tormentos brega!
      Y un amplia fosa en arco, vi extendida,
      que en el llano sin fin se dilataba,
      cual dijera mi escolta prevenida.
      En torno en fila, una legión giraba
      de centauros, cou arco y flecha armados,
      como en el mundo a caza se aprestaba.
      Al vernos descender quedan parados,
      y avanzan tres ligeros como el viento,
      con las flechas en arcos preparados;
      y uno nos grita: «¿ Cuál es el tormento
      que buscando venís por esa cuesta?
      responded o disparo en el momento.»
      Y el maestro repuso: «La respuesta,
      daremos a Quirón, no a tí, poseso
      del frenesí, que tanto mal te cuesta.»
      Tocóme el hombro y dijo: «Mira a Neso,
      que murió por la bella Dejanira,
      y en sí mismo vengó su loco exceso.
      «Ese del medio, que su pecho mira,
      es el grande Quirón, ayo de Aquiles;
      el otro es Polos, que aun palpita en ira.
      «Esos que en torno al foso van por miles,
      asaetan las almas anegadas,
      que exceden según culpa, sus perfiles.»
      Cerca ya de estas fieras agitadas,
      Quirón coge una flecha, con que choca
      sus barbas, que echa atrás de las quijadas;
      y descubierto que hubo su gran boca,
      dijo a los suyos: «¿ Quién es el que advierto,
      que mueve todo cuanto al paso toca?
      «De ese modo no marcha el pie de un muerto.»
      Y mi guía, que el pecho había tocado,
      de aquellas dos naturas en concierto,
      le respondió: «Un vivo que ha bajado
      hasta el fondo clel valle tormentoso,
      no por placer, mas por deber llamado.
      «Una santa, que el cántico glorioso
      suspendió de aleluya, dio este encargo:
      no es un ladrón, ni soy un criminoso.
      «Por esa gran virtud, que sin embargo
      mueve los pasos míos, dame un guía
      que de enseñar la ruta se haga cargo,
      «y nos indique el paso de la vía,
      llevando a la gurupa este viviente,
      que no es sombra que al aire desafía.»
      Quirón volvió a la diestra prontamente,
      y dijo a Neso: «Guárdalos cuidoso,
      contra quien detener su marcha intente.»
      Con tal escolta, a paso presuroso,
      recorrimos aquel lago bermejo,
      de condenados sitio doloroso,
      que a unos, la sangre llega al entrecejo;
      y el gran centauro dice: «Son tiranos
      de sangre y robo por su mal consejo,
      «que así lloran sus daños inhumanos:
      Alejandro, Dionisio de alma fiera,
      que tristes años dio a los sicilianos;
      «y esa frente de negra cabellera,
      es Azzolino; el rubio que está al lado,
      Obizzo de Este, que por voz certera,
      «se dice, por su hijastro asesinado.»
      Y el poeta me dijo: «Yo te sigo:
      ve delante por Neso custodiado.»
      A poco trecho, vi, por gran castigo,
      gente anegada en sangre, que asomaba
      su lívida cabeza sin abrigo.
      Allí, una sombra solitaria estaba,
      y el centauro me dijo: «Este malvado,
      partió el pecho que el Támesis amaba.»
      A muchos conocí, bien que turbado,
      que asomaban no solo la cabeza,
      sino también el busto ensangrentado.
      Como el río de sangre va en bajeza,
      y al pie de los centauros sólo alcanza,
      esguazamos el vado muy de prisa.
      «Si ves que el río por aquí se amansa,»
      me dijo Neso «entiende, que adelante,
      es más profundo cuanto más se avanza.
      «Allá en su fondo, yace agonizante
      la tiranía, y anegada gime
      cual conviene a su especie malignante.
      «La divina justicia, así reprime,
      con Atila, flajelo de la tierra,
      a Pirro y Sexto; y eternal exprime,
      «su llanto en el hervor que el río encierra,
      a uno y otro Rinier, que alevemente,
      hicieron en caminos tanta guerra.»
      Y el vado, repasó ligeramente. 


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      Mensaje por Maria Lua Miér 13 Ene 2021, 17:40

      CANTO XIII.


      ARGOMENTO


      Guadagnano il secondo girone, luogo di punizione a’ suicidi.
      Dante incontra Pier delle Vigne, il quale gli apre il motivo per cui
      si togliesse la vita. I Poeti procedono e parlano a taluni, che, dis -
      sipate le sostanze, disperati s’uccisero.


      Non era ancor di là Nesso arrivato,
      Quando noi ci mettemmo per un bosco,
      Che di niun sentiero era segnato. 3
      Non fronda verde, ma di color fosco;
      Non rami schietti, ma nodosi e involti;
      Non pomi v’eran, ma stecchi con tosco. 6
      Non han sì aspri sterpi, nè sì folti
      Quelle fiere selvagge, che in odio hanno
      Tra Cecina e Corneto i luoghi colti. 9
      Quivi le brutte Arpie lor nido fanno,
      Che cacciar delle Strofade i Troiani,
      Con tristo annunzio di futuro danno. 12
      Ale hanno late, e colli e visi umani,
      Piè con artigli, e pennuto il gran ventre:
      Fanno lamenti in su gli alberi strani. 15
      E il buon Maestro: Prima che più entre,
      Sappi, che sei nel secondo girone,
      Mi cominciò a dire, e sarai, mentre 18
      Che tu verrai all’orribil sabbione.
      Però riguarda bene, e sì vedrai
      Cose, che daran fede al mio sermone. 21
      Io sentia già d’ogni parte trar guai,
      E non vedea persona, che il facesse:
      Per ch’io tutto smarrito m’arrestai. 24
      Io credo, ch’ei credette, ch’io credesse,
      Che tante voci uscisser tra que’ bronchi
      Da gente, che per noi si nascondesse: 27
      Però, disse il Maestro, se tu tronchi
      Qualche fraschetta d’una d’este piante,
      Li pensier ch’hai si faran tutti monchi. 30
      Allor porsi la mano un poco avante
      E colsi un ramuscel da un gran pruno,
      E il tronco suo gridò: Perchè mi schiante? 33
      Da che fatto fu poi di sangue bruno,
      Ricominciò a gridar: Perchè mi scerpi?
      Non hai tu spirto di pietate alcuno? 36
      Uomini fummo, e or siam fatti sterpi:
      Ben dovrebb’esser la tua man più pia,
      Se state fossimo anime di serpi. 39
      Come d’un stizzo verde, ch’arso sia
      Dall’un de’ capi, che dall’altro geme,
      E cigola per vento, che va via; 42
      Sì della scheggia rotta usciva insieme
      Parole e sangue; ond’io lasciai la cima
      Cadere, e stetti come l’uom che teme. 45
      S’egli avesse potuto creder prima,
      Rispose il savio mio, anima lesa,
      Ciò, c’ha veduto pur con la mia rima, 48
      Non averebbe in te la man distesa;
      Ma la cosa incredibile mi fece
      Indurlo ad ovra, ch’a me stesso pesa. 51
      Ma dilli chi tu fosti, sì che, in vece
      D’alcuna ammenda, tua fama rinfreschi
      Nel mondo suo, dove tornar gli lece. 54
      E il tronco: Sì col dolce dir m’adeschi,
      Ch’io non posso tacere; e voi non gravi
      Perch’io un poco a ragionar m’inveschi. 57
      Io son colui, che tenni ambo le chiavi
      Del cor di Federigo, e che le volsi,
      Serrando e disserrando, sì soavi, 60
      Che dal segreto suo quasi ogni uom tolsi:
      Fede portai al glorioso ufizio,
      Tanto, ch’io ne perdei lo sonno e i polsi. 63
      La meretrice, che mai dall’ospizio
      Di Cesare non torse gli occhi putti,
      Morte comune, e delle Corti vizio, 66
      Infiammò contra me gli animi tutti,
      E gl’infiammati infiammar sì Augusto,
      Che i lieti onor tornaro in tristi lutti. 69
      L’animo mio per disdegnoso gusto,
      Credendo col morir fuggir disdegno,
      Ingiusto fece me contra me giusto. 72
      Per le nuove radici d’esto legno
      Vi giuro, che giammai non ruppi fede
      Al mio signor, che fu d’onor sì degno: 75
      E se di voi alcun nel mondo riede,
      Conforti la memoria mia, che giace
      Ancor del colpo che invidia le diede. 78
      Un poco attese; e poi: Da ch’ei si tace,
      Disse il Poeta a me, non perder l’ora;
      Ma parla, e chiedi a lui, se più ti piace. 81
      Ond’io a lui: Dimandal tu ancora
      Di quel che credi, che a me soddisfaccia;
      Ch’io non potrei, tanta pietà m’accora. 84
      Perciò ricominciò: Se l’uom ti faccia
      Liberamente ciò, che il tuo dir prega,
      Spirito incarcerato, ancor ti piaccia 87
      Di dirne come l’anima si lega
      In questi nocchi; e dinne, se tu puoi,
      S’alcuna mai da tai membra si spiega. 90
      Allor soffiò lo tronco forte, e poi
      Si convertì quel vento in cotal voce:
      Brevemente sarà risposto a voi. 93
      Quando si parte l’anima feroce
      Dal corpo, ond’ella stessa s’è disvelta,
      Minos la manda alla settima foce. 96
      Cade in la selva, e non l’è parte scelta;
      Ma là dove fortuna la balestra,
      Quivi germoglia, come gran di spelta. 99
      Surge in vermena, e in pianta silvestra:
      L’Arpie, pascendo poi delle sue foglie,
      Fanno dolore, e al dolor finestra. 102
      Come l’altre verrem per nostre spoglie;
      Ma non però ch’alcuna sen rivesta;
      Che non è giusto aver ciò, ch’uom si toglie. 105
      Qui le strascineremo, e per la mesta
      Selva saranno i nostri corpi appesi,
      Ciascuno al prun dell’ombra sua molesta. 108
      Noi eravamo ancora al tronco attesi,
      Credendo ch’altro ne volesse dire,
      Quando noi fummo d’un romor sorpresi; 111
      Similemente a colui, che venire
      Sente il porco e la caccia alla sua posta,
      Ch’ode le bestie e le frasche stormire. 114
      Ed ecco duo dalla sinistra costa,
      Nudi e graffiati, fuggendo sì forte,
      Che della selva rompieno ogni rosta. 117
      Quel dinanzi: Or accorri, accorri, Morte;
      E l’altro, a cui pareva tardar troppo,
      Gridava: Lano, sì non furo accorte 120
      Le gambe tue alle giostre del Toppo.
      E poi che forse gli fallia la lena,
      Di sè e d’un cespuglio fe’ un groppo. 123
      Dirietro a loro era la selva piena
      Di nere cagne bramose e correnti,
      Come veltri che uscisser di catena. 126
      In quel, che s’appiattò, miser li denti,
      E quel dilaceraro a brano a brano,
      Poi sen portar quelle membra dolenti. 129
      Presemi allor la mia scorta per mano,
      E menommi al cespuglio, che piangea,
      Per le rotture sanguinenti, invano. 132
      O Jacopo, dicea, da Sant’Andrea,
      Che t’è giovato di me fare schermo?
      Che colpa ho io della tua vita rea? 135
      Quando il Maestro fu sovr’esso fermo,
      Disse: Chi fusti, che per tante punte
      Soffi col sangue doloroso sermo? 138
      Ed quegli a noi: O anime, che giunte
      Siete a veder lo strazio disonesto,
      Che le mie frondi ha sì da me disgiunte, 141
      Raccoglietele al piè del tristo cesto:
      Io fui della città, che nel Battista
      Cangiò il primo padrone; ond’ei per questo 144
      Sempre con l’arte sua la farà trista:
      E se non fosse, che in sul passo d’Arno
      Rimane ancor di lui alcuna vista, 147
      Quei cittadin, che poi la rifondarno
      Sovra il cener, che d’Attila rimase,
      Avrebber fatto lavorare indarno. 150
      Io fei giubbetto a me delle mie case.


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      Dante Alighieri (1265-1321) - Página 2 Empty Re: Dante Alighieri (1265-1321)

      Mensaje por Maria Lua Sáb 16 Ene 2021, 07:46

      CANTO DECIMOTERCIO

      ARO SEGUNDO: ENVIDIA
      EJEMPLOS DE CARIDAD, SAPIA I>R SIRXA
      Suben los poetas al segundo círculo donde se expía la, envidia. Los
      penitentes van con un cilicio, y los ojos cosidos. Espíritus invisibles cruzan volando el aire, y recuerdan a los envidiosos, ejemplos de amor y de caridad en pro del prójimo. El Dante es interpelado por Sapia, culpable por babor rogado por la desgracia de
      •su patria. El Dante se confiesa a sí mismo como propenso a la
      envidia y a la cólera y promete a Sapia recomendarla a sus conciudadanos, a quienes califica duramente.

      Llegamos de la escala hasta la cima
      donde otra vez el monte se replega,
      y donde el alma mala se sublima.
      A otra cornisa en cerco allí se llega.
      a manera que lo era la pasada,
      pero en arco menor, se cierra y plega.
      De imágenes y señas despojada,
      con lívido color aparecía
      de dura roca al largo de la estrada.
      «Si esperamos aquí que llegue un guía.»
      reflexionó el poeta, «ciertamente,
      muy tarde encontraremos nuestra vía.»
      Miró al sol en seguida, fijamente,
      giró, del diestro lado haciendo centro,
      y a la izquierda volvióse prontamente.
      «\ Oh dulce luz! en que confiado entro,
      que a los nuevos caminos ncs induces,»
      exclamó, «¡ y bien guías aquí adentro!
      «¡ Tú calientas el mundo, sobre él luces,
      y si causa contraria no nos tienta,
      con tus rayos por siempre nos conduces!»
      Cuando una milla, por humana cuenta,
      hubimos del camino recorrido,
      con ágil paso y voluntad contenta,
      en los aires sentimos un volido
      de invisibles espíritus, llamando
      a la mesa de amor dulce sonido.
      La voz primera que pasó volando,
      vinum non habent, dijo con voz clara,
      y a lo lejos sus voces reiterando.
      Y antes que el eco blando se apagara,
      otra exclamó a los lejos: «¡ Soy Oreste !¡s>
      sin que tampoco el vuelo se fijara.
      Al padre pregunté: «¿Qué acento es este?»
      Y al preguntar, clamó una voz tercera:
      «Amad al enemigo aunque os moleste.-»
      Y el maestro: «Se purga en esta esfera
      la culpa de la envidia, que fustiga
      con látigo de amor mano severa:
      «Blanda es aquí la brida que los liga;
      y pienso lo has de ver, según colijo.
      antes que el paso del perdón subsiga.
      «Pero ten en el aire el ojo fijo,
      y verás muchas sombras por delante
      sentadas todas en su afán prolijo.»
      Abrí mejor los ojos, y anhelante
      sombras vi que vestían sendos mantos
      de tui color a la piedra semejante.
      Y oí clamar entre angustiosos llantos:
      «¡ Ora María, por nosotros ora!
      ¡Oren Pedro y Miguel! ¡todos los santos!»
      Xo pienso que haya un alma pecadora,
      que al mirar estas penas, no sintiera
      de compasión la espina punzadora.
      Cuando más cerca de ellas estuviera,
      y tuve de cada una claro indicio,
      un gran dolor mis ojos exprimiera.
      Cubiertas todas con un vil cilicio,
      las unas a las otras adosadas,
      contra el muro sufrían el suplicio.
      Tal los ciegos, en fiestas consagradas,
      demandan la limosna compungidos,
      sus cabezas en grupo amontonadas,
      para excitar la compasión, dolidos,
      agregando a la queja pronunciada,
      la vista que penetra en los oídos.
      •La luz tienen los ciegos apagada:
      y así a estas sombras, en su noche oscura,
      de los cielos la luz está negada.
      Hilo de hierro, horada cual costura
      sus párpados, a modo que al salvaje
      gavilán que se doma en su bravura. 72
      Me parecía cometer ultraje
      al mirarlos sin ser por ellos visto,
      y acudí de mi sabio al arbitraje. ,5
      Bien que mudo, lo había él entrevisto,
      y así, sin esperar a mi demanda,
      dijo: «Puedes hablar; mas cauto y listo.» 7S
      Virgilio caminaba por la banda
      de la cornisa, el riesgo desafiando,
      porque ningún reparo la enguirlanda. si
      A otro lado, las sombras van penando,
      cosidas con su bárbara costura,
      de lágrimas sus pechos inundando.; si
      y yo así les hablé: ¡ «Gente, segura,
      de ver de lo alto la eternal Iticencia,
      que vuestro anhelo con ardor procura! s-,
      «¡ Que la gracia disipe en la conciencia
      las espumas, y corra puro y claro
      como un río, la noble inteligencia! 90
      «Mas decid por favor, que me es muy caro,
      I hay en esta mansión alma latina
      a quien pudiera acaso" dar amparo?» os
      «¡ Oh hermano! ¡ aquí de una ciudad divina
      cada una es ciudadano! ¿o es que sería
      que en Italia viviese- peregrina?» ¡>r,
      Me pareció que aquella voz venía
      no lejos del lugar donde me hallaba,
      y adelanté, por si mejor oía. no
      Un alma vi que entre otras esperaba,
      según por su actitud lo coligiera,
      pues cual ciego su barba levantaba.
      «Espíritu que sufres y que espera,»
      le dije, «si a mi ruego has respondido,
      dime tu nombre y cual tu patria era.»
      Y respondióme: «Yo Sienesa lie sido,
      y aquí purgo con otros mala vida,
      clamando al que perdona al afligido.
      «Y Sápia me llamaban, mas perdida
      la razón, no fui sabia, y en los daños
      de los demás góceme sin medida;
      «y no imagines que te cuento engaños:
      oye y verás cual fuera mi insania
      al descender el arco de mis añcs.
      «Los ciudadanos de la patria mía,
      en Colle a sus contrarios contrastando,
      yo su derrota al cielo le pedía.
      «Y Dios me oyó, sus huestes debelando,
      en hora amarga; y yo me complacía
      con alegría sin igual gozando.
      «Y desafiando al cielo me engreía
      gritando a Dios: ¡De tí nada yo temo!
      como hace el mirlo en bonancible día.
      «Volvíme a Dios en el momento extremo,
      y en paz con él, no habría yo alcanzado
      de penitencia este lugar postremo,
      «si no me hubiese pío recordado
      Pier Pettignano en santas oraciones,
      quien con su caridad me ha rescatado.
      «Mas tú, ¿quién eres di, que tus razones
      respiran al hablar con ojo abierto,
      que inquieren nuestras tristes condiciones?s
      «Mi ojo será cosido cuando muerto;
      pero por poco tiempo, pues la envidia,»
      dije, poco sentí, y esto es lo cierto.
      «De más grande terror siente la insidia,
      mi alma allá abajo, y temo dolorido,
      de otro tormento la pesada lidia.»
      La sombra: «¿Quién aquí te ha conducido?
      ¿Piensas tornar a donde estabas antes?»
      Y yo: «El que está inmóvil, me ha, traído;
      «y un vivo soy: son cortos mis instantes:
      dime cual quieres que en el mundo mueva
      en tu favor mis plantas vacilantes.»
      Y ella a mí: «Lo que escucho es cosa nueva,
      y es señal de que Dios te es favorable.
      ¡ Tu plegaria que a Dios por mí conmueva!
      «Yo te suplico por lo más amable,
      que a los míos, si pisas la Toscana,
      hagas siempre de mí fama honorable.
      «Tú los verás entre la gente vana
      que espera en Talamone, y que cual antes
      perderá la esperanza de su Diana;
      «pero más perderán los almirantes.»


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      "Ser como un verso volando
      o un ciego soñando
      y en ese vuelo y en ese sueño
      compartir contigo sol y luna,
      siendo guardián en tu cielo
      y tren de tus ilusiones."
      (Hánjel)





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      Dante Alighieri (1265-1321) - Página 2 Empty Re: Dante Alighieri (1265-1321)

      Mensaje por Maria Lua Dom 17 Ene 2021, 06:11

      CANTO XIV.

      ARGOMENTO

      Continuando il loro cammino lungo il secondo girone, arrivano al
      terzo, in cui vedono i violenti puniti diversamente, secondo la
      qualità speciale della colpa, e notano Capaneo, che parla a Virgi -
      lio. Poi giunti a un fiumicello sanguigno, Virgilio rivela a Dante
      le misteriose sorgenti dei fiumi infernali.

      Poi che la carità del natio loco
      Mi strinse, raunai le fronde sparte,
      E rendeile a colui, ch’era già roco. 3
      Indi venimmo al fine, onde si parte
      Lo secondo giron dal terzo, e dove
      Si vede di giustizia orribil’arte. 6
      A ben manifestar le cose nuove,
      Dico che arrivammo ad una landa,
      Che dal suo letto ogni pianta rimove. 9
      La dolorosa selva l’è ghirlanda
      Intorno, come il fosso tristo ad essa:
      Quivi fermammo i passi a randa a randa. 12
      Lo spazzo era un’arena arida e spessa,
      Non d’altra foggia fatta, che colei
      Che da’ piè di Caton fu già soppressa. 15
      O vendetta di Dio, quanto tu dei
      Esser temuta da ciascun, che legge
      Ciò che fu manifesto agli occhi miei! 18
      D’anime nude vidi molte gregge,
      Che piangean tutte assai miseramente,
      E parea posta lor diversa legge. 21
      Supin giaceva in terra alcuna gente:
      Alcuna si sedea tutta raccolta;
      E altra andava continuamente. 24
      Quella, che giva intorno, era più molta,
      E quella men, che giaceva al tormento;
      Ma più al duolo avea la lingua sciolta. 27
      Sovra tutto il sabbion d’un cader lento,
      Piovean di fuoco dilatate falde,
      Come di neve in alpe senza vento. 30
      Quali Alessandro in quelle parti calde
      Di India vide sopra lo suo stuolo
      Fiamme cadere infino a terra salde, 33
      Per ch’ei provvide a scalpitar lo suolo
      Con le sue schiere, per ciò che il vapore
      Me’ si stingueva mentre ch’era solo; 36
      Tale scendeva l’eternale ardore:
      Onde l’arena s’accendea, com’esca
      Sotto il focile, a raddoppiar dolore. 39
      Senza riposo mai era la tresca
      Delle misere mani, or quindi or quinci
      Iscotendo da sè l’arsura fresca. 42
      Io cominciai: Maestro, tu che vinci
      Tutte le cose, fuor che i Dimon duri,
      Ch’all’entrar della porta incontro uscinci, 45
      Chi è quel grande, che non par che curi
      Lo incendio, e giace dispettoso e torto
      Sì, che la pioggia non par che il maturi? 48
      E quel medesmo, che si fue accorto
      Ch’io dimandava il mio duca di lui,
      Gridò: Qual io fui vivo, tal son morto. 51
      Se Giove stanchi i suoi fabbri, da cui
      Crucciato prese la folgore acuta,
      Onde l’ultimo dì percosso fui; 54
      O s’egli stanchi gli altri a muta a muta
      In Mongibello alla fucina negra,
      Chiamando: Buon Vulcano, aiuta, aiuta, 57
      Sì com’ei fece alla pugna di Flegra,
      E me saetti di tutta sua forza,
      Non ne potrebbe aver vendetta allegra. 60
      Allora il Duca mio parlò di forza
      Tanto, ch’io non l’avea sì forte udito:
      O Capaneo in ciò, che non s’ammorza 63
      La tua superbia, sei tu più punito:
      Nullo martirio, fuor che la tua rabbia,
      Sarebbe al tuo furor dolor compito. 66
      Poi si rivolse a me con miglior labbia,
      Dicendo: Quel fu l’un de’ sette regi
      Ch’assiser Tebe, ed ebbe, e par ch’egli abbia 69
      Dio in disdegno, e poco par che il pregi:
      Ma, come io dissi lui, li suoi dispetti
      Sono al suo petto assai debiti fregi. 72
      Or mi vien dietro, e guarda, che non metti
      Ancor li piedi nell’arena arsiccia;
      Ma sempre al bosco sì li tieni stretti. 75
      Tacendo divenimmo là, ove spiccia
      Fuor della selva un picciol fiumicello,
      Lo cui rossore ancor mi raccapriccia. 78
      Quale del Bulicame esce il ruscello,
      Che parton poi tra lor le peccatrici;
      Tal per l’arena giù sen giva quello. 81
      Lo fondo suo e ambo le pendici
      Fatt’eran pietra, e i margini da lato;
      Per ch’io m’accorsi, che il passo era lici. 84
      Tra tutto l’altro ch’io t’ho dimostrato,
      Poscia che noi entrammo per la porta,
      Lo cui sogliare a nessuno è negato, 87
      Cosa non fu dagli tuoi occhi scorta
      Notabile, com’è il presente rio,
      Che sovra sè tutte fiammelle ammorta. 90
      Queste parole fur del Duca mio:
      Per ch’io pregai, che mi largisse il pasto,
      Di cui largito m’aveva il desio. 93
      In mezzo il mar siede un paese guasto,
      Diss’egli allora, che s’appella Creta,
      Sotto il cui Rege fu già il mondo casto. 96
      Una montagna v’è, che già fu lieta
      D’acqua e di fronde, che si chiama Ida;
      Ora è deserta come cosa vieta. 99
      Rea la scelse già per cuna fida
      Del suo figliuolo; e per celarlo meglio,
      Quando piangea, vi facea far le grida. 102
      Dentro dal monte sta dritto un gran veglio,
      Che tien volte le spalle inver Damiata,
      E Roma guarda sì come suo speglio. 105
      La sua testa è di fino oro formata,
      E puro argento son le braccia e il petto,
      Poi è di rame infino alla forcata: 108
      Da indi in giuso è tutto ferro eletto,
      Salvo che il destro piede è terra cotta,
      E sta in su quel, più che in su l’altro, eretto. 111
      Ciascuna parte, fuor che l’oro, è rotta
      D’una fessura che lagrime goccia,
      Le quali accolte foran quella grotta. 114
      Lor corso in questa valle si diroccia:
      Fanno Acheronte, Stige e Flegetonta;
      Poi sen va giù per questa stretta doccia 117
      Infin là, ove più non si dismonta:
      Fanno Cocito; e qual sia quello stagno,
      Tu il vederai; però qui non si conta. 120
      E io a lui: Se il presente rigagno
      Si deriva così dal nostro mondo,
      Perchè ci appar pure a questo vivagno? 123
      Ed egli a me: Tu sai, che il luogo è tondo;
      E tutto che tu sii venuto molto
      Più a sinistra giù calando al fondo, 126
      Non sei ancor per tutto il cerchio volto;
      Per che, se cosa n’apparisse nuova,
      Non dee addur maraviglia al tuo volto. 129
      E io ancor: Maestro, ove si trova
      Flegetonte e Letéo, che dell’un taci,
      E l’altro di’ che si fa d’esta piova? 132
      In tutte tue question certo mi piaci,
      Rispose, ma il bollor dell’acqua rossa
      Dovea ben solver l’una che tu faci. 135
      Lete vedrai, ma fuor di questa fossa,
      Là dove vanno l’anime a lavarsi,
      Quando la colpa pentuta è rimossa. 138
      Poi disse: Omai è tempo da scostarsi
      Dal bosco; fa che diretro a me vegne:
      Li margini fan via, che non son arsi, 141
      E sopra loro ogni vapor si spegne.


      _________________



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      Dante Alighieri (1265-1321) - Página 2 Empty Re: Dante Alighieri (1265-1321)

      Mensaje por Maria Lua Dom 17 Ene 2021, 08:23

      CANTO DECIMOCUARTO

      CUARTO CIELO O DEL SOL

      DOCTORES EN FILOSOFÍA Y TEOLOGÍA
      EL ESPLENDOR DE LOS BEATOS DESPUÉS
      DE LA RESURRECCIÓN DE LOS CUERPOS ; TERCERA GUIRNALDA
      DE VIVIENTES LUCES; SUBIDA AL CIELO DE MARTE
      QUINTO CIELO O DE MARTE
      MÁRTIRE S DE LA RELIGIÓ N
      LA CRUZ DE MARTE; ARMONÍA DE LOS CANTOS ;
      ÉXTASIS DE DANTE

      Tercera corona de los bienaventurados. Beatriz les pide que revelen
      al poeta el misterio de la resurrección de la carne. Uno de los
      espíritus accede al pedido de Beatriz y le explica la gloria de que
      gozan. Sube el poeta al quinto cielo, que es el de Marte . Sobre
      dos rayos dispuestos en forma de cruz, vuelan en todo sentido,
      haciendo oir himnos melodiosos, las almas radiosas de los cruzados,
      que sufrieron el martirio por la fe de Cristo y por su iglesia.

      Del centro al borde, y desde el borde al centro,
      muévese el agua en el redondo vaso,
      según se impulse desde fuera o dentro. 3
      Así en la mente se produjo el caso,
      como lo digo, cuando ya no oyera
      al glorioso Tomás, en • este paso, e
      Por la similitud, que proviniera,
      de la voz de Beatriz y de aquel santo,
      a la que hablar después, así pluguiera: „
      «Este ha bien menester en su quebranto,
      si no lo dice, (pues ni piensa ahora),
      que raíz de otra verdad alcance en tanto. l2
      «Muéstrale si la luz, con que se enflora
      vuestra sustancia, en ella inextinguible,
      eternamente brillará cual ora; 1S
      «y como, al revestir forma visible,
      en el día final, resucitada,
      contemplar su fulgor será posible.» 18
      Cual a veces en danza concertada
      se anima la alegría bulliciosa,
      con cadencia y con voz más animada, 2)
      así al oir esta oración piadosa,
      la alegría en las almas se acreciera,
      girando al son de nota melodiosa. u
      Quien se lamenta, por que acá se muera,
      para vivir arriba, no concibe
      cómo la eterna lluvia refrigera. *J
      El Uno, el Dos y el Tres, que siempre vive,
      y reina siempre en Tres, en Dos y en Uno,
      no circunscrito, y todo circunscribe, so
      ensalzó por tres veces, cada uno
      de los seres, con tanta melodía,
      que a gran virtud, sería justo muño. 33
      Y escuché, que la luz de mayor día
      del círculo menor, con voz modesta,
      tal vez cual la del ángel de María, 3»
      responder: «Cuanto dure la gran fiesta
      del paraíso, en nuestro amor ardiente,
      tendremos esa luz por sobrevesta. 3»
      «Su claridad, nace de amor ferviente;
      su ardor de la visión; y aquélla es tanta,
      cuanta es la gracia que la gracia aumente.
      «Cuando otra carne más gloriosa y santa
      revista nueva vez nuestra persona,
      más grata y más completa en gloria tanta,
      «será, porque se acrece lo que dona
      el Sumo Bien, que en esta luz nos tiene,
      gratuita luz que al Bien se acondiciona;
      «pues que crecer a la visión conviene,
      y crecer el ardor que aquélla inflama,
      y en el ardor crecer que de ella viene;
      «más cual carbón que lanza viva llama,
      y que lo envuelve en viva incandescencia,
      y conserva su forma entre la flama,
      «así el fulgor que envuelve nuestra esencia,
      nuestra carne, hoy en tierra sepultada,
      mostrará en luminosa trasparencia.
      «Su intensa luz parecerá atenuada
      a los sentidos de la carne inciertos,
      y con su vista el alma deleitada.»
      Un Amen, en los célicos conciertos,
      me pareció escuchar, cual si anhelasen
      de nuevo revestir sus cuerpos muertos.
      Y tal vez, no por ellos suplicasen,
      sino por padre o madre, o prenda cara,
      antes que en llama eterna se abrigasen.
      Entonces vi, con kiz brillante y clara,
      un resplandor surgir de la primera,
      a guisa de horizonte que se aclara.
      Como del día en la hora postrimera,
      el cielo al presentar nueva apariencia,
      se duda de si es falsa o verdadera, 7,
      así me apareció la nueva esencia
      de otras almas, girando centelleante
      fuera a la doble gran circunferencia. T5
      ¡ Olí, de Espíritu Santo, luz radiante,
      en toda su verdad! ¡y cuan candente
      venciste mi pupila vacilante! 7a
      ¡ Más Beatriz siempre bella y sonriente
      se me mostró y esta visión querida,
      hoy no podría renovar la mente! 8i
      Aquí la vista f ueme restituida,
      y al levantarla, vime trasladado,
      sólo ella y yo, a esfera más subida. s*
      Bien percibí que estaba levantado,
      por el ardiente brillo de la estrella,
      de un rojizo color, no acostumbrado. M
      Con todo el corazón, y el habla bella,
      una en todos, a Dios hice holocausto,
      al contemplar la gracia que destella; uo
      y aun no en mi pecho el sacrificio exhausto,
      conocí la eficacia de mi ruego,
      que era acogido en su momento fausto: 93
      entre dos rayos rojos miré luego
      aparecer tan grandes resplandores,
      que yo exclamé: ¡Oh Helión, he aquí tu fuego! 96
      Ciial blancos astros magnos y menores
      tiende de un polo al otro centelleantes,
      Galacia, confundiendo a los doctores, M
      los dos rayos de Marte, rutilantes,
      forman constelación del sacro signo,
      que en el círculo trazan sus cuadrantes.
      Aquí mi genio y mi memoria inclino:
      en aquella gran cruz, flameaba CRISTO,
      y ante tan gran modelo, nada es digno.
      Mas quien carga su cruz, y sigue a CRISTO,
      disculpará que el numen se reprima
      al ver en su árbol, relumbrar a CRISTO.
      De un cuerno al otro y desde el pie a la cima,
      se mueven vivas luces, cintilando,
      al encontrarse y condensarse encima.
      Así, variadas formas renovando,
      en la tierra se ven cambiar de aspecto
      los átomos que en grupo van girando,
      en el rayo de luz, que cruza recto
      la sombra de la estancia clausurada,
      donde el hombre se entrega a sueño quieto.
      Y como jiga y arpa bien templada,
      con muchas cuerdas dan dulce sonido,
      bien que la nota siéntase apagada;
      dentro del luminar aparecido
      resonaba en la cruz tal melodía,
      que arrobaba, sin ser el himno oído.
      Que era en loor yo bien lo percibía,
      porque el Risurgi e vinci me llegaba,
      como al que oye y no entiende una armonía.
      Y todo, de tal modo' enamoraba,
      que en mi vida mortal, ninguna cosa
      más dulce ni atractiva recordaba.
      Mi palabra es tal vez desamorosa,
      si parezco olvidar los ojos bellos
      en que el deseo mío se reposa;
      mas si se piensa que esos vivos sellos,
      cuanto más subes dan más luz infusa,
      sin que volviera a contemplar aquellos,
      de lo que yo me acuso, tendré excusa,
      al procurar decir lo verdadero,
      pues el santo placer no se recusa,
      porque se hace, subiendo, más sincero.


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      o un ciego soñando
      y en ese vuelo y en ese sueño
      compartir contigo sol y luna,
      siendo guardián en tu cielo
      y tren de tus ilusiones."
      (Hánjel)





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      Dante Alighieri (1265-1321) - Página 2 Empty Re: Dante Alighieri (1265-1321)

      Mensaje por Maria Lua Sáb 30 Ene 2021, 05:03

      CANTO XVI.

      ARGOMENTO

      Continuando il loro cammino lungo l’argine, incontrano altre
      schiere di peccatori lordi del vizio medesimo, di cui trattasi nel
      canto precedente. Guido Guerra, Tegghiaio Aldobrandi e Jacopo
      Rusticucci, accortisi di Dante, gli si avvicinano, e gli chiedono
      nuove di Firenze loro patria. Dopo ciò, pervenuti i Poeti ad una
      ripa discoscesa, in fondo alla quale l’acqua rossa cadeva con for -
      te rimbombo, Virgilio getta in quel fondo una corda che s’avea
      fatta dare da Dante, ed a quel segno s’affaccia il mostro Gerione,

      il quale vien su nuotando per l’aria.
      Già era in loco onde s’udia il rimbombo
      Dell’acqua, che cadea nell’altro giro,
      Simile a quel che l’arnie fanno rombo; 3
      Quando tre ombre insieme si partiro,
      Correndo, d’una torma che passava
      Sotto la pioggia dell’aspro martiro. 6
      Venian ver noi; e ciascuna gridava:
      Sostati tu, che all’abito ne sembri
      Essere alcun di nostra terra prava. 9
      Aimè, che piaghe vidi ne’ lor membri,
      Recenti e vecchie dalle fiamme incese!
      Ancor men duol, pur ch’io me ne rimembri. 12
      Alle lor grida il mio Dottor s’attese;
      Volse il viso ver me, e: Ora aspetta,
      Disse; a costor si vuole esser cortese: 15
      E se non fosse il fuoco, che saetta
      La natura del loco, io dicerei,
      Che meglio stesse a te, ch’a lor, la fretta. 18
      Ricominciar, come noi ristemmo, ei
      L’antico verso; e quando a noi fur giunti,
      Fenno una ruota di sè tutti e trei. 21
      Qual sogliono i campion far nudi ed unti,
      Avvisando lor presa e lor vantaggio,
      Prima che sien tra lor battuti e punti, 24
      Così rotando ciascuno il visaggio
      Drizzava a me, sì che contrario il collo
      Faceva a’ piè continuo viaggio. 27
      Deh, se miseria d’esto loco sollo
      Rende in dispetto noi e i nostri preghi,
      Cominciò l’uno, e il tristo aspetto e brollo, 30
      La fama nostra il tuo animo pieghi
      A dirne chi tu sei, che i vivi piedi
      Così sicuro per lo Inferno freghi. 33
      Questi, l’orme di cui pestar mi vedi,
      Tutto che nudo e dipelato vada,
      Fu di grado maggior che tu non credi: 36
      Nepote fu della buona Gualdrada:
      Guidoguerra ebbe nome, ed in sua vita
      Fece col senno assai, e con la spada. 39
      L’altro, che appresso me la rena trita,
      È Tegghiaio Aldobrandi, la cui voce
      Nel mondo su dovrebbe esser gradita. 42
      E io, che posto son con loro in croce,
      Iacopo Rusticucci fui; e certo
      La fiera moglie, più ch’altro, mi nuoce. 45
      S’io fussi stato dal fuoco coverto,
      Gittato mi sarei tra lor disotto,
      E credo, che il Dottor l’avria sofferto. 48
      Ma perch’io mi sarei bruciato e cotto,
      Vinse paura la mia buona voglia,
      Che di loro abbracciar mi facea ghiotto. 51
      Poi cominciai: Non dispetto, ma doglia
      La vostra condizion dentro mi fisse
      Tanto, che tardi tutta si dispoglia, 54
      Tosto che questo mio Signor mi disse
      Parole, per le quali io mi pensai,
      Che qual voi siete, tal gente venisse. 57
      Di vostra terra sono, e sempre mai
      L’ovra di voi e gli onorati nomi
      Con affezion ritrassi ed ascoltai. 60
      Lascio lo fele, e vo per dolci pomi
      Promessi a me per lo verace Duca;
      Ma fino al centro pria convien ch’io tomi. 63
      Se lungamente l’anima conduca
      Le membra tue, rispose quegli allora,
      E se la fama tua dopo te luca
      Cortesia e valor, di’, se dimora
      Nella nostra città, sì come suole,
      O se del tutto se n’è gito fuora? 69
      Che Guglielmo Borsiere, il qual si duole
      Con noi per poco, e va là coi compagni,
      Assai ne cruccia con le sue parole. 72
      La gente nuova e i subiti guadagni,
      Orgoglio, e dismisura han generata,
      Fiorenza, in te, sì che tu già ten piagni. 75
      Così gridai con la faccia levata:
      E i tre, che ciò inteser per risposta,
      Guatar l’un l’altro, come al ver si guata. 78
      Se l’altre volte sì poco ti costa,
      Risposer tutti, il soddisfare altrui,
      Felice te, che sì parli a tua posta! 81
      Però, se campi d’esti luoghi bui,
      E torni a riveder le belle stelle,
      Quando ti gioverà dicere: Io fui: 84
      Fa che di noi alla gente favelle.
      Indi rupper la ruota, e a fuggirsi
      Ali sembiaron le lor gambe snelle. 87
      Un amen non saria potuto dirsi
      Tosto così, com’ei fur dispariti:
      Per che al Maestro parve di partirsi. 90
      Io lo seguiva, e poco eravam iti,
      Che il suon dell’acqua n’era sì vicino,
      Che per parlar saremmo appena uditi. 93
      Come quel fiume, ch’ha proprio cammino
      Prima dal Monte Veso in ver levante,
      Dalla sinistra costa d’Apennino, 96
      Che si chiama Acquacheta suso, avante
      Che si divalli giù nel basso letto,
      E a Forlì di quel nome è vacante, 99
      Rimbomba là sovra San Benedetto
      Dall’Alpe, per cadere a una scesa,
      Dove dovea per mille esser ricetto; 102
      Così, giù d’una ripa discoscesa,
      Trovammo risonar quell’acqua tinta,
      Sì che in poc’ora avria l’orecchia offesa. 105
      Io aveva una corda intorno cinta,
      E con essa pensai alcuna volta
      Prender la lonza alla pelle dipinta. 108
      Poscia che l’ebbi tutta da me sciolta,
      Sì come il duca m’avea comandato,
      Porsila a lui aggroppata e ravvolta. 111
      Ond’ei si volse inver lo destro lato,
      E alquanto di lungi dalla sponda
      La gittò giù in quell’alto burrato. 114
      E pur convien che novità risponda,
      Dicea fra me medesmo, al nuovo cenno,
      Che il Maestro con l’occhio sì seconda. 117
      Ahi quanto cauti gli uomini esser denno
      Presso a color, che non veggon pur l’opra,
      Ma per entro i pensier miran col senno! 120
      Ei disse a me: Tosto verrà di sopra
      Ciò ch’io attendo; e che il tuo pensier sogna,
      Tosto convien che al tuo viso si scopra. 123
      Sempre a quel ver, che ha faccia di menzogna
      Dee l’uom chiuder le labbra quant’ei puote
      Però che senza colpa fa vergogna: 126
      Ma qui tacer nol posso; e per le note
      Di questa Commedìa, Lettor, ti giuro,
      S’elle non sien di lunga grazia vote, 129
      Ch’io vidi per quell’aer grosso e scuro
      Venir notando una figura in suso,
      Meravigliosa ad ogni cor sicuro, 132
      Sì come torna colui, che va giuso
      Talora a scioglier âncora, che aggrappa
      O scoglio o altro che nel mare è chiuso, 135
      Che in su si stende, e da piè si rattrappa.


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      Mensaje por Maria Lua Jue 11 Feb 2021, 05:11

      CANTO DECIMOSEXTO

      CIRCULO SÉTIMO: VIOLENCIA

      ARO TERCERO:
      VIOLENTOS CONTRA LA NATURALEZA
      G. GUERRA. AI.DOBRANDI, HTJSTICÜCCI, CATAKATA DML KIO,
      GERION
      Continuación del tercer aro del sétimo círculo. El rumor de lns aguas
      que corren al B'Iegetón. Encuentro con otra mesnada de sodomitas. Tres florentinos ilustres manifiestan al Dante sus ideas sobre
      el estado político, moral y civil de su patria . Amarga respuesta
      del poeta. En el centro del círculo el agua del Flegetgn se precipita en el vasto pozo del círculo inferior. La soga' del poeta con
      que Virgilio atrae al monstruo del Flegetón. Aparición del monstruo del fraude.

      Llegué hasta xin sitio, en que el rimbombo oía
      del agua, eual rumor de una colmena,
      que a otro círculo oscuro descendía,
      y vi venir por la inflamada arena,
      tres sombras, que. corrían juntamente,
      bajo la áspera lluvia de la pena.
      Y gritaban de lejos ¡ «¡ Tú, detente!
      que, según por el hálito colijo,
      eres también de la perversa gente.»
      ¡Al recordarlo, con horror me aflijo!
      ¡ Miré en sus miembros las sangrientas llagas,
      que el fuego abriera con afán prolijo!
      Dijo el maestro: «A esas tres almas vagas,
      espéralas al borde de esa meta,
      a fin que sus deseos satisfagas;
      «Y a no ser de ese fuego la saeta,
      que cruza el arenal, yo te diría,
      que buscarlas sería acción discreta.»
      AI pararnos, su queja repetía
      el grupo de los tres, y aproximados
      a nosotros, en rueda se movía.
      Como atletas desnudos de óleo untados,
      buscan aventajar al enemigo,
      antes de combatir, precaucionados,
      tal se encaraban todas tres conmigo,
      girando siempre, vueltas las cabezas
      a inversa de los pies, por su castigo.
      «Si de este horrible sitio las crudezas
      vuelve desprecio al ruego que te llama,
      al contemplarnos de miseria presas,»
      una clamó: «que al menos nuestra fama,
      te apiade, y dinos, cómo aquí has venido,
      con pies de vivo por infierno en llama.
      «Este que ves, desnudo y consumido,
      y cuyas huellas piso, poderoso
      más que lo piensas, en un tiempo ha sido.
      «Por la mente y la espada muy glorioso,
      fué nieto de la púdica Gualdrada:
      Guido Guerra es su nombre, asaz famoso.
      «El que sigue en la arena mi pisada,
      es Tejazo Aldobrandi, y sü memoria,
      en el mundo debiera ser amada.
      «Y j-o en cruz como víctima expiatoria,
      Jaeobo Rusticueci soy, que peno,
      por mi fiera mujer infamatoria.»
      De no tenerme el fuego,, como un freno,
      con las sombras me habría yo mezclado,
      y habríalo aprobado el maestro bueno:
      temor de ser con ellas abrasado,
      contuvo el movimiento generoso,
      que mis brazos llevaba de su lado.
      Respondí: «Sentimiento tan piadoso,
      y no desprecio, inspira vuestro estado,
      que su recuerdo me será angustioso.
      «Cuando mi guía me hubo señalado,
      vuestras tres sombras, comprendí al momento,
      que erais gente de nombre levantado.
      «De vuestra tierra soy; yo siempre atento,
      vuestros nombres honré y altas acciones,
      oyéndolas con grato sentimiento.
      «Dejo'la hiél, y los más dulces dones
      del fruto busco que me está brindado:
      mas debo descender a otras regiones.»
      «¡ Tu alma conduzca al cuerpo afortunado;»
      repusieron, «y viva luminoso
      después de tí, tu nombre perpetuado!
      «Mas dinos, si el coraje generoso
      nuestra ciudad habita todavía,
      o si sufrió destierro ignominioso,
      «pues Guillermo Borsier, que ha poco expía,
      en nuestra compañía, su arrogancia,
      nuevas nos da, que dan melancolía.»
      «La gente nueva, y súbita ganancia,
      orgullo y desmesura han generado.
      ¡ Oh, Florencia, ya lloras tu jactancia!»
      Así exclamé con rostro levantado,
      y los tres, se miraron tristemente,
      cual mira el que verdades ha escuchado.
      «Si así siempre respondes a la mente,
      con tan fácil palabra y noble anhelo,
      ¡seas feliz!», clamaron juntamente.
      «Si dejas la mansión de eterno duelo,
      al contemplar la bóveda estrellada,
      Yo estuve allí, dirás allá en el suelo.
      «¡Y habla de nuestra suerte malhadada!»
      Y el cerco rompen, y huyen velozmente,
      como si su ágil planta fuese alada.
      No se dice un amén tan prontamente,
      como tardara al grupo ver perdido.
      El maestro, partir creyó prudente.
      Iba,tras él, y súbito el ruido
      de un agua torrentuosa, que rugiente
      cerca caía, asorda nuestro oído.
      Como el, río que corre hacia el oriente,
      por la siniestra falda de Apenino,
      y Aguaquieta es de Veso en la pendiente,
      hasta perder su nombre en el camino,
      donde Forlí se llama, y luego inquieto,
      de nombre cambia, y baja en torbellino
      de los Alpes, do está San Benedetto,
      rimbombando, en barranco soterrado,
      que a mil monjes daría albergue quieto,
      así, de un gran ribazo levantado,
      caía despeñada el agua oscura,
      cuyo fragor teníame asordado.
      Llevaba yo una cuerda a la cintura,
      y con ella pensé ver enlazada,
      la onza de la pintada vestidura.
      Cuando del einto estuvo desatada,
      según me lo ordenara mi maestro,
      se la entregué, revuelta y enrollada.
      Volviéndose hacia el costado diestro,
      tomó distancia, y con potente brazo,
      la echó en el fondo del raudal siniestro.
      Dije entre mí: Sin duda, raro caso
      el ojo experto del maestro cela:
      algo de nuevo se prepara al paso.
      ¡ Cuan falible es del hombre la cautela,
      que penetrar pretende lo imprevisto,
      cuando otra mente su pensar devela!
      Dijo el maestro: «Acudirá bien listo:
      aquí le espero, y mirarán tus ojos
      lo que sueñas, y es bueno sea visto.»
      Siempre que la verdad, en sus antojes,
      muestre faz de mentir, callar se debe,
      para no merecer tristes sonrojos:
      mas la verdad esta Comedia mueve,
      y por sus versos ¡oh lector! te juro,
      (que espero alcanzarán vida no breve),
      que vi venir, por aquel aire oscuro,
      nadando en el abismo, una figura,
      que asombraría al pecho más seguro:
      iba cual buzo, que surgir se apura,
      cuando desprende un ancla del escollo,
      u otra cosa en el mar, y que asegura,
      brazos y pies en alternado arrollo.


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      Mensaje por Maria Lua Dom 14 Feb 2021, 06:33




      CANTO XVII.

      ARGOMENTO

      Mentre Virgilio parla con Gerione perchè consenta a calarli giù,
      Dante discostasi dalla riva fin presso l’arena per osservare gli
      usurai, che ivi sono a martirio: ne nota parecchi, e ritorna dov’era
      Virgilio. Saliti entrambi sul dosso a Gerione, discendono nell’ottavo cerchio.

      Ecco la fiera con la coda aguzza,
      Che passa i monti, e rompe muri e armi:
      Ecco colei, che tutto il mondo appuzza. 3
      Sì cominciò lo mio duca a parlarmi,
      E accennolle che venisse a proda,
      Vicino al fin de’ passeggiati marmi. 6
      E quella sozza imagine di froda
      Sen venne, e arrivò la testa e il busto;
      Ma in su la riva non trasse la coda. 9
      La faccia sua era faccia d’uom giusto,
      Tanto benigna avea di fuor la pelle;
      E d’un serpente tutto l’altro fusto. 12
      Duo branche avea pilose infin l’ascelle:
      Lo dosso e il petto ed amendue le coste
      Dipinte avea di nodi e di rotelle. 15
      Con più color sommesse e sovrapposte
      Non fer mai drappo Tartari nè Turchi,
      Nè fur tai tele per Aragne imposte. 18
      Come talvolta stanno a riva i burchi,
      Che parte sono in acqua e parte in terra,
      E come là tra li Tedeschi lurchi 21
      Lo bevero s’assetta a far sua guerra;
      Così la fiera pessima si stava
      Su l’orlo che, di pietra, il sabbion serra. 24
      Nel vano tutta sua coda guizzava,
      Torcendo in su la venenosa forca,
      Che a guisa di scorpion la punta armava. 27
      Lo duca disse: Or convien che si torca
      La nostra via un poco, infino a quella
      Bestia malvagia che colà si corca. 30
      Però scendemmo alla destra mammella,
      E dieci passi femmo in su lo stremo,
      Per ben cessar la rena e la fiammella: 33
      E quando noi a lei venuti semo,
      Poco più oltre veggio in su la rena
      Gente seder propinqua al luogo scemo. 36
      Quivi il Maestro: A ciò che tutta piena
      Esperienza d’esto giron porti,
      Mi disse, or va, e vedi la lor mena. 39
      Li tuoi ragionamenti sien là corti:
      Mentre che torni parlerò con questa,
      Che ne conceda i suoi omeri forti. 42
      Così ancor su per la strema testa
      Di quel settimo cerchio, tutto solo
      Andai, ove sedea la gente mesta. 45
      Per gli occhi fuori scoppiava lor duolo:
      Di qua, di là soccorrean con le mani,
      Quando a’ vapori e quando al caldo suolo. 48
      Non altrimenti fan di state i cani,
      Or col ceffo or col piè, quando son morsi
      O da pulci o da mosche o da tafani. 51
      Poi che nel viso a certi gli occhi porsi,
      Ne’ quali il doloroso fuoco casca,
      Non ne conobbi alcun; ma io m’accorsi, 54
      Che dal collo a ciascun pendea una tasca,
      Ch’avea certo colore e certo segno,
      E quindi par che il loro occhio si pasca. 57
      E com’io riguardando tra lor vegno,
      In una borsa gialla vidi azzurro,
      Che di lione avea faccia e contegno. 60
      Poi procedendo di mio sguardo il curro,
      Vidine un’altra più che sangue rossa
      Mostrare un’oca bianca più che burro. 63
      E un, che d’una scrofa azzurra e grossa
      Segnato avea lo suo sacchetto bianco,
      Mi disse: Che fai tu in questa fossa? 66
      Or te ne va; e perchè sei viv’anco,
      Sappi che il mio vicin Vitaliano
      Sederà qui dal mio sinistro fianco. 69
      Con questi Fiorentin son Padovano:
      Spesse fiate m’intruonan gli orecchi,
      Gridando: Vegna il cavalier sovrano, 72
      Che recherà la tasca coi tre becchi.
      Quindi storse la bocca, e di fuor trasse
      La lingua, come bue che il naso lecchi. 75
      E io temendo no ’l più star crucciasse
      Lui, che di poco star m’avea ammonito,
      Tornai indietro dall’anime lasse. 78
      Trovai lo Duca mio, ch’era salito
      Già su la groppa del fiero animale,
      E disse a me: Or sie forte e ardito. 81
      Omai si scende per sì fatte scale:
      Monta dinanzi, ch’io voglio esser mezzo,
      Sì che la coda non possa far male. 84
      Qual è colui, ch’ha sì presso il ribrezzo
      Della quartana, ch’ha già l’unghie smorte,
      E trema tutto pur guardando il rezzo; 87
      Tal divenn’io alle parole porte:
      Ma vergogna mi fer le sue minacce,
      Che innanzi a buon signor fa servo forte. 90
      Io m’assettai in su quelle spallacce:
      Sì volli dir, ma la voce non venne
      Com’io credetti: Fa che tu m’abbracce. 93
      Ma esso ch’altra volta mi sovvenne
      Ad altro forte, tosto ch’io montai,
      Con le braccia m’avvinse e mi sostenne; 96
      E disse: Gerion, moviti omai:
      Le ruote larghe e lo scender sia poco:
      Pensa la nuova soma che tu hai. 99
      Come la navicella esce di loco
      In dietro in dietro, sì quindi si tolse:
      E poi che al tutto si sentì a giuoco, 102
      Là ov’era il petto, la coda rivolse,
      E quella tesa, com’anguilla, mosse,
      E con le branche l’aer a sè raccolse. 105
      Maggior paura non credo che fosse
      Quando Fetonte abbandonò gli freni,
      Per che il Ciel, come appar ancor, si cosse; 108
      Nè quando Icaro misero le reni
      Sentì spennar per la scaldata cera,
      Gridando il padre a lui: Mala via tieni; 111
      Che fu la mia, quando vidi, ch’io era
      Nell’aer d’ogni parte, e vidi spenta
      Ogni veduta, fuor che della fiera. 114
      Ella sen va notando lenta lenta:
      Ruota e discende, ma non me n’accorgo,
      Se non che al viso e di sotto mi venta. 117
      Io sentia già dalla man destra il gorgo
      Far sotto noi un mirabile stroscio;
      Per che con gli occhi in giù la testa sporgo. 120
      Allor io fui più timido allo scoscio:
      Però ch’io vidi fuochi e sentii pianti;
      Ond’io tremando tutto mi raccoscio. 123
      E vidi poi, che non l’udia davanti
      Lo scendere, il gramar, per tanti mali,
      Che s’appressavan da diversi canti. 126
      Come il falcon, ch’è stato assai su l’ali:
      Che senza veder logoro o uccello
      Fa dire al falconiere: Oimè tu cali: 129
      Discende lasso, onde si move snello
      Per cento ruote, e da lungi si pone
      Dal suo maestro, disdegnoso e fello; 132
      Così ne pose al fondo Gerione
      A piè da piè della stagliata rocca;
      E discarcate le nostre persone, 135
      Si dileguò, come da corda cocca






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      Dante Alighieri (1265-1321) - Página 2 Empty Re: Dante Alighieri (1265-1321)

      Mensaje por Maria Lua Miér 24 Feb 2021, 07:35

      CANTO DECIMOSETIMO

      CIRCULO SÉTIMO: VIOLENCIA
      ARO TERCERO: VIOLENTOS CONTRA EL ARTE
      GERION, SCHOVIGNO, BUIAMONTE, DESCENSO AL OCTAVO
      CIRCULO

      Descripción del monstruo Gerion, imagen del fraude. Mientras Virgilio
      negocia con Gerion el pasaje del abismo, Dante va a visitar el
      último girón del sétimo circulo. Los usureros, o sea los violentos
      contra sf y contra el art e (V. canto XI) . Grupo de condenados
      bajo una lluvia de fuego con sacos blasonados colgados al cuello.
      Retorna Dante a donde había dejado a Virgilio. Los dos poetas
      descienden al octavo círculo en hombros de Gerion.

      «¡ Esta es la fiera de aguzada cola,
      que montes pasa, rompe armas y muros,
      que el mundo apesta y todo lo desoía!»
      Así, empezó el maestro sus conjuros,
      y a la fiera hizo seña, de ir avante,
      hasta la margen de peñascos duros.
      ¡Del fraude aquella imagen malignante,
      vino, y sacó su testa con su busto,
      mas la cola quedó si-mpre flotante!
      Era su cara la del hombre justo,
      en lo exterior, y cual serpiente el resto,
      de aire benigno, y sin semblante adusto.
      Largo vello en el brazo sobrepuesto;
      el dorso, el pecho, con sus dos costados
      con pintado dibujo, bien apuesto.
      Turcos y tártaros, nunca más pintados,
      paños lucieron, ni tejiera Aracna,
      con más primor los suyos, matizados.
      Como se ve en la playa una tartana,
      una mitad adentro y otra .afuera;
      como entre tosca gente tudescana,
      el castor de su pesca está a la espera;
      así la bestia, entre torrente y plaj'a,
      estaba, con el medio cuerpo afu°ra.
      Su cola ponzoñosa al aire explaya,
      con doble dardo de escorpión, que gira,
      y que a uno y otro lado la soslaya.
      Y di jome el maestro: «Cuida y mira;
      rodear conviene nuestra vía un tanto,
      para alcanzar la bestia que se estira.»
      Tras sus huellas, bajando me adelanto,
      y unos diez pasos a derecha dimos,
      por salvar de las llamas el espanto.
      Cuando la bestia cerca ya tuvimos,
      más adelante, en la incendiada arena,
      turba yacente en el abismo vimos.
      Dijo el maestro: «Una experiencia plena,
      debes llevar de este profundo grado:
      ve a mirar los penados y su pena.
      «Cuida en palabras ser muy mesurado;
      y miíntras vuelves, yo a este monstruo pido,
      que nos preste su lomo reforzado.»
      Solitario, costeando pavorido
      el sétimo girón, fui donde estaba
      sentado, aquel enjambre dolorido.
      A sus ojos la pena se asomaba;
      de aquí, de allá, prestábanse la mano,
      contra el fuego que a todos abrasaba.
      No de otro modo el can, en el verano,
      hocico y pata opone a mordeduras
      de los insectos, con empeño vano.
      Contemplé más de cerca sus figuras,
      sin conocer ninguno, tan, surcado
      su rostro estaba de hondas quemaduras.
      Del cuello de cada uno vi colgado
      un saco de color, con cierto signo,
      que contemplaban ellos con agrado.
      Al mirarlos, siguiendo mi camino,
      un saco vi de leones blasonado,
      de color amarillo y azulino.
      Y observando después con más cuidado,
      ánade sobre tinta sanguinosa,
      blanco más que la leche, vi pintado.
      Y uno de saco blanco, en que azulosa,
      noté preñada puerca, quien esquivo
      preguntóme: «¿A qué vienes a esta fosa?
      «Vete de aquí; y pues te encuentras vivo,
      sabe, que mi vecino Vitaliano,
      a mi izquierda estará también cautivo.
      «Entre esos florentinos, yo paduano,
      el oído me atruenan con su pico,
      gritando: «Venga el rico soberano,
      «que la bolsa traerá de triple-pico.»
      Y contrajo la boca, y sacó fuera
      la lengua, como el buey lame el hocico.
      Temiendo que el enojo se acreciera,
      del que de mal talante había hablado,
      dejé a estas almas en su pena ñera.
      Volví a mi guía, que encontré montado,
      a la grupa del monstruo, y que decía:
      «¡ Aquí tu fuerza y tu valor osado!
      «no se baja por otra gradería:
      yq iré en el medio: sube tú adelante:
      no nos juegue su cola felonía.»
      Como el que la cuartana, tremulante,
      mira en sus uñas pálidas, y el frío
      le hace temblar, dos veces vacilante,
      sentí del miedo el doble escalofrío;
      mas la vergüenza sobrepuse al miedo,
      ante un valor que confortaba el mío :
      de la fiera en la espalda, trepo quedo:
      quiero decir: ¡ Estrécheme tu brazo !
      pero un sonido articular no puedo.
      Y él, que por tantas veces con su abrazo
      me había prontamente preservado,
      me sujetó con afectuoso lazo.
      Y a Gerion la gritó: «Baja esforzado:
      ancha es la ruta y la bajada suave:
      cuida la nueva carga que te he echado.»
      Cual desatraca la pequeña nave,
      retrocediendo, tal el monstruo fiero,
      deja la playa, que tenía cabe.
      Donde su pecho estaba, muy certero,
      pone la cola, firme y extendida,
      como la anguila, y muévese ligero.
      Más pavura no creo fué sentida,
      ni por Faetón, cuando perdido el freno,
      los cielos hizo arder en su caída,
      ui cuando Icaro, de alas en su estreno,
      sintió correr la cera derretida,
      gritando el padre: «¡ no es camino bueno!»
      i cómo fué mi temor en la partida,
      en medio de los aires, sin aliento,
      viendo sólo la bestia medio hundida!
      El monstruo navegaba, lento, lento;
      unas veces subía, otras bajaba,
      y arriba, abajo, me azotaba el viento.
      A mi diestra, sentía que bramaba
      el torrente bravio, y aterrado
      bajé los ojos para ver do estaba.
      Entonces, mi terror fué redoblado:
      fuegos miré, y percibí sollozos;
      y contraje mi cuerpo quebrantado.
      Por los lejanos gritos dolorosos,
      al girar y bajar, bien comprendía,
      eran ecos de centros pavorosos.
      Como aleón, que en los aires se cernía,
      baja sin ver el ave ni al señuelo
      y burla al cazador en su desvelo,
      y lejos de él, se aparta a la bajada,
      y con desdén y enojo toca el suelo,
      Gerión, al pie de roca acantilada,
      nos depuso en postrera sacudida;
      y del peso su espalda descargada,
      partió' cual flecha de arco despedida.


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      Mensaje por Pascual Lopez Sanchez Jue 25 Feb 2021, 09:05

      ¿SABES, MARÍA...? EN LA CASA DE DANTE, EN FLORENCIA, PEDÍ PERMISO A UNA DE LAS CELADORAS PARA LEER UNOS VERSOS DE LA DIVINA COMEDIA. Y ME HABILITÓ UN LUGAR PARA HACERLO... LOS VISITANTES, EN ESE MOMENTO, DE LA CASA MUSEO QUEDARON ENCANTADOS... Y YO MÁS ANCHO QUE LARGO. LA EXPERIENCIA, MUY POSITIVA.


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      Mensaje por Maria Lua Dom 28 Feb 2021, 12:18


      Interesante, amigo Pascual!
      Me gustaría visitar las casa de varios poetas/escritores:
      Fernando Pessoa, Florbela Espanca,
      Rosalía de Castro... Cecilia Meireles...
      En Porto Alegre, Rio Grande do Sul,
      conocí la habitación del poeta Mario Quintana,
      Clarice Lispector... etc...
      que pasó gran parte de su vida en hoteles.
      Esa habitación está en la Casa de Cultura Mario Quintana,
      donde antes era el Hotel Majestic.
      Gracias y feliz domingo!
      Besos
      Maria Lua


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      Mensaje por Maria Lua Dom 28 Feb 2021, 12:22

      CANTO XVIII.

      ARGOMENTO

      Osservano la forma dell’ottavo cerchio, detto Malebolge, che è il
      luogo di pena per i fraudolenti. È diviso in dieci fossi circolari e
      concentrici per modo che il più angusto sia il più interno, nel giu -
      sto mezzo del quale apresi il pozzo, dove sono puniti i traditori.
      Cominciano ad osservare le diverse specie de’ fraudolenti:
      e prima i seduttori di donne. Il Poeta nel branco de’ ruffiani conosce
      Venedico Caccianimico e gli favella. Fra gl’ingannatori con falso
      giuramento di matrimonio vede Giasone; fra i lusinghieri Alessio
      Interminelli.


      Luogo è in Inferno detto Malebolge,
      Tutto di pietra e di color ferrigno,
      Come la cerchia, che d’intorno il volge. 3
      Nel dritto mezzo del campo maligno
      Vaneggia un pozzo assai largo e profondo,
      Di cui sua forma conterà l’ordigno. 6
      Quel cinghio che rimane adunque è tondo
      Tra il pozzo e il piè dell’alta ripa dura,
      E ha distinto in dieci valli il fondo. 9
      Quale dove per guardia delle mura
      Più e più fossi cingon li castelli,
      La parte dov’ei son rende figura; 12
      Tale imagine quivi facean quelli:
      E come a tai fortezze da’ lor sogli
      Alla ripa di fuor son ponticelli; 15
      Così da imo della roccia scogli
      Movean, che ricidean gli argini e i fossi
      Infino al pozzo, che i tronca e raccogli. 18
      In questo luogo, dalla schiena scossi
      Di Gerion, trovammoci; e il Poeta
      Tenne a sinistra, ed io dietro mi mossi. 21
      Alla man destra vidi nuova pieta;
      Nuovi tormenti e nuovi frustatori,
      Di che la prima bolgia era repleta. 24
      Nel fondo erano nudi i peccatori:
      Dal mezzo in qua ci venian verso il volto;
      Di là con noi, ma con passi maggiori: 27
      Come i Roman, per l’esercito molto,
      L’anno del Giubbileo, su per lo ponte
      Hanno a passar la gente modo tolto; 30
      Che dall’un lato tutti hanno la fronte
      Verso il Castello, e vanno a Santo Pietro,
      Dall’altra sponda vanno verso il monte. 33
      Di qua, di là su per lo sasso tetro
      Vidi dimon cornuti con gran ferze,
      Che li battean crudelmente di retro. 36
      Ahi come facevan lor levar le berze
      Alle prime percosse! e già nessuno
      Le seconde aspettava nè le terze. 39
      Mentr’io andava, gli occhi miei in uno
      Furo scontrati; e io sì tosto dissi:
      Già di veder costui non son digiuno. 42
      Perciò a figurarlo i piedi affissi;
      E il dolce Duca meco si ristette,
      E assentì ch’alquanto indietro gissi. 45
      E quel frustato celar si credette
      Bassando il viso; ma poco gli valse,
      Ch’io dissi: O tu che l’occhio a terra gette, 48
      Se le fazion che porti non son false,
      Venedico se’ tu Caccianimico;
      Ma che ti mena a sì pungenti salse? 51
      Ed egli a me: Mal volentier lo dico,
      Ma sforzami la tua chiara favella,
      Che mi fa sovvenir del mondo antico. 54
      Io fui colui, che la Ghisola bella
      Condussi a far la voglia del Marchese,
      Come che suoni la sconcia novella. 57
      E non pur io qui piango Bolognese;
      Anzi n’è questo luogo tanto pieno,
      Che tante lingue non son ora apprese 60
      A dicer sipa tra Savena e Reno:
      E se di ciò vuoi fede o testimonio,
      Recati a mente il nostro avaro seno. 63
      Così parlando il percosse un demonio
      Della sua scuriada, e disse: Via,
      Ruffian, qui non son femmine da conio. 66
      Io mi raggiunsi con la Scorta mia:
      Poscia con pochi passi divenimmo
      Dove uno scoglio della ripa uscia. 69
      Assai leggieremente quel salimmo,
      E volti a destra su per la sua scheggia,
      Da quelle cerchie eterne ci partimmo. 72
      Quando noi fummo là, dov’ei vaneggia
      Di sotto, per dar passo agli sferzati,
      Lo Duca disse: Attienti, e fa che feggia 75
      Lo viso in te di questi altri mal nati,
      A’ quali ancor non vedesti la faccia,
      Però che son con noi insieme andati. 78
      Dal vecchio ponte guardavam la traccia,
      Che venia verso noi dall’altra banda,
      E che la ferza similmente scaccia. 81
      Il buon Maestro, senza mia dimanda,
      Mi disse: Guarda quel grande che viene,
      E per dolor non par lagrima spanda: 84
      Quanto aspetto reale ancor ritiene!
      Quelli è Jason, che per core e per senno
      Li Colchi del monton privati fene. 87
      Ello passò per l’isola di Lenno,
      Poi che le ardite femmine spietate
      Tutti li maschi loro a morte dienno. 90
      Ivi con segni e con parole ornate
      Isifile ingannò, la giovinetta
      Che prima l’altre avea tutte ingannate. 93
      Lasciolla quivi, gravida e soletta:
      Tal colpa a tal martirio lui condanna;
      E anche di Medea si fa vendetta. 96
      Con lui sen va chi da tal parte inganna:
      E questo basti della prima valle
      Sapere, e di color che in sè assanna. 99
      Già eravam ove lo stretto calle
      Con l’argine secondo s’incrocicchia,
      E fa di quello ad un altr’arco spalle. 102
      Quindi sentimmo gente, che si annicchia
      Nell’altra bolgia, e che col muso sbuffa,
      E sè medesma con le palme picchia. 105
      Le ripe eran grommate d’una muffa,
      Per l’alito di giù, che vi si appasta,
      Che con gli occhi e col naso facea zuffa. 108
      Lo fondo è cupo sì, che non ci basta
      L’occhio a veder senza montare al dosso
      Dell’arco, ove lo scoglio più sovrasta. 111
      Quivi venimmo; e quindi giù nel fosso
      Vidi gente attuffata in uno sterco,
      Che dagli uman privati parea mosso: 114
      E mentre ch’io laggiù con l’occhio cerco,
      Vidi un col capo sì di merda lordo,
      Che non parea s’era laico o cherco. 117
      Quei mi sgridò: Perchè se’ tu sì ingordo
      Di riguardar più me, che gli altri brutti?
      E io a lui: Perchè, se ben ricordo, 120
      Già t’ho veduto coi capelli asciutti,
      E sei Alessio Interminei da Lucca:
      Però t’adocchio più che gli altri tutti. 123
      Ed egli allor, battendosi la zucca:
      Quaggiù m’hanno sommerso le lusinghe,
      Ond’io non ebbi mai la lingua stucca. 126
      Appresso ciò lo Duca: Fa che pinghe,
      Mi disse, un poco il viso più avante,
      Sì che la faccia ben con gli occhi attinghe 129
      Di quella sozza scapigliata fante:
      Che là si graffia con l’unghie merdose,
      Ed or s’accoscia, e ora è in piede stante. 132
      Taida è, la puttana che rispose
      Al drudo suo quando disse: Ho io grazie
      Grandi appo te? Anzi meravigliose. 135
      E quinci sien le nostre viste sazie.


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      Dante Alighieri (1265-1321) - Página 2 Empty Re: Dante Alighieri (1265-1321)

      Mensaje por Maria Lua Mar 09 Mar 2021, 12:49

      CANTO DECIMOCTAVO

      CIRCULO OCTAVO:FRAUDE
      ARO PRIMERO: RUFIANES Y SEDUCTORES
      CACCIANIMICO, .TASON
      ARO SEGUNDO: ADULADORES



      Descripción del octavo círculo, dividido en diez valles, o (osos circulares y concéntricos. En cada una de las comparticiones se castiga
      una especie de fraudulentos. En este canto se trata, de los primeros dos valles. En uno de estos valles se castiga a los rufianes por
      manos de demonios con cuernos. En otro valle yacen los aduladores y las cortesanas.

      Malebolge, es un sitio del infierno,
      todo de piedra, de color ferroso,
      como el circuito del contorno externo. 3
      En el centro del campo malignoso,
      se encuentra un ancho pozo, oscuro y hondo,
      que en su lugar describiré cuidoso. 0
      En diez valles divídese en el fondo,
      y de este pozo ii^stft IR roca dura
      se dilata otro círculo en redondo. ,,
      Cual de una fortaleza, la cintura
      ciñen sus fosos alternadamente,
      trazados en concéntrica figura,
      es su imagen inversa cabalmente;
      y como se echan puentes en sus puertas,
      por donde pueda transitar la gente,
      así también, las fosas descubiertas,
      tienen por puentes rocas suspendidas,
      tendidas a sus bordes, cual compuertas.
      En tal lugar, con fuertes sacudidas,
      nos depuso Gerión; y del poeta,
      mis pies siguieron cautos las medidas.
      Volví a la diestra la mirada inquieta;
      nuevos verdugos vi, nuevos dolores,
      de que esta prima fosa está repleta:
      en el fondo, desnudos pecadores;
      unos que van con paso acelerado,
      y otros vienen con pasos avizores.
      Tal los romanos van de lado y laclo,
      en su puente durante el jubileo,
      en dos filas el pueblo separado,
      para evitar de gente el hormigueo,
      y a San Pedro unos marchan rectamente,
      y otros siguen al monte en su paseo.
      De aquí, de allá, de espaldas o de frente,
      vi demonios con cuernos, gente ñera,
      las almas azotando crudamente.
      i Cuál movían la pierna a la ligera!
      Cuando el primer chasquido resonaba,
      el segundo y tercero nadie espera.
      Pije la. vista en uno que allí estaba,
      y al contemplarle tuve mi barrunto,
      no era primera vez que le miraba.
      Como de mi maestro estaba junto,
      él le miró, y dióme con agrado
      venia para volver hacia aquel punto.
      Creyó esquivar el rostro el flagelado,
      bajando la cabeza, en contorsiones,
      y por ende, le dije: «Tú, agachado,
      si acaso no me engañan tu) facciones,
      Venedico eres tú, Caccianimigo.
      ¿Qué te trajo tan duras' puniciones?»
      Y él respondió: «A mi pesar lo digo,
      pero me obliga tu habla, porque en ella
      percibo el eco de otro mundo amigo.
      «Yo soy aquél, que candida doncella
      entregué del Marqués al apetito,
      como se cuenta de Ghisola bella.
      «No soy el solo bolones contrito
      que llora aquí, pues el lugar tan Heno
      está de lenguas más que en el distrito
      «do dicen sipa entre Savena y Reno;
      pues has de recordar, como se cuenta,
      que de avaricia, saco fué su seno.»
      Demonio armado de una verga cruenta,
      lo azota y grita: «¡ Anda, rufián maldito!
      mujeres no hay aquí de compra-venta.»
      A mi guía volvíme en el conflicto,
      y a poco andar un puente allí encontramos,
      de roca, cual los que antes he descrito.
      Ligeramente, el puente atravesamos,
      y volviendo a la diestra nuestra planta,
      aquel eterno cerco abandonamos,
      y en la roca, que en arco se levanta,
      para dejar pasar las condenadas:
      «Contempla atento cuanta pena aguanta
      «esa turba de sombras malhadadas,»
      dijo mi guía, «qua mirar de frente
      no lias podido, siguiendo sus pisadas.»
      Y contemplé desde el antiguo puente,
      tropel de sombras por la opuesta banda,
      azotadas por látigo inclemente.
      El maestro previno mi demanda:
      «Y mira», dijo, «al que camina altivo,
      sin que en sus ojos el dolor se expanda.
      «Tiene el aspecto que tenía aun vivo:
      ese es Jason, de astucia y valor lleno,
      que a Coicos arrancó, su oro nativo.
      «Pasó después por la ínsula de Lemno,
      donde audaces mujeres, inmolaron
      a los hombres con fiero desenfreno.
      «Sus palabras a Hipsipila embaucaron;
      como las ele la joven, la confianza
      de las otras mujeres engañaron:
      «Sola, encinta, dejóla en desperanza;
      y por tal culpa, sufre su destino,
      cumpliendo de Medea la venganza.
      «Con él están, los que de engaño indigno
      reos se hicieron. Baste esta enseñanza,
      en este valle del penar condigno.»
      Llegamos a un extremo, donde alcanza
      el arco con sus bordes a juntarse,
      y es pilar de otro puente que se avanza;
      siento de allí una grita levantarse,
      con bufidos de gente condenada,
      y unos a otros coléricos golpearse.
      La pendiente está toda embadurnada
      de sucio orín, que la nariz ofende,
      y que náuseas provoca a la mirada.
      En vano el ojo penetrar pretende,
      aquella hondura, sólo percibida
      de la alta roca a cuyo pi? desciende.
      Vimos allí una turba zabullida,
      que chapoteaba en una cloaca inmunda,
      a estercolar humano parecida;
      y en medio a la asquerosa baraúnda,
      uno de ellos, que clérigo barrunto,
      con excremento su cabeza inunda.
      «¿Por qué me miras», preguntó el del unto,
      «y no a esos brutos?» Con el ojo fijo,
      le respondí: «Porque eres un trasunto,
      «de uno limpio de pelo, y bien colijo,
      eres Alessio Interminei, de Luca:
      por eso en verte aquí me regocijo.»
      Y" él, entonces, golpeándose la nuca,
      dijo: «Aquí purgo la lisonja aviesa,
      que con la lengua al prójimo embauca.»
      «Ahora, adelanta un tanto la cabeza,»
      dijo mi guía «y mira hacia adelante,
      para que tu ojo clave con fijeza
      «esa descabellada lujuriante,
      que se rasca con uñas de merdosa,
      y se acuesta y levanta a cada instante.
      «esa es Thais, la puta licenciosa,
      que al decir su cortejo: ¿Estoy en gracia?
      le contestó: ¡Y muy maravillosa!
      ¡ vamos! ¡ qué tanta podredumbre sacia.!»


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      "Ser como un verso volando
      o un ciego soñando
      y en ese vuelo y en ese sueño
      compartir contigo sol y luna,
      siendo guardián en tu cielo
      y tren de tus ilusiones."
      (Hánjel)





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      Mensaje por Maria Lua Miér 10 Mar 2021, 10:43

      CANTO XIX.


      ARGOMENTO


      Dalla seconda bolgia trapassano alla terza, nella quale vedono la
      punizione de’ Simoniaci, o trafficanti di cose sacre. Dante favella
      con Niccolò III di Bonifazio VIII e di Clemente V.


      O Simon mago, o miseri seguaci,
      Che le cose di Dio, che di bontate
      Denno essere spose, e voi rapaci 3
      Per oro e per argento adulterate;
      Or convien che per voi suoni la tromba,
      Però che nella terza bolgia state. 6
      Già eravamo alla seguente tomba
      Montati dello scoglio in quella parte,
      Che appunto sovra il mezzo fosso piomba. 9
      O somma Sapienza, quanta è l’arte,
      Che mostri in Cielo, in Terra, e nel mal Mondo;
      Quanta giustizia tua virtù comparte! 12
      Io vidi per le coste e per lo fondo
      Fessa la pietra livida di fori
      D’un largo tutti, e ciascuno era tondo. 15
      Non mi parean meno ampj nè maggiori,
      Che quei, che son nel mio bel San Giovanni
      Fatti per luoghi de’ battezzatori; 18
      L’uno de’ quali, ancor non è molt’anni,
      Rupp’io per un che dentro vi annegava:
      E questo fia suggel, ch’ogni uomo sganni. 21
      Fuor della bocca a ciascun soperchiava
      D’un peccatore i piedi, e delle gambe
      In fino al grosso, e l’altro dentro stava. 24
      Le piante erano a tutti accese entrambe;
      Per che sì forte guizzavan le giunte,
      Che spezzate averien ritorte e strambe. 27
      Qual suole il fiammeggiar delle cose unte
      Muoversi pur su per l’estrema buccia;
      Tal era lì da’ calcagni alle punte. 30
      Chi è colui, Maestro, che si cruccia,
      Guizzando più che gli altri suoi consorti,
      Diss’io, e cui più rossa fiamma succia? 33
      Ed egli a me: Se tu vuoi, ch’io ti porti
      Laggiù per quella ripa che più giace,
      Da lui saprai di sè e de’ suoi torti. 36
      E io: Tanto m’è bel quanto a te piace:
      Tu sei signore, e sai ch’io non mi parto
      Dal tuo volere, e sai quel che si tace. 39
      Allor venimmo in su l’argine quarto:
      Volgemmo, e discendemmo a mano stanca
      Laggiù nel fondo foracchiato ed arto. 42
      E il buon Maestro ancor dalla sua anca
      Non mi dipose, sin mi giunse al rotto
      Di quei che sì piangeva con la zanca. 45
      O qual che sei, che il di su tien di sotto,
      Anima trista, come pal commessa,
      Cominciai io a dir, se puoi, fa motto. 48
      Io stava, come il frate, che confessa
      Lo perfido assassin che, poi ch’è fitto,
      Richiama lui, perchè la morte cessa. 51
      Ed ei gridò: Sei tu già costì ritto,
      Sei tu già costì ritto, Bonifazio?
      Di parecchi anni mi mentì lo scritto. 54
      Sei tu sì tosto di quell’aver sazio
      Per lo qual non temesti torre a inganno
      La bella Donna, e poi di farne strazio? 57
      Tal mi fec’io quai son color che stanno,
      Per non intender ciò ch’è lor risposto,
      Quasi scornati, e risponder non sanno. 60
      Allor Virgilio disse: Dilli tosto,
      Non son colui, non son colui che credi:
      E io risposi come a me fu imposto. 63
      Per che lo spirto tutti storse i piedi:
      Poi sospirando, e con voce di pianto,
      Mi disse: Dunque che a me richiedi? 66
      Se di saper chi io sia ti cal cotanto,
      Che tu abbi però la ripa scorsa,
      Sappi ch’io fui vestito del gran manto: 69
      E veramente fui figliuol dell’orsa,
      Cupido sì, per avanzar li orsatti,
      Che su l’avere, e qui me misi in borsa. 72
      Di sotto al capo mio son gli altri tratti,
      Che precedetter me simoneggiando,
      Per le fessure della pietra piatti. 75
      Laggiù cascherò io altresì, quando
      Verrà colui, ch’io credea che tu fossi,
      Allor ch’io feci il subito dimando. 78
      Ma più è il tempo già, che i piè mi cossi,
      E ch’io son stato così sottosopra,
      Ch’ei non starà piantato coi piè rossi; 81
      Chè dopo lui verrà di più laida opra,
      Di ver ponente, un Pastor senza legge,
      Tal che convien che lui e me ricopra. 84
      Nuovo Iason sarà, di cui si legge
      Ne’ Maccabei; e come a quel fu molle
      Suo re, così fia a lui chi Francia regge. 87
      Io non so s’io mi fui qui troppo folle,
      Ch’io pur risposi lui a questo metro:
      Deh or mi di’ quanto tesoro volle 90
      Nostro Signore in prima da san Pietro,
      Che ponesse le chiavi in sua balìa?
      Certo non chiese, se non: Viemmi dietro. 93
      Nè Pier nè gli altri tolsero a Mattia
      Oro o argento, quando fu sortito
      Nel luogo, che perdè l’anima ria. 96
      Però ti sta, che tu se’ ben punito;
      E guarda ben la mal tolta moneta,
      Ch’esser ti fece contro a Carlo ardito. 99
      E se non fosse che ancor lo mi vieta
      La riverenza delle somme chiavi,
      Che tu tenesti nella vita lieta, 102
      Io userei parole ancor più gravi;
      Chè la vostra avarizia il mondo attrista,
      Calcando i buoni e sollevando i pravi. 105
      Di voi pastor s’accorse il Vangelista,
      Quando colei, che siede sovra l’acque,
      Puttaneggiar coi Regi a lui fu vista: 108
      Quella, che con le sette teste nacque,
      E dalle dieci corna ebbe argomento,
      Fin che virtute al suo marito piacque. 111
      Fatto v’avete Dio d’oro e d’argento:
      E che altro è da voi all’idolatre,
      Se non ch’egli uno, e voi n’orate cento? 114
      Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre,
      Non la tua conversion, ma quella dote
      Che da te prese il primo ricco patre! 117
      E mentre io gli cantava cotai note,
      O ira o coscienza che il mordesse,
      Forte spingava con ambo le piote. 120
      Io credo ben che al mio duca piacesse,
      Con sì contenta labbia sempre attese
      Lo suon delle parole vere espresse. 123
      Però con ambo le braccia mi prese;
      E poi che tutto su mi s’ebbe al petto,
      Rimontò per la via onde discese: 126
      Nè si stancò d’avermi a sè ristretto,
      Sin mi portò sovra il colmo dell’arco,
      Che dal quarto al quinto argine è tragetto. 129
      Quivi soavemente pose il carco,
      Soave per lo scoglio sconcio e erto,
      Che sarebbe alle capre duro varco: 132
      Indi un altro vallon mi fu scoverto.








      _________________



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      Mensaje por Maria Lua Jue 11 Mar 2021, 06:23

      CANTO DECIMONONO

      CIRCULO OCTAVO:FRAUDE
      ARO TERCERO: SIMONIACOS
      PAPA NICOLÁS III

      Imprecación contra la simonía]. Aro tercero del octavo círculo donde
      son castigados los simoníacos. Prelados y pontífices enterrados en
      los a,ntros ardientes, con excepción de los futimos que tienen de fuera,
      las piernas ardiendo. Suplicio del papa Nicolás III, que espera para hundirse del todo la venida de Bonifacio VIII, y anuncio de la
      condenación de Clemente V. Discurso de Dante contra los simoníacos. Los dos poetas continúan su viaje infernal.

      ¡ Oh Simón Mago, oh míseros secuaces,
      que las gracias de Dios, dulces esposas,
      dones de buenos, prostituís rapaces,
      por plata y oro, y sus sagradas cosas;
      por vosotros, la trompa ahora retumba,
      que estáis en la tercera de estas fosas!
      íbamos ya por la siguiente tumba,
      sobre el eentro del puente, en cuya parte,
      el foso como a plomo se derrumba.
      i Oh gran sapiencia, que tu tino y arte,
      muestras en tierra y cielo, y el mal hondo,
      y en cuanto justo tu virtud reparte!
      Yo vi, por los costados y en el fondo,
      llena la piedra lívida de agujeros,
      de igual tamaño, y cada cual redondo.
      Eran cual más o menos, los fronteros
      de mi bello San Juan, para bautismo,
      fuentes de bendición, y que ahogaderos
      de niños pueden ser, pues que yo mismo
      uno rompí, porque uno en él se ahogaba;
      y esto, a todos de fe sirva asimismo.
      Fuera del borde, el pecador echaba
      las piernas y los pies vueltos arriba,
      y el resto, bajo tierra se ocultaba-.
      ambas plantas, quemaba llama viva;
      y así, con fuerza muscular vibrante,
      trozar podría cuerda compresiva.
      Tal como corre un fuego, que flamante
      el aceite relame, tal corría,
      desde el talón al calcañal, errante.
      En uno, más rojiza llama ardía,
      y pregunté: «¿ Por qué más torturado,
      en convulsiones con más rabia ansia?»
      «Si quieres que te cargue hasta su lado,»
      dijo, «pues descender solo no puedes:
      el te dirá su pena y su pecado.»
      Y yo a él: «Así cuan blando accedes
      a mis deseos, sabes que no aparto
      mi voluntad, de lo que das o vedes.»
      Y luego entramos en el valle cuarto,
      tornando hacia izquierda, que acercaba,
      a estrecho abismo de forados harto.
      El maestro en sus hombros me llevaba,
      y m? depuso al bordo de la fosa,
      de aquel que con las piernas se quejaba.
      «Seas quien fueres,» dije «alma llorosa,
      que como leño estás medio enterrado;
      habla si puedes, con tu voz quejosa.»
      Yo estaba como el fraile, que inclinado
      confiesa en su hoyo al asesino rehaeio,
      que quiere retardar su fin airado.
      Y él me gritó: «¿Llegaste, Bonifacio?
      ¿Ahí estás? Pues la cuenta me ha engañado;
      pensaba que vinieras más despacio.
      «¿Tan pronto estás del oro ya saciado,
      con dolo hurtado a la divina esposa,
      que sin temor has tú vilipendiado?»
      Cual quien oye palabra dubitosa,
      que a comprender no acierta, así yo estaba,
      mudo, la faz bajada y ruborosa.
      Virgilio dijo entonces: «Pronto, acaba:
      dile: no soy el que tu mente augura.»
      Y respondí cual él me lo enseñaba.
      Ambos pies retorcióse en su tortura,
      el espíritu, y dijo en un sollozo:
      «i, Qué me quieres f» con voces de amargura.
      «Si de saber quien soy estás deseoso,
      y a saberlo a este sitio hayas venido,
      sabe, aue el grande manto esplendoroso,


      «como hijo de, la loba he revestido.
      Por colmar sus cachorros de riqueza,
      y embolsar, en tal bolsa me han metido.
      «Otros están debajo mi cabeza,
      simoníacos cual yo, que atarugados
      han descendido por la grieta aviesa.
      «Allí iré con los otros sepultados,
      cuando venga el que espero, que motiva
      mis demandas y gritos irritados.
      «Tiempo ha que el pie me escuece llama viva,
      con la cabeza abajo, penitente:
      él, tanto no estará piernas arriba.
      «Después vendrá del lado del poniente,
      pastor sin ley y de obras proditorias,
      que tapará a los dos en la pendiente.
      «Nuevo Jasón, de que hablan las historias
      del libro Macabeo, de la Francia
      las voces le serán propiciatorias.»
      No sé si me faltó la tolerancia,
      al pronunciar estas palabras graves:
      «¿Me dirás qué tesoro o qué ganancia,
      «nuestro Señor, al entregar sus llaves
      dióle a San Pedro? Dijo solamente:
      Sigúeme, Pedro, como tú lo sabes.
      «Ni Pedro, ni los otros, torpemente,
      de Matías dinero demandaron,
      al nombrarle en lugar del proditente.
      «Sufre, que con razón te castigaron,
      y guarda la riqueza mal habida,
      que al denostar a Carlos te pagaron.
      «Si mi lengua no fuese-contenida,
      al recordar, que las sagradas llaves,
      tuviste en otro tiempo, en leda vida,
      «mis palabras serían menos suaves,
      por tu avaricia, que a la tierra atrista,
      al malo leves, para el bueno graves.
      «De tí, Pastor, habló el Evangelista,
      cuando habló de la impura que puteaba,
      con reyes, en las aguas, a su vista;
      «la que diez cuernos por honor llevaba,
      en sus siete cabezas, si el tesoro
      de virtud al esposo le guardaba.
      «habéis forjado un dios de plata y oro:
      si uno tuvo la torpe idolatría,
      vos ciento idolatráis, sin su decoro.
      «¡ Ah, Constantino! ¡ cuánta apostasía
      produjo, no tu conversión suprema,
      sí tu riqueza, en el prelado, impía!»
      Y mientras yo cantaba sobre el tema,
      él, por ira o conciencia remordido,
      ambos pies agitó con furia extrema.
      Virgilio se mostraba complacido,
      y pienso, mis palabras atendía,
      como verdad de un hombre convencido.
      Con ambos brazos me tomó mi guía,
      y me estrechó sobre su blando seno
      al remontar por la tortuosa vía.
      Sin fatigarse, de bondades lleno,
      me condujo solícito,, hasta el puente
      del quinto valle, con andar sereno.
      Su carga allí depuso suavemente,
      en una roca yerma y escarpada,
      que aun para cabras fuera muy pendiente,
      y otro valle descubre la mirada


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      "Ser como un verso volando
      o un ciego soñando
      y en ese vuelo y en ese sueño
      compartir contigo sol y luna,
      siendo guardián en tu cielo
      y tren de tus ilusiones."
      (Hánjel)





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      Dante Alighieri (1265-1321) - Página 2 Empty Re: Dante Alighieri (1265-1321)

      Mensaje por Maria Lua Vie 12 Mar 2021, 07:36

      CANTO XX.


      ARGOMENTO


      Proseguendo ad aggirarsi per il sopradetto balzo, Dante s’incon -
      tra in Ugo Capeto, il quale prorompe contro la iniquità della sua
      discendenza.


      Contra miglior voler voler mal pugna,
      Onde, contra il piacer mio, per piacerli
      Trassi dell’acqua non sazia la spugna. 3
      Mossimi; e il Duca mio si mosse per li
      Luoghi spediti pur lungo la roccia,
      Come si va per muro stretto ai merli; 6
      Chè la gente, che fonde a goccia a goccia
      Per gli occhi il mal che tutto il mondo occùpa,
      Dall’altra parte in fuor troppo s’approccia. 9
      Maladetta sie tu, antica lupa,
      Che più che tutte l’altre bestie hai preda,
      Per la tua fame senza fine cupa! 12
      O Ciel, nel cui girar par che si creda
      Le condizion di quaggiù trasmutarsi,
      Quando verrà per cui questa disceda? 15
      Noi andavam con passi lenti e scarsi,
      E io attento all’ombre ch’io sentia
      Pietosamente piangere e lagnarsi; 18
      E per ventura udii: Dolce Maria!
      Dinanzi a noi chiamar così nel pianto,
      Come fa donna che in partorir sia; 21
      E seguitar: Povera fosti tanto,
      Quanto veder si può per quell’ospizio,
      Dove sponesti il tuo portato santo. 24
      Seguentemente intesi: O buon Fabrizio,
      Con povertà volesti anzi virtute,
      Che gran ricchezza posseder con vizio. 27
      Queste parole m’eran sì piaciute,
      Ch’io mi trassi oltre per aver contezza
      Di quello spirto, onde parean venute. 30
      Esso parlava ancor della larghezza,
      Che fece Niccolao alle pulcelle,
      stelle sulle umane vicissitudini.
      Per condurre ad onor lor giovinezza. 33
      O anima che tanto ben favelle,
      Dimmi chi fosti, dissi, e perchè sola
      Tu queste degne lode rinnovelle? 36
      Non fia senza mercè la tua parola,
      S’io ritorno a compir lo cammin corto
      Di quella vita che al termine vola. 39
      Ed egli: Io ti dirò, non per conforto
      Ch’io attenda di là, ma perchè tanta
      Grazia in te luce prima che sie morto. 42
      Io fui radice della mala pianta
      Che la terra cristiana tutta aduggia,
      Sì, che buon frutto rado se ne schianta. 45
      Ma se Doagio, Guanto, Lilla e Bruggia
      Potesser, tosto ne saria vendetta:
      E io la cheggio a Lui che tutto giuggia. 48
      Chiamato fui di là Ugo Ciapetta:
      Di me son nati i Filippi e i Luigi,
      Per cui novellamente è Francia retta. 51
      Figliuol fui d’un beccaio di Parigi.
      Quando li regi antichi venner meno
      Tutti, fuor ch’un renduto in panni bigi, 54
      Trovaimi stretto nelle mani il freno
      Del governo del regno, e tanta possa
      Di nuovo acquisto, e sì d’amici pieno, 57
      Che alla corona vedova promossa
      La testa di mio figlio fu, dal quale
      Cominciar di costor le sacrate ossa. 60
      Mentre che la gran dote Provenzale
      Al sangue mio non tolse la vergogna,
      Poco valea, ma pur non facea male. 63
      Lì cominciò con forza e con menzogna
      La sua rapina; e poscia, per ammenda,
      Ponti e Normandia prese, e Guascogna. 66
      Carlo venne in Italia e, per ammenda,
      Vittima fe’ di Curradino, e poi
      Ripinse al ciel Tommaso, per ammenda. 69
      Tempo veggo io non molto dopo ancoi,
      Che tragge un altro Carlo fuor di Francia,
      Per far conoscer meglio e sè e i suoi. 72
      Senz’arme n’esce, e solo con la lancia
      Con la qual giostrò Giuda, e quella ponta
      Sì, che a Fiorenza fa scoppiar la pancia. 75
      Quindi non terra, ma peccato e onta
      Guadagnerà per sè tanto più grave,
      Quanto più lieve simil danno conta. 78
      L’altro, che già uscì preso di nave,
      Veggio vender sua figlia, e patteggiarne,
      Come fanno i corsar dell’altre schiave. 81
      O avarizia, che puoi tu più farne,
      Poi ch’hai il sangue mio a te sì tratto,
      Che non si cura della propria carne? 84
      Perchè men paia il mal futuro e il fatto,
      Veggio in Alagna entrar lo fiordaliso,
      E nel Vicario suo Cristo esser catto. 87
      Veggiolo un’altra volta esser deriso:
      Veggio rinovellar l’aceto e il fele,
      E tra vivi ladroni esser anciso. 90
      Veggio il nuovo Pilato sì crudele,
      Che ciò nol sazia, ma senza decreto
      Porta nel tempio le cupide vele. 93
      O Signor mio, quando sarò io lieto
      A veder la vendetta, che nascosa
      Fa dolce l’ira tua nel tuo segreto? 96
      Ciò che io dicea di quell’unica sposa
      Dello Spirito Santo, e che ti fece
      Verso me volger per alcuna chiosa, 99
      Tanto è disposto a tutte nostre prece,
      Quanto il dì dura; ma quando s’annotta,
      Contrario suon prendemo in quella vece. 102
      Noi ripetiam Pigmalione allotta,
      Cui traditore e ladro e patricida
      Fece la voglia sua dell’oro ghiotta; 105
      E la miseria dell’avaro Mida,
      Che seguì alla sua dimanda ingorda,
      Per la qual sempre convien che si rida. 108
      Del folle Acàm ciascun poi si ricorda,
      Come furò le spoglie, sì che l’ira
      Di Giosuè qui par che ancor lo morda. 111
      Indi accusiam col marito Safira;
      Lodiamo i calci ch’ebbe Eliodoro;
      E in infamia tutto il monte gira 114
      Polinnestor che ancise Polidoro.
      Ultimamente ci si grida: Crasso,
      Dicci, chè il sai: di che sapore è l’oro. 117
      Talor parliam l’uno alto e l’altro basso,
      Secondo l’affezion che a dir ci sprona,
      Ora a maggiore e ora a minor passo. 120
      Però al ben che il dì ci si ragiona,
      Dianzi non era io sol; ma qui da presso
      Non alzava la voce altra persona. 123
      Noi eravam partiti già da esso,
      E brigavam di soverchiar la strada
      Tanto, quanto al poter n’era permesso; 126
      Quand’io sentii, come cosa che cada,
      Tremar lo monte: onde mi prese un gielo
      Qual prender suol colui che a morte vada. 129
      Certo non si scotea sì forte Delo,
      Pria che Latona in lei facesse il nido
      A partorir li due occhi del cielo. 132
      Poi cominciò da tutte parti un grido
      Tal, che il Maestro inver di me si feo,
      Dicendo: Non dubbiar, mentr’io ti guido. 135
      Gloria in excelsis, tutti, Deo,
      Dicean, per quel ch’io dai vicin compresi,
      Onde intender lo grido si poteo. 138
      Noi ci restammo immobili e sospesi,
      Come i pastor che primi udir quel canto,
      Fin che il tremar cessò, ed ei compièsi. 141
      Poi ripigliammo nostro cammin santo,
      Guardando l’ombre che giacean per terra,
      Tornate già in su l’usato pianto. 144
      Nulla ignoranza mai con tanta guerra
      Mi fe’ desideroso di sapere,
      Se la memoria mia in ciò non erra, 147
      Quanta pareami allor pensando avere;
      Nè per la fretta dimandare era oso,
      Nè per me lì potea cosa vedere: 150
      Così m’andava timido e pensoso


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      o un ciego soñando
      y en ese vuelo y en ese sueño
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      Mensaje por Maria Lua Sáb 13 Mar 2021, 06:28

      CANTO VIGÉSIMO

      ARO QUINTO: AVARICIA Y PRODIGALIDAD

      EJEMPLOS DE POBREZA Y DE LIBERALIDAD,
      HUGO CAPETO, I.OS CAPETOS, EJEMPLOS DE TOBPE AVARICIA,
      EL MONTE SE SACUDE POR LA LIBERACIÓN DE ÜN „LMA
      Al separarse del papa, los poetas rodean el quinto rellano del monte
      del purgatorio. Una sombra ensalza altos ejemplos contrarios a la
      avaricia. El doliente espíritu les revela que es Hugo, padre del
      primer Capeto, execra los vicios de sus descendientes. El mismo,
      explica la disciplina) moral de los avaros y de los pródigos donde se
      loan de día las virtudes contrarias, y reprenden de noche sus vicios.
      Un temblor de tierra hace estremecer la montaña, sigue un grito, y
      un cántico. EmociOn y curiosidad del poeta.


      Contra mejor querer, se lucha en vano;
      y por esto, la esponja aun no empapada,
      del agua retiré, no sin desgano. ¡¡
      «h guía, por la roca no ocupada,
      siguió, y yo tras él, cual se rodea
      una muralla estrecha y almenada; e
      Pues la gente que triste lagrimea
      Por el mal que en el mundo se congloba,
      Por el opuesto lado se codea. 3
      Que maldita seas tú, ¡ Oh vieja loba!
      ¡que tu nombre sin fin, entre las fieras
      más presas que ellas juntas come y roba! 12
      ¡ Cielo! que según dicen, tus esferas
      indican las mudanzas, ¿Qué momento
      para ahuyentarla de este mundo esperas? l3
      Seguíamos en tanto, a paso lento,
      y atendiendo a las sombras, percibía
      llanto piadoso y ecos de lamento. 1S
      Por ventura escuché: «Dulce María!»
      (Muy cerca de nosotros, voz de llanto,
      cual de mujer que en parto lloraría). n
      Y continuar: «Tan pobre fuiste, tanto,
      cuanto se puede ver por el hospicio
      do depusiste el tu fruto santo.» u
      Y en seguida escuché: «¡ Oh, buen Pabricio!
      la virtuosa pobreza has preferido
      a la riqueza que acompaña al vicio.» 27
      Estas palabras, gratas a mi oído,
      moviéronme a seguir con más certeza,
      al espíritu en pos de su sonido. 30
      El, hablando siguió, de la largueza
      de Nicolás, en pro de las doncellas,
      para salvar su juvenil pureza. ss
      «¡Oh, ánima,» dije, «de palabras bellas!
      ¿Quién fuiste? ¿Por qué sólo tu alabanza
      das a dignas acciones que resellas? 3 e
      «No quedará sin premio tu confianza,
      si vuelvo a recorrer la corta vía
      de mi vida, que al término se avanza.» 39
      Y él: «Lo diré movido a simpatía,
      respondiendo, sin premio, a gracia tanta,
      cual la que irradias vivo todavía.
      «Yo fui raíz de aquella mala planta
      de la cristiana tierra desolante,
      que rara vez con frutos se levanta.
      «Si de ella, Bruge y Duai, y Lile y Gante
      se quisieran vengar, el fallo acepto,
      que es justicia que a Dios pido anhelante.
      «Llamáronme en el mundo Hiigo Capeto;
      hijos míos, Felipe y Luis han sido,
      nuevos reyes de Francia con respeto.
      «De un carnicero de París nacido,
      cuando sus viejos reyes acabaren,
      menos uno de vil sayal vestido,
      «del gobierno las riendas empuñaron
      mis manos, y el poder que yo hice mío
      numerosos amigos sustentaron.
      «De la viuda corona, un hijo mío
      ceñido fué, y consagrada iguala
      mi raza, a la más alta en poderío.
      «Mientras duró la dote provenzala,
      mi progenie, sin ser de gran valía,
      sino hizo bien, tampoco cosa mala.
      «Después se dio a la fuerza y la falsía,
      y a la rapiña, y por su mal destino,
      tomó Poitou, Gascuña y Normandía;
      «y Carlos en Italia, a Conradino
      Por enmienda mató, y al cielo envía
      por enmienda también, al grande Aquino.
      «Se acerca el tiempo en que la Francia, un día
      a otro Carlos envíe, por probanza
      de lo que en sí su raza contenía. r2
      «Armado irá tan sólo de la lanza
      de Judas, y con punta tan filosa
      que de Florencia romperá la panza. T5
      «No tierras, sino fama vergonzosa
      conquistará, con el pecado grave
      de serle leve toda acción dañosa. 7S
      «El otro, sale preso de una nave,
      vende a su hija, su precio regateando,
      como sólo un corsario hacerlo sabe. 81
      «¡ Oh, avaricia! ¿ Qué más vienes buscando ?
      ¡Por tí mi pueblo, del honor perjuro,
      va con su propia carne traficando! B4
      «Veo, para agravar el mal futuro,
      que Alagna a flor de lis se ha sometido,
      y en su Vicario, a Cristo, en trance duro. 8r
      «Y le veo otra vez escarnecido,
      beber nuevo vinagre con sus hieles,
      y entre ladrones vivos ser herido. 90
      «Y otro Pilatos, de iras más crueles,
      que nada sacia, que sin ley alcanza
      hasta el sagrado templo de los fieles. 93
      «¡ Oh, Señor mío! ¿ Cuándo tu venganza
      en que se oculta tu ira bondadosa,
      responderá a legítima esperanza? 90
      «Tú me has pedido de la sola esposa
      del Espíritu santo, explicaciones,
      al invocar su esencia misteriosa: 99
      «Nuestro espíritu se alza en oraciones
      durante el día, y en la noche dando
      en vez de ruegos, duras maldiciones:
      «A Pigmalion entonces recordando,
      que fué traidor, ladrón y parricida,
      con avidez el oro ambicionando;
      «y la miseria del avaro Mida,
      castigado en el don que se le acuerda,
      que debe ser por siempre escarnecida;
      «y de Acham la renuncia se recuerda,
      que robó los despojos, a quien la ira
      aun de Josué parece que lo muerda;
      «y a su esposo acusamos con Tafira;
      loamos la coz que escarneció a Bliodoro;
      y voz de infamia por el monte gira.
      «¡Polinestor que mata a Polidoro!
      Y Craso, gritan todos finalmente:
      Dinos, pues sabes, como sabe el oro.
      «Y hablan así, más bajo o fuertemente,
      según la dura espuela los presiona,
      que hace andar más despacio o prontamente.
      «Este sentir a todos apasiona,
      y si a mí solamente has escuchado,
      es que entonces no hablaba otra persona.»
      El alma, atrás habiendo ya dejado,
      tratamos de llegar a la salida
      superando la vía por un lado,
      cuando sentí, cual mole derruida,
      temblar el monte y convertido en hielo
      quedé, como en las ansias de la vida.
      No más se estremeció la isla de Délo,
      cuando Latona en ella hizo su nido
      para alumbrar los dos ojos del cielo.
      De un grito general el estampido
      a mi guía trajera de mi lado,
      quien me dijo: «Serás bien conducido.»
      Gloria in excelsis Deo, fué entonado,
      por muchas voces, con amor intenso,
      en medio de aquel grito atribulado.
      Inmóviles quedamos, en suspenso,
      cual los pastores al oir tal canto,
      hasta el final de aquel temblor inmenso.
      Luego seguimos el camino santo
      entre sombras yacentes en la tierra,
      que proseguían en su eterno llanto.
      nunca dentro de mí sentí mks guerra,
      por descubrir arcano misterioso,
      si la memoria mía aquí no yerra,
      como en aquel momento pavoroso:
      el hablar me impedía el paso activo,
      y no pudiendo responder ansioso,
      con timidez seguía pensativo.


      _________________



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      Dante Alighieri (1265-1321) - Página 2 Empty Re: Dante Alighieri (1265-1321)

      Mensaje por Maria Lua Miér 24 Mar 2021, 09:32

      CANTO XXI.

      ARGOMENTO

      Passano alla quinta bolgia, nella quale gemono i barattieri. I de -
      moni muovono ad offendere i Poeti; Virgilio patteggia, ed ottiene
      che parecchi di quegli infernali spiriti gli mostrino la via per tra -
      passare allo scoglio che sovrasta all’altra bolgia.

      Così di ponte in ponte altro parlando,
      Che la mia Commedìa cantar non cura,
      Venimmo, e tenevamo il colmo, quando 3
      Ristemmo per veder l’altra fessura
      Di Malebolge, e gli altri pianti vani;
      E vidila mirabilmente oscura. 6
      Quale nell’Arsenal de’ Veneziani
      Bolle di verno la tenace pece
      A rimpalmare i legni lor non sani, 9
      Che navicar non ponno; e in quella vece
      Chi fa suo legno nuovo, e chi ristoppa
      Le coste a quel che più viaggi fece; 12
      Chi ribatte da prora e chi da poppa;
      Altri fa remi, ed altri volge sarte;
      Chi terzeruolo e artimon rintoppa: 15
      Tal, non per fuoco, ma per divina arte
      Bollia laggiuso una pegola spessa,
      Che inviscava la ripa da ogni parte. 18
      Io vedea lei, ma non vedeva in essa
      Ma’ che le bolle che il bollor levava,
      E gonfiar tutta, e riseder compressa. 21
      Mentr’io laggiù fisamente mirava,
      Lo duca mio dicendo: Guarda, guarda!
      Mi trasse a sè del luogo dov’io stava. 24
      Allor mi volsi come l’uom cui tarda
      Di veder quel che gli convien fuggire,
      E cui paura subita sgagliarda, 27
      Che per veder non indugia il partire:
      E vidi dietro a noi un diavol nero
      Correndo su per lo scoglio venire. 30
      Ahi quanto egli era nell’aspetto fiero!
      E quanto mi parea nell’atto acerbo,
      Con l’ale aperte e sovra i piè leggiero! 33
      L’omero suo, ch’era acuto e superbo,
      Carcava un peccator con ambo l’anche,
      E ei tenea de’ piè ghermito il nerbo. 36
      Del nostro ponte disse: O Malebranche,
      Ecco un degli anzian di Santa Zita:
      Mettetel sotto, ch’io torno per anche 39
      A quella terra che n’è ben fornita.
      Ogni uom v’è barattier, fuor che Bonturo:
      Del no, per li denar, vi si fa ita. 42
      Laggiù il buttò, e per lo scoglio duro
      Si volse, e mai non fu mastino sciolto
      Con tanta fretta a seguitar lo furo. 45
      Quei s’attuffò, e tornò su convolto;
      Ma i demon, che del ponte avean coverchio,
      Gridar: Qui non ha luogo il Santo Volto; 48
      Qui si nuota altrimenti, che nel Serchio:
      Però, se tu non vuoi de’ nostri graffi,
      Non far sopra la pegola soverchio. 51
      Poi l’addentar con più di cento raffi:
      Disser: Coverto convien che qui balli,
      Sì che, se puoi, nascosamente accaffi. 54
      Non altrimenti i cuochi ai lor vassalli
      Fanno attuffare in mezzo la caldaia
      La carne con gli uncin, perchè non galli. 57
      Lo buon Maestro: A ciò che non si paia
      Che tu ci sii, mi disse, giù t’acquatta
      Dopo uno scheggio ch’alcun schermo t’haia: 60
      E per nulla offension che a me sia fatta,
      Non temer tu, ch’io ho le cose conte,
      Perch’altra volta fui a tal baratta. 63
      Poscia passò di là dal co del ponte,
      E com’ei giunse in su la ripa sesta,
      Mestier gli fu d’aver sicura fronte. 66
      Con quel furore, e con quella tempesta,
      Ch’escono i cani addosso al poverello,
      Che di subito chiede ove s’arresta; 69
      Usciron quei di sotto al ponticello,
      E volser contra lui tutti i roncigli;
      Ma ei gridò: Nessun di voi sia fello. 72
      Innanzi che l’uncin vostro mi pigli,
      Traggasi avanti l’un di voi che m’oda,
      E poi di roncigliarmi si consigli. 75
      Tutti gridaron: Vada Malacoda;
      Perchè un si mosse, e gli altri stetter fermi,
      E venne a lui, dicendo: Che t’approda! 78
      Credi tu, Malacoda, qui vedermi
      Esser venuto, disse il mio Maestro,
      Securo già da tutti vostri schermi, 81
      Senza voler divino e fato destro!
      Lasciami andar, chè nel Cielo è voluto,
      Ch’io mostri altrui questo cammin silvestro. 84
      Allor gli fu l’orgoglio sì caduto,
      Che si lasciò cascar l’uncino a’ piedi,
      E disse agli altri: Omai non sia feruto. 87
      E il duca mio a me: O tu, che siedi
      Tra gli scheggion del ponte quatto quatto,
      Sicuramente omai a me ti riedi. 90
      Per ch’io mi mossi, e a lui venni ratto;
      E i diavoli si fecer tutti avanti,
      Sì ch’io temetti non tenesser patto. 93
      E così vid’io già temer li fanti,
      Ch’uscivan patteggiati di Caprona,
      Veggendo sè tra nemici cotanti. 96
      Io m’accostai con tutta la persona
      Lungo il mio duca, e non torceva gli occhi
      Dalla sembianza lor, ch’era non buona. 99
      Ei chinavan gli raffi e: Vuoi ch’io il tocchi,
      (Diceva l’un con l’altro) in sul groppone?
      E rispondean: Sì, fa che gliel accocchi. 102
      Ma quel demonio, che tenea sermone
      Col duca mio, si volse tutto presto,
      E disse: Posa, posa, Scarmiglione. 105
      Poi disse a noi: Più oltre andar per questo
      Scoglio non si potrà; perocchè giace
      Tutto spezzato al fondo l’arco sesto. 108
      E se l’andare avanti pur vi piace,
      Andatevene su per questa grotta:
      Presso è un altro scoglio che via face. 111
      Ier, più oltre cinqu’ore, che quest’otta,
      Mille dugento con sessanta sei
      Anni compièr, che qui la via fu rotta. 114
      Io mando verso là di questi miei
      A riguardar s’alcun se ne sciorina:
      Gite con lor, ch’ei non saranno rei. 117
      Tratti avanti, Alichino e Calcabrina,
      Cominciò egli a dire, e tu Cagnazzo,
      E Barbariccia guidi la decina. 120
      Libicocco vegna oltre, e Draghignazzo,
      Ciriatto sannuto, e Graffiacane,
      E Farfarello, e Rubicante pazzo. 123
      Cercate intorno le bollenti pane:
      Costor sien salvi insino all’altro scheggio,
      Che tutto intero va sopre le tane. 126
      Oh me! Maestro, che è quel che io veggio?
      Diss’io: deh! senza scorta andiamci soli,
      Se tu sa’ ir, ch’io per me non la chieggio. 129
      Se tu sei sì accorto come suoli,
      Non vedi tu ch’ei digrignan li denti,
      E con le ciglia ne minaccian duoli! 132
      Ed egli a me: Non vo’ che tu paventi;
      Lasciali digrignar pure a lor senno,
      Ch’ei fanno ciò per li lessi dolenti. 135
      Per l’argine sinistro volta dienno;
      Ma prima avea ciascun la lingua stretta
      Co’ denti verso lor duca per cenno, 138
      Ed egli avea del cul fatto trombetta.


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      o un ciego soñando
      y en ese vuelo y en ese sueño
      compartir contigo sol y luna,
      siendo guardián en tu cielo
      y tren de tus ilusiones."
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      Mensaje por Maria Lua Dom 28 Mar 2021, 11:59

      CANTO VIGESIMOPRI'MERO

      ARO QUINTO: AVARICIA Y PRODIGALIDAD

      ESTACIO, CAUSA DEL TERREMOTO, ES'IJACIO Y VIRGILIO
      Al subir los poetas aparece una sombra que los acompaña. Virgilio
      explica su presencia y la de Dante . La sombra explica la causa mística del temblor, producida por la liberación de un alma. El alma
      rescatada es Estacio, quien hace mención de su vida y de sus obras,
      manifestando su admiración por Virgilio. Virgilio se da a conocer
      y Estacio le tributa su homenaje.

      Esa sed natural, que no se sacia
      smo en el agua de la clara fuente,
      lúe a la Samaritana dio su gracia,
      trabaja, con ánimo impaciente,
      y por la obstruida vía me encamino,
      de la justa venganza condoliente.
      ^ual de Lucas lo trae texto divino,
      que apareció Jesús resucitado
      a dos hombres en medio a su camino,
      apareció una sombra a nuestro lado,
      de pie sobre la turba allí tendida,
      que hasta entonces no habíamos notado. 12
      Y exclamó: «¡Dios os dé paz bendecida!»
      Nos volvimos de súbito, y Virgilio
      habló, señal haciendo, comedida: „
      «¡ Qué alcances beata paz en el concilio
      donde se hace justicia venerada
      que me relega al eternal exilio!» 18
      «¡ Cómo!» dijo, «con planta tan pesada
      si no sois dignas sombras celestiales,
      ¡venís! y jquién os guía en la jornada?» n
      Y el doctor: «Si contemplas las señales
      que el buen ángel guardián sólo perfila,
      verás que ha traspasado sus umbrales. 2i
      «Mas, aquella que en día y noches hila,
      aun no había la rueca devanado
      con que el destino humano Gloto enhila, 2;
      «su alma, que es de las nuestras un dechado,
      no podía venir arriba sola,
      porque en sombra su ser no ha trasmutado. 3o
      «Por eso fui sacado de la gola
      del infierno, a mostrar estos tormentos,
      como lo haré, cual puede una alma sola. 33
      «Mas dime: ¿Por qué el monte en sus cimientos
      desde su blanda base estremecido,
      ha temblado entre cantos y lamentos!» 36
      Esta pregunta había coincidido
      con mi deseo, y fiado en la esperanza,
      mi sed se había un tanto ya extinguido. 38
      El espíritu dijo: «No hay mudanza
      en el monte, según ordenaciones
      que corresponden a la eterna usanza.
      «Aquí no se producen variaciones;
      se da y recibe lo que el cielo lleve,
      y no más, sin extrañas conexiones.
      «Porque aquí, no hay granizo, lluvia o nieve,
      ni hay rocío, ni escarcha, cuando sube
      las tres gradas de entrada el alma leve:
      «tampoco espesa ni ligera nube,
      ni truenos, ni de la hija de Tahumante
      el arco iris que inconstante sube.
      «Ningún vapor se siente en adelante,
      después que las tres gradas se han pasado,
      do está el ángel de Pedro vigilante.
      «Más abajo, tal vez haya temblado
      mas los ocultos vientos de la tierra,
      no sé por qué, aquí, nunca han llegado.
      «Tiembla, sí, cuando el alma que ella aferra
      purificada surge, en el momento
      que entre gritos de gozo desentierra.
      «La voluntad da fe del sentimiento,
      y el alma libre, al trasmutar de estado,
      obedece a su propio movimiento:
      «Este anhelo latente, ha combinado
      la divina justicia providente,
      con el tormento junto del pecado.
      «Aquí echado, he penado yo doliente
      quinientos años, y ora resurgido
      Por voluntad, me muevo libremente.
      «Por eso tiembla el monte, y has oído
      de las almas el grito de alabanza,,
      que piden redención al Dios querido.» 7,
      Así habló, respondiendo a mi esperanza,
      mas cuanto es más la sed que nos devora:
      mayor goce bebiendo nos alcanza. u
      Y el sabio dijo: «Bien comprendo ahora
      como la red que os ata se desata,
      y al temblar goza el alma pecadora. 7S
      «pero di, por qué en pena tan ingrata
      por tantos, tantos siglos has yacido:
      de tí saberlo fuera cosa grata.» 81
      «Cuando Tito, del cielo protegido
      vengó la sangre del que el mundo adora,
      que Judas Iscariote hubo vendido
      la sombra respondió, «nombre que honora
      tenía yo en la tierra, algo famoso;
      mas la fe me faltaba salvadora. 87
      «Mi canto era tan dulce y melodioso,
      que a Roma fui, yo siendo tolosano,
      donde mi sien orlo mirto glorioso. 90
      «Estacio fué mi nombre, y al Tebano
      mis cantos di; después, del grande Aquiles
      con la segunda carga, pisé en vano. 93
      «De mi ardor, los destellos juveniles,
      se han encendido en la divina llama,
      que iluminó la mente de otros miles. 9 e
      «La Eneida fué mi numen, fué la mama;
      fué la nodriza que nutrió mi canto:
      sin ella no pesara ni una dracma, ss
      «y por haber vivido en algún tanto
      cuando vivió Virgilio, me estaría
      otro sol más, tendido en mi quebranto.»
      A estas palabras me miró mi guía,
      eomo diciendo: ¡Calla! más no puede
      la virtud cuanto quiere en su porfía.
      Risa o llanto, sucede o bien precede,
      a la pasión de que uno está nutrido,
      y lo sincero a sus impulsos cede.
      Sonriente, yo me doy por entendido,
      y la sombra su vista me endereza
      buscando en mi expresión algún sentido.
      «i Puedas lograr en bien tu grande empresa!
      Mas, ¿por qué tu semblaníe ha iluminado
      relámpago sonriente que interesa!»
      Me sentí doblemente conturbado:
      callar y hablar cada uno me pedía;
      suspiré: mi suspiro fué escuchado.
      «Habla sin miedo», me ordenó mi guía
      con bondad, «y al hablarle, di mi nombre,
      dándole la respuesta que quería.»
      Y de este modo hablé: «Tal vez te asombre
      el verme sonreír con tanto agrado:
      quiero asombrarte más con un gran nombre.
      «Este, que en las alturas me ha guiado,
      es el Virgilio, de quien tú aprendiste
      hombres y dioses a cantar osado.
      «Si otro motivo a mi sonrisa diste,
      bórralo de tu mente: estimulada
      tan sólo fué por lo que de él dijiste.»
      Viendo a la sombra medio prosternada
      «No lo hagas», dijo el guía prevenido:
      «Sombra soy y eres sombra: somos nada.»
      Y ella exclamó al erguirse: «Habrás medido
      lo inmenso del amor que el alma siente,
      pues nuestra propia vanidad olvido,
      «tratando a tu alma como a ser viviente.»


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      Mensaje por Maria Lua Lun 05 Abr 2021, 09:57

      CANTO XXII.


      ARGOMENTO


      Stando tuttavia nella quinta bolgia, ma da un altro lato, osservano
      lo strazio di un peccatore, che con astuzia si libera dalle mani de’
      demoni, i quali si azzuffano tra loro.


      Io vidi già cavalier muover campo,
      E cominciare stormo, e far lor mostra,
      E talvolta partir per loro scampo:
      Corridor vidi per la terra vostra,
      O Aretini, e vidi gir gualdane,
      Ferir torneamenti, e correr giostra, 6
      Quando con trombe e quando con campane,
      Con tamburi e con cenni di castella,
      E con cose nostrali e con istrane; 9
      Nè già con sì diversa cennamella
      Cavalier vidi muover, nè pedoni,
      Nè nave a segno di terra o di stella. 12
      Noi andavam con li dieci dimoni:
      Ah fiera compagnia! ma nella chiesa
      Co’ santi, e in taverna co’ ghiottoni. 15
      Pure alla pegola era la mia intesa,
      Per veder della bolgia ogni contegno,
      E della gente ch’entro v’era incesa. 18
      Come i delfini, quando fanno segno
      A’ marinar con l’arco della schiena,
      Che s’argomentin di campar lor legno; 21
      Talor così ad alleggiar la pena
      Mostrava alcun de’ peccatori il dosso,
      E nascondeva in men che non balena. 24
      E come all’orlo dell’acqua d’un fosso
      Stanno i ranocchi pur col muso fuori,
      Sì che celano i piedi e l’altro grosso, 27
      Sì stavan d’ogni parte i peccatori:
      Ma come s’appressava Barbariccia,
      Così si ritraean sotto i bollori. 30
      Io vidi, ed anche il cor mi s’accapriccia,
      Uno aspettar così, com’egli incontra
      Ch’una rana rimane, e l’altra spiccia: 33
      E Graffiacan, che gli era più di contra,
      Gli arroncigliò le impegolate chiome,
      E trassel su, che mi parve una lontra. 36
      Io sapea già di tutti quanti il nome,
      Sì li notai quando furono eletti,
      E poi che si chiamaro, attesi come. 39
      O Rubicante, fa che tu li metti
      Gli unghioni addosso, sì che tu lo scuoi,
      Gridavan tutti insieme i maladetti. 42
      E io: Maestro mio, fa, se tu puoi,
      Che tu sappi chi è lo sciagurato
      Venuto a man degli avversarj suoi. 45
      Lo duca mio gli s’accostò allato:
      Domandollo ond’ei fosse, e quei rispose:
      Io fui del regno di Navarra nato. 48
      Mia madre a servo d’un signor mi pose,
      Chè m’avea generato d’un ribaldo
      Distruggitor di sè e di sue cose. 51
      Poi fui famiglia del buon re Tibaldo:
      Quivi mi misi a far baratteria,
      Di che io rendo ragione in questo caldo. 54
      E Ciriatto, a cui di bocca uscia
      D’ogni parte una sanna, come a porco,
      Gli fe’ sentir come l’una sdrucia. 57
      Tra male gatte era venuto il sorco;
      Ma Barbariccia il chiuse con le braccia,
      E disse: Sta in là, mentr’io lo inforco: 60
      E al Maestro mio volse la faccia:
      Dimanda, disse, ancor, se più desii
      Saper da lui, prima ch’altri il disfaccia. 63
      Lo duca dunque: Or di’, degli altri rii
      Conosci tu alcun che sia Latino
      Sotto la pece? E quegli: Io mi partii 66
      Poco è da un, che fu di là vicino:
      Così foss’io ancor con lui coverto,
      Che io non temerei unghia nè uncino. 69
      E Libicocco: Troppo avem sofferto,
      Disse; e presegli il braccio col ronciglio,
      Sì che, stracciando, ne portò un lacerto. 72
      Draghignazzo anch’ei volle dar di piglio
      Giù dalle gambe; onde il decurio loro
      Si volse intorno intorno con mal piglio. 75
      Quand’elli un poco rappaciati foro,
      A lui, che ancor mirava sua ferita,
      Dimandò il duca mio senza dimoro: 78
      Chi fu colui, da cui mala partita
      Di’ che facesti per venire a proda?
      Egli rispose: Fu frate Gomita, 81
      Quel di Gallura, vasel d’ogni froda,
      Ch’ebbe i nemici di suo donno in mano,
      E fe’ lor sì, che ciascun se ne loda: 84
      Denar si tolse, e lasciolli di piano,
      Sì com’ei dice: e negli altri uficj anche
      Barattier fu non picciol, ma sovrano. 87
      Usa con esso donno Michel Zanche
      Di Logodoro; e a dir di Sardigna
      Le lingue lor non si sentono stanche. 90
      Oh me! vedete l’altro, che digrigna:
      Io direi anche; ma io temo ch’ello
      Non s’apparecchi a grattarmi la tigna. 93
      E il gran proposto volto a Farfarello,
      Che stralunava gli occhi per ferire,
      Disse: Fatti in costà, malvagio uccello. 96
      Se voi volete vedere, o udire,
      Ricominciò lo spaurato appresso,
      Toschi o Lombardi, io ne farò venire. 99
      Ma stien le male branche un poco in cesso,
      Sì che non teman delle lor vendette;
      Ed io, seggendo in questo loco stesso, 102
      Per un ch’io son, ne farò venir sette,
      Quando sufolerò, com’è nostr’uso
      Di fare allor che fuori alcun si mette. 105
      Cagnazzo a cotal motto levò il muso,
      Crollando il capo, e disse: Odi malizia
      Ch’egli ha pensato per gittarsi giuso. 108
      Ond’ei ch’avea lacciuoli a gran divizia,
      Rispose: Malizioso son io troppo,
      Quando procuro a’ miei maggior tristizia. 111
      Alichin non si tenne, e di rintoppo
      Agli altri, disse a lui: Se tu ti cali,
      Io non ti verrò dietro di galoppo, 114
      Ma batterò sovra la pece l’ali:
      Lascisi il colle, e sia la ripa scudo
      A veder se tu sol più di noi vali. 117
      O tu, che leggi, udirai nuovo ludo.
      Ciascun dall’altra costa gli occhi volse;
      Quel prima, ch’a ciò fare era più crudo. 120
      Lo Navarrese ben suo tempo colse;
      Fermò le piante a terra, e in un punto
      Saltò, e dal proposto lor si sciolse. 123
      Di che ciascun di colpo fu compunto,
      Ma quei più, che cagion fu del difetto;
      Però si mosse, e gridò: Tu se’ giunto. 126
      Ma poco valse; chè l’ale al sospetto
      Non potero avanzar: quegli andò sotto,
      E quel drizzò volando suso il petto. 129
      Non altrimenti l’anitra di botto,
      Quando il falcon s’appressa, giù s’attuffa
      Ed ei ritorna su crucciato e rotto. 132
      Irato Calcabrina della buffa,
      Volando dietro gli tenne, invaghito
      Che quei campasse, per aver la zuffa: 135
      E come il barattier fu disparito,
      Così volse gli artigli al suo compagno,
      E fu con lui sopra il fosso ghermito. 138
      Ma l’altro fu bene sparvier grifagno
      Ad artigliar ben lui; e ambedue
      Cadder nel mezzo del bollente stagno. 141
      Lo caldo sghermitor subito fue:
      Ma però di levarsi era niente,
      Sì aveano inviscate l’ale sue. 144
      Barbariccia con gli altri suoi dolente
      Quattro ne fe’ volar dall’altra costa
      Con tutti i raffi, e assai prestamente 147
      Di qua di là discesero alla posta:
      Porser gli uncini verso gl’impaniati,
      Ch’eran già cotti dentro dalla crosta: 150
      E noi lasciammo lor così impacciati.


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      Dante Alighieri (1265-1321) - Página 2 Empty Re: Dante Alighieri (1265-1321)

      Mensaje por Maria Lua Sáb 24 Abr 2021, 07:41

      CANTO VIGESIMOTERCERO

      CIRCULO OCTAVO: FRAUDE

      ARO SEXTO: HIPÓCRITAS

      FKEIRES GAUDENTES CATALANO X LODEBIXGO, CAIFAS

      I.os dos poetas continúan solitarios su marcha.
      Da,nte y Virgilio discurren sobre las consecuencias de la gresca entre los diablos y el
      baratero. Los demonios furiosos persiguen vanamente a los dos
      poetas, por estarles vedado salir de su cerco infernal. Bajada a
      la sexta fosa o valle. Castigo de los hipócritas, que van cubiertos
      con pesados mantos de plomo, dorados al exterior. Coloquio con dos
      boloñeses de la orden de los gaudentes. Los ía,riseos perseguidores de
      Cristo, yacen sobre el camino extendido en cruz, hollados por los
      otros condenados de este valle en su lenta y continua) marcha, uno
      de los condenados les Indica el modo de salir de la fosa, diciéndoles
      «I'ie han ido engañados por los demonios en el camino Que llevan.


      •Solos, callados, sin compaña ñera,
      vamos uno tras otro, lentamente,
      como frailes menores en hilera. s
      La fábula de Esopo vi presente,
      que la gresca me trajo a recordanza,
      en que al topo y la rana pone enfrente. „
      Un caso y otro, tienen semejanza,
      como el hora y ahora, si se atiende,
      al principio y al fin que bien se alcanza. ,,
      Y como en sucesión surge y trasciende,
      una idea que es hija de otra idea,
      doble temor el corazón me prende.
      Pensaba así: Esta infernal ralea,
      debe estar con nosotros irritada,
      pues dimos ocasión a la pelea.
      Por su maldad, tal vez aconsejada,
      vendrá tras de nosotros con anhelo,
      como perros tras liebre fatigada.
      Sentí erizarse de pavor el pelo,
      y mirando hacia atrás muy receloso,
      dije al maestro: «¡ Por el santo cielo!
      «Si no andamos con paso presuroso,
      pienso ser por los diablos alcanzado. ..
      ya los veo llegar, y estoy medroso.»
      Y él a mí: «Si cristal fuese emplomado,
      no sería la idea que te asalta,
      de lo que pienso más cabal traslado.
      «Es3 mismo temor me sobresalta,
      y pues los dos pensamos igualmente,
      igual consejo del pensar resalta.
      «Bajando por la diestra esta pendiente,
      hasta llegar a la cercana fosa,
      nos salvaremos de su fiero diente.»
      A esta sazón, vimos llegar furiosa
      la cuadrilla de diablos, que volando,
      de echarnos garra se mostraba ansiosa.
      Mi guía me apretó en su seno blando,
      como madre amorosa que despierta
      en medio de un incendio, y que cargando
      al hijo, huye con él, y sólo acierta
      a salvarle, abnegada, y ni se cura,
      si de leve camisa va cubierta.
      Se deslizó de la escarpada altura,
      hasta tocar el pie de la pendiente,
      que cierra de aquel valle la cintura.
      XÍI baja por canal más raudamente,
      agua que mueve rueda de molino,
      cuando hiere sus palas la corriente.
      Me llevaba estrechado en el camino,
      como a un hijo más bien que a compañero,
      a quien confiara el cielo su destino.
      Ya en el fondo de aquel despeñadero,
      los demonios, ocupan la eminencia;
      mas no tememos ya su avance fiero.
      Por voluntad del alta providencia,
      del cerco quinto, guardas enclavados,
      los encierra fatal circunferencia.
      Aquí encontramos seres muy pintados,
      que giraban muy lenta, lentamente,
      llorando, y por la pena marchitados.
      (.'apa con capuchón lleva esta1
      gente,
      cual por los monjes de Colonia usada,
      y les cubre los cuerpos y la frente.
      Por fuera, resplandece muy dorada,
      pero es toda de plomo, y pesa tanto,
      que la de Federico era aliviada.
      i Oh, cuan eterno y fatigoso manto!
      Nos dirigimos por la izquierda nuestra,
      de ellos al son y de su triste llanto.
      Bajo el peso de capa tan siniestra,
      y con su andar tan lento, en su mesura,
      cada paso otra sombra al lado muestra.
      Yo dije a mi maestro: «Ver procura,
      si hay alguno de nombre conocido,
      y caminando mira a la ventura.»
      Uno, que habla toscana, hubo entendido,
      al punto nos gritó: «Tened el paso,
      los que vais por el aire ennegrecido:
      «puedo llenar vuestro deseo acaso.»
      Mi guía me miró, y me dijo: «Espera:
      sigue a compás de su marchar escaso.»
      Me aparejé con dos, en que advirtiera
      ansia grande de estar junto conmigo,
      aunque el peso y la senda lo impidiera.
      De cerca, míranme como enemigo,
      sin pronunciar una palabra sola;
      y ambos parecen consultar consigo.
      «Este,» dicen «respira por la gola.
      ¿Si son muertos, cuál es el privilegio
      que no los cubre con la grave estola?»
      Y a mí: «Dinos, toscano, hasta el colegio
      de los tristes hipócritas venido,
      ¿QiTién eres? sin desdén ni sortilegio.»
      Y yo: «Nací en Florencia, y he crecido
      del Arno en la ribera deliciosa,
      y tengo el mismo cuerpo < [ue he tenido.
      «¿Vosotros, quiénes sois de faz llorosa,
      que lbva el sello del dolor impreso,
      y qué pena os irrita y os acosa?»
      V uno de ellos responde: «Es tan espeso,
      este manto de plomo, reluciente,
      que el cuerpo oscila, cual balanza al peso.
      «Boloñeses, de la orden del Gaudente,
      somos, yo Catalano, y Loderingo:
      ambos, en vuestra patria, juntamente
      «jueces fuimos, y el caso bien distingo:
      fué para hacer la paz, y las señales
      de nuestra paz, se ven junto a Gardingo.»
      Yo comencé: «Hermanos, vuestros males...»
      más no pude acabar, que vi en el suelo,
      uno crucificado ea tres puntales.
      Al verme, retorcióse con anhelo,
      y resoplando, o n furor suspira.
      Catalano me dijo: «Sin consuelo,
      «ese, que ahí en aflicción se mira,
      al fariseo aconsejó dañino,
      votar a un hombre de la plebe a la ira.
      «Desnudo, atravesado en el camino,
      como le ves, el duro paso siente,
      y el peso de los que andan de contino.
      «Como él, su suegro yace penitente
      en esta fosa, y todo aquel concilio,
      que de Judea fué fatal simiente.»
      Muy sorprendido se quedó Virgilio,
      ante aquel pecador, crucificado
      tan duramente, en el eterno exilio;
      y dijo al fraile, que tenía al lado:
      «Decidnos por favor, en esta cuita:
      ¿Hacia mano derecha existe un vado
      «que salir de este foso nos permita,
      sin que guíe la marcha que emprendemos
      de ángeles negros la legión maldita?»
      Al punto respondió: «Sí, conocemos
      una roca que cerca se desprende,
      y los valles abarca en sus extremos;
      «pero está rota aquí, y no comprende
      todo este valle; mas de ruina en ruina,
      hasta el valle cercano va y asciende.»
      Mi guía un tanto la cabeza inclina,
      y prorrumpe: «¡ Qué mal me ha enderezado
      el que allá abajo al pecador domina!»
      Y el fraile: «Allá en Bolonia, me han hablado
      de los vicios del diablo, y que es doloso,
      y padre de mentiras, me han contado.»
      Movió mi guía el paso presuroso,
      su faz un tanto de ira demudada,
      y al dejar aquel grupo pesaroso,
      sigo la huella de su planta amada.


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      o un ciego soñando
      y en ese vuelo y en ese sueño
      compartir contigo sol y luna,
      siendo guardián en tu cielo
      y tren de tus ilusiones."
      (Hánjel)





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      Dante Alighieri (1265-1321) - Página 2 Empty Re: Dante Alighieri (1265-1321)

      Mensaje por Maria Lua Lun 26 Abr 2021, 09:48

      CANTO XXIV.

      ARGOMENTO

      Arrampicandosi per un argine rovinoso pervengono i Poeti alla
      settima bolgia, in cui sono puniti i ladri. Fra questi vedono Vanni
      Fucci da Pistoja, il quale predice a Dante l’esito delle fazioni pi -
      stojesi, e i mutamenti politici dei quali sarebbero esse diventate
      cagione in Firenze.
      In quella parte del giovinetto anno,

      Che ’l Sole i crin sotto l’Aquario tempra,
      E già le notti al mezzo dì sen vanno; 3
      Quando la brina in su la terra assempra
      La imagine di sua sorella bianca,
      Ma poco dura alla sua penna tempra: 6
      Lo villanello, a cui la roba manca,
      Si leva e guarda, e vede la campagna
      Biancheggiar tutta, ond’ei si batte l’anca; 9
      Ritorna a casa, e qua e là si lagna,
      Come il tapin che non sa che si faccia;
      Poi riede, e la speranza ringavagna 12
      Veggendo il mondo aver mutata faccia
      In poco d’ora; e prende suo vincastro,
      E fuor le pecorelle a pascer caccia: 15
      Così mi fece sbigottir lo Mastro
      Quand’io gli vidi sì turbar la fronte,
      E così tosto al mal giunse lo impiastro. 18
      Che come noi venimmo al guasto ponte,
      Lo Duca a me si volse con quel piglio
      Dolce, ch’io vidi prima a piè del monte. 21


      Le braccia aperse, dopo alcun consiglio
      Eletto seco, riguardando prima
      Ben la ruina, e diedimi di piglio. 24
      E come quei che adopera e istima,
      Che sempre par che innanzi si proveggia;
      Così, levando me su ver la cima 27
      D’un rocchione, avvisava un’altra scheggia,
      Dicendo: Sovra quella poi t’aggrappa;
      Ma tenta pria se è tal ch’ella ti reggia. 30
      Non era via da vestito di cappa,
      Che noi a pena, ei lieve e io sospinto,
      Potevan su montar di chiappa in chiappa. 33
      E se non fosse, che da quel precinto,
      Più che dall’altro, era la costa corta,
      Non so di lui, ma io sarei ben vinto. 36
      Ma perchè Malebolge in ver la porta
      Dal bassissimo pozzo tutta pende,
      Lo sito di ciascuna valle porta, 39
      Che l’una costa surge e l’altra scende:
      Noi pur venimmo in fine in su la punta,
      Onde l’ultima pietra si scoscende. 42
      La lena m’era del polmon sì munta
      Quando fui su, ch’io non potea più oltre,
      Anzi m’assisi nella prima giunta. 45
      Omai convien che tu così ti spoltre,
      Disse il Maestro; chè seggendo in piuma,
      In fama non si vien, nè sotto coltre: 48
      Senza la qual chi sua vita consuma
      Cotal vestigio in terra di sè lascia,
      Qual fumo in aer, o in acqua la schiuma. 51
      E però leva su; vinci l’ambascia
      Con l’animo che vince ogni battaglia,
      Se col suo grave corpo non s’accascia. 54
      Più lunga scala convien che si saglia:
      Non basta da costoro esser partito:
      Se tu m’intendi, or fa sì, che ti vaglia. 57
      Levaimi allor, mostrandomi fornito
      Meglio di lena ch’io non mi sentia;
      E dissi: Va, ch’io son forte e ardito. 60
      Su per lo scoglio prendemmo la via,
      Ch’era rocchioso, stretto e malagevole,
      E erto più assai che quel di pria. 63
      Parlando andava per non parer fievole:
      Onde una voce uscìo dall’altro fosso,
      A parole formar disconvenevole. 66
      Non so che disse, ancor che sovra il dosso
      Fossi dell’arco già, che varca quivi:
      Ma chi parlava a ire parea mosso. 69
      Io era volto in giù, ma gli occhi vivi
      Non potean ire al fondo per l’oscuro;
      Per ch’io: Maestro, fa che tu arrivi 72
      Dall’altro cinghio, e dismontiam lo muro;
      Che com’io odo quinci, e non intendo,
      Così giù veggio, e niente affiguro. 75
      Altra risposta, disse, non ti rendo,
      Se non lo far; chè la dimanda onesta
      Si dee seguir coll’opera, tacendo. 78
      Noi discendemmo il ponte dalla testa,
      Ove s’aggiunge con l’ottava ripa,
      E poi mi fu la bolgia manifesta: 81
      E vidivi entro terribile stipa
      Di serpenti, e di sì diversa mena,
      Che la memoria il sangue ancor mi scipa. 84
      Più non si vanti Libia con sua rena;
      Chè, se Chelidri, Jaculi e Faree
      Produce, e Cencri con Anfesibena, 87
      Non tante pestilenzie nè sì ree
      Mostrò giammai con tutta l’Etiopia,
      Nè con ciò che di sopra il Mar Rosso èe. 90
      Tra questa cruda e tristissima copia
      Correvan genti nude e spaventate,
      Senza sperar pertugio o elitropia. 93
      Con serpi le man dietro avean legate:
      Quelle ficcavan per le ren la coda
      E il capo, ed eran dinanzi aggroppate. 96
      Ed ecco a un, ch’era da nostra proda,
      S’avventò un serpente, che il trafisse
      Là dove il collo alle spalle s’annoda. 99
      Nè O sì tosto mai, nè I si scrisse,
      visibile chi la portava addosso.

      Com’ei s’accese e arse, e cener tutto
      Convenne che cascando divenisse: 102
      E poi che fu a terra sì distrutto,
      La cener si raccolse per sè stessa,
      E in quel medesmo ritornò di butto. 105
      Così per li gran savi si confessa,
      Che la Fenice muore e poi rinasce,
      Quando al cinquecentesimo anno appressa. 108
      Erba nè biada in sua vita non pasce,
      Ma sol d’incenso lagrime e d’amomo;
      E nardo e mirra son l’ultime fasce. 111
      E quale è quei che cade, e non sa como,
      Per forza di demon ch’a terra il tira,
      O d’altra oppilazion che lega l’uomo, 114
      Quando si leva, che intorno si mira,
      Tutto smarrito dalla grande angoscia
      Ch’egli ha sofferta, e guardando sospira; 117
      Tal era il peccator levato poscia.
      Oh giustizia di Dio quanto è severa!
      Che cotai colpi per vendetta croscia. 120
      Lo Duca il dimandò poi chi egli era:
      Per ch’ei rispose: Io piovvi di Toscana,
      Poco tempo è, in questa gola fera. 123
      Vita bestial mi piacque, e non umana,
      Sì come a mul ch’io fui; son Vanni Fucci
      Bestia, e Pistoia mi fu degna tana. 126
      E io al Duca: Dilli che non mucci;
      E dimanda qual colpa quaggiù il pinse:
      Ch’io il vidi uom già di sangue e di corrucci. 129
      E il peccator, che intese, non s’infinse,
      Ma drizzò verso me l’animo e il volto,
      E di trista vergogna si dipinse; 132
      Poi disse: Più mi duol, che tu m’hai colto
      Nella miseria, dove tu mi vedi,
      Che quando fui dell’altra vita tolto. 135
      Io non posso negar quel che tu chiedi:
      In giù son messo tanto, perch’io fui
      Ladro alla sagrestia de’ belli arredi; 138
      E falsamente già fu apposto altrui.
      Ma perchè di tal vista tu non godi,
      Se mai sarai di fuor de’ luoghi bui, 141
      Apri gli orecchi al mio annunzio, ed odi:
      Pistoia in pria di Neri si dimagra;
      Poi Firenze rinnova genti e modi. 144
      Tragge Marte vapor di Val di Magra,
      Ch’è di torbidi nuvoli involuto,
      E con tempesta impetuosa e agra 147
      Sopra campo Picen fia combattuto;
      Ond’ei repente spezzerà la nebbia,
      Sì ch’ogni Bianco ne sarà feruto:
      E detto l’ho, perchè doler ten debbia150



      continuará - pag 371

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      Dante Alighieri (1265-1321) - Página 2 Empty Re: Dante Alighieri (1265-1321)

      Mensaje por Maria Lua Dom 02 Mayo 2021, 05:42

      CANTO VIGÉSIMO CUARTO

      CIRCULO OCTAVO: FRAUDE
      ARO SÉTIMO: LADRONES
      VANNI PUCCX
      l'U año nuevo, el fin del invierno, la primavera y la turbación de Virgilio.
      Los dos poetas, después de salir del sexto círculo, ascienden
      penosamente por las ruinas de un puente roto hasta dominar el
      valle del cerco sétimo. Desaliento de Dante y animosas palabras
      de Virgilio. Los poetas descienden al sétimo cerco y encuentran
      lus sombras de los ladrones adormentados por serpientes.
      Vanni Fucci, la.drén sacrilego, picado por una víbora, es reducido a cenizas
      y vuelve a asumir su anterior forma. Confesión y predicciones de
      Vanni Pucci.

      Cuando en el joven año, se atempera
      del sol la cabellera, bajo acuario,
      y día y noche, mide igual carrera;
      cuando la helada, manto cinerario,
      reviste a imagen de su blanca hermana,
      de que es trasunto débil y precario;
      el pastor, sin forraje, en la mañana,
      se levanta y contempla la llanura
      blanquear toda en contorno, y más se afana:
      vuelve a su choza lleno de amargura,
      sin atinar qué hacer, desatentado;
      mas luego ríe, y esperanza augura,
      al ver al mundo en horas trasformado;
      y abre el redil, y suelta su manada,
      que hace pacer, y empuña su cayado.
      Así encontróse mi alma conturbada,
      al ver del guía la nublada frente;
      mas luego, por el mismo fué aquietada.
      Cuando alcanzamos el ruinoso puente,
      volvióse a mí, con el semblante amigo
      que al pie del monte vi tan dulcemente.
      Abrió sus brazos, me brindó el abrigo;
      miró en contorno, examinó la ruina;
      y ya resuelto, me llevó consigo.
      Como el que cauto en su trabajo atina,
      y de todo peligro se previene,
      así me hizo trepar a la colina.
      Sobre movibles rocas, bien se tiene,
      y al asentar el pie me prevenía:
      «Tienta bien, por si acaso se mantiene.»
      Para los emplomados no era vía,
      pues nosotros, con peso más ligero,
      apenas si la planta se movía.
      De haber sido más largo el derrotero,
      como lo fuera el recorrido pienso
      que al menos yo, quedara en el sendero.
      Mas como Malebolge va en descenso,
      hacia el pozo del centro, la avenida
      de un valle al otro, de aquel cerco inmenso,
      alterna en la bajada y la subida;
      y al fin, tocó la cima nuestra planta
      en la postrera piedra suspendida.
      Oprimida sentía mi garganta,
      y faltándome el aire en los pulmones,
      sentéme a descansar de pena tanta.
      «No es bueno de este modo te apoltrones,»
      dijo el maestro, «que entre seda y pluma,
      no se va de la, fama a las regiones.
      «Quien en el ocio su existir consuma,
      no dejará más rastros en la tierra,
      que humo en. el aire, y en el agua espuma.
      «¡Arriba! ¡sin cansancio! ¡como en guerra
      triunfa el alma luchando por la vida,
      si vence al flaco cuerpo que la encierra!
      «Más larga es de la escala la subida;
      no es lo bastante haber aquí llegado,
      para que mi lección sea entendida.»
      A estas palabras me sentí animado,
      y alzándome, aunque sin mucho brío,
      dije: «¡Vamos! que soy fuerte y osado.»
      Y continuamos por aquel desvío,
      que era estrecho, difícil, peligroso,
      más escarpado aún que en el bajío.
      Para aquietar al corazón medroso,
      hablaba sin cesar, cuando un acento
      percibí que se alzaha desde el foso.
      No distinguí el sentido, en el momento
      de alcanzar hasta el arco que se encumbra,
      mas tenía de cólera el aliento.
      Miro hacia abajo; el ojo no vislumbra,
      con mirada de carne el fondo oscuro,
      y así dije: «Maestro a la penumbra
      «llegar deseara, hasta bajar el muro
      del otro cerco, pues aquí no entiendo
      lo que en la vana mente me figuro.»
      «A tus deseos en silencio atiendo,»
      me respondió, «piies a demanda honesta,
      se contesta callando y defiriendo.»
      Estábamos del puente en la otra cresta,
      y descendimos al septeno foso,
      di que su hondura queda manifiesta.
      Un enjambre allí) vimos, espantoso,
      de fieras sierpes de diversas menas,
      que aun me hiela la sangre temeroso.
      No se jacte la Libia en stis arenas,
      tener quelidrios, fáneas y lagartos,
      y cancros y culebras anfribenas;
      ¡No tanta pestilencia, ni tan hartos,
      los bordes del mar Rojo con la Etiopia,
      vieron jamás tantos monstruosos partos!
      Entre esta cruda y venenosa copia,
      corren, seres desnudos y espantados,
      sin esperar alivio ni heliotropia.
      Por detrás van con sierpes maniatados,
      que en su riñon hunden cabeza y cola,
      y por delante, en nudos enroscados.
      Vemos venir errante un alma sola:
      una serpiente brava lo atraviesa,
      donde la espalda se une con la gola.
      Dos letras no se escriben más apriesa,
      cual tardara en arder el condenado,
      y quedar reducido a una pavesa.
      Su ceniza en el suelo se ha juntado,
      y por sí mismo, el mísero desecho,
      la primitiva forma ha recobrado.
      Los sabios aseguran, que es un hecho,
      que así perece el fénix y renace
      de cinco siglos en prefijo trecho:
      no come grano ni en la yerba pace;
      vive de incienso, lágrimas y amonio,
      y en mirra y nardo al espirar se place.
      Como el que cae, y que no sabe cómo,
      por obra del demonio que lo estira,
      o por otras dolencias al abromo,
      y al levantarse, en su contorno mira,
      por la pasada angustia desmarrido,
      y quebrantado con dolor suspira,
      tal se mostraba el pecador erguido.
      ; Oh potencia de Dios! ¡ y cuan severa,
      contra la culpa tu vengaza ha sido!
      El buen maestro demandó quien era,
      y él respondió: «Llovido de Toscana,
      caí no ha mucho en esta gola fiera.
      «Mi vida fué bestial, no vida humana:
      Vanni Pucci llamáronme, la Bestia,
      y en Pistoya habité cueva malsana.»
      Lije al maestro: «Imponle la molestia
      de estar, quedo, que bien le he conocido:
      fué sanguinario y torpe en su inmodestia.»
      El pecador, no obstante haberme oído,
      volvió hacia mí con su alma, su semblante,
      por la triste vergüenza compungido.
      «Me duele más estar1
      de tí delante,
      que mi miseria,» dijo, «y que la muerte
      que me arrancó del mundo bienandante.
      «Mas fuerza es confesar, al responderte,
      que por robar los vasos consagrados,
      en el infierno me hallo de esta suerte;
      «que a otros fueron mis robos imputados;
      pero que no te huelgue mi tormento,
      si sales de estos sitios condenados.
      «Escucha mis pronósticos atento:
      ya Pistoya, de negros se empobrece;
      Florencia, cambia modo y regimiento.
      «Vapor de Marte en Val-de-Magra crece,
      en nube que el turbión lleva en su seno;
      con tormenta impetuosa que aparece,
      «se peleará en el campo de Piceno,
      y derrepente, allí, la niebla espesa,
      todos los Blancos herirá de lleno.
      «Te lo digo por darte gran tristeza.»


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      siendo guardián en tu cielo
      y tren de tus ilusiones."
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      Dante Alighieri (1265-1321) - Página 2 Empty Re: Dante Alighieri (1265-1321)

      Mensaje por Maria Lua Lun 10 Mayo 2021, 08:58

      CANTO XXV.

      ARGOMENTO

      Standosi tuttora Dante nella settima bolgia, a guardia della quale
      è il centauro Caco, incontra parecchi Fiorentini, due de’ quali,
      sotto agli occhi del Poeta, subiscono una mirabile trasformazio -
      ne.

      Al fine delle sue parole il ladro
      Le mani alzò con ambeduo le fiche,
      Gridando: Togli, Dio, che a te le squadro. 3
      Da indi in qua mi fur le serpi amiche,
      Perch’una gli s’avvolse allora al collo,
      Come dicesse: Io non vo’ che più diche: 6
      E un’altra alle braccia e rilegollo,
      Ribadendo sè stessa sì dinanzi,
      Che non potea con esse dare un crollo. 9
      Ah Pistoia, Pistoia! che non stanzi
      D’incenerarti, sì che più non duri,
      Poi che in mal far lo seme tuo avanzi? 12
      Per tutti i cerchi dello Inferno oscuri
      Spirto non vidi in Dio tanto superbo,
      Non quel che cadde a Tebe giù de’ muri. 15
      Ei si fuggì, che non parlò più verbo:
      E io vidi un centauro pien di rabbia
      Venir gridando: Ov’è, ov’è l’acerbo? 18
      Maremma non cred’io, che tante n’abbia,
      Quante bisce egli avea su per la groppa
      Infino ove comincia nostra labbia. 21
      Sopra le spalle, dietro dalla coppa,
      Con ale aperte gli giaceva un draco,
      E quello affuoca qualunque s’intoppa. 24
      Lo mio Maestro disse: Quegli è Caco,
      Che sotto il sasso di monte Aventino
      Di sangue fece spesse volte laco. 27
      Non va co’ suoi fratei per un cammino,
      Per lo furar che frodolente ei fece
      Del grande armento ch’egli ebbe a vicino; 30
      Onde cessar le sue opere biece
      Sotto la mazza d’Ercole, che forse
      Gliene diè cento, e non sentì le diece. 33
      Mentre che sì parlava, ed ei trascorse,
      E tre spiriti venner sotto noi,
      De’ quai nè io nè il Duca mio s’accorse, 36
      Se non quando gridar: Chi siete voi,
      Per che nostra novella si ristette,
      E intendemmo pure ad essi poi. 39
      Io non li conoscea; ma ei seguette,
      Come suol seguitar per alcun caso,
      Che l’un nomare all’altro convenette, 42
      Dicendo: Cianfa dove fia rimaso?
      Per ch’io, acciò che il Duca stesse attento,
      Mi posi il dito su dal mento al naso. 45
      Se tu sei or, Lettore, a creder lento
      Ciò ch’io dirò, non sarà maraviglia,
      Chè io, che il vidi, a pena il mi consento. 48
      Com’io tenea levate in lor le ciglia,
      E un serpente con sei piè si lancia
      Dinanzi all’uno, e tutto a lui s’appiglia. 51
      Co’ piè di mezzo gli avvinse la pancia,
      E con gli anterior le braccia prese,
      Poi gli addentò e l’una e l’altra guancia. 54
      Li diretani alle cosce distese,
      E miseli la coda tramendue,
      E dietro per le ren su la ritese. 57
      Ellera abbarbicata mai non fue
      Ad alber sì, come l’orribil fiera
      Per l’altrui membra avviticchiò le sue: 60
      Pui s’appicar, come di calda cera
      Fossero stati, e mischiar lor colore;
      Nè l’un nè l’altro già parea quel ch’era; 63
      Come procede innanzi dall’ardore
      Per lo papiro suso un color bruno,
      Che non è nero ancora, e il bianco muore. 66
      Gli altri duo riguardavano, e ciascuno
      Gridava: O me, Agnèl, come ti muti!
      Vedi che già non sei nè duo nè uno. 69
      Già eran li duo capi un divenuti,
      Quando n’apparver due figure miste
      In una faccia, ov’eran duo perduti. 72
      Fersi le braccia due di quattro liste:
      Le cosce con le gambe, il ventre e il casso
      Divenner membra che non fur mai viste. 75
      Ogni primaio aspetto ivi era casso:
      Due e nessun l’imagine perversa
      Parea, e tal sen gia con lento passo. 78
      Come il ramarro, sotto la gran fersa
      Dei dì canicular, cangiando siepe,
      Folgore par, se la via attraversa; 81
      Così parea venendo verso l’epe
      Degli altri due un serpentello acceso,
      Livido e nero come gran di pepe. 84
      E quella parte, donde prima è preso
      Nostro alimento, all’un di lor trafisse:
      Poi cadde giuso innanzi lui disteso. 87
      Lo trafitto il mirò, ma nulla disse:
      Anzi co’ piè fermati sbadigliava,
      Pur come sonno o febbre l’assalisse. 90
      Egli il serpente e quei lui riguardava:
      L’un per la piaga, e l’altro per la bocca
      Fumavan forte, e il fumo s’incontrava. 93
      Taccia Lucano omai, là dove tocca
      Del misero Sabello e di Nassidio;
      E attento sii a udir quel, ch’or si scocca. 96
      Taccia di Cadmo e d’Aretusa Ovidio;
      Che se quello in serpente, e quella in fonte
      Converte poetando, io non lo invidio: 99
      Chè duo nature mai a fronte a fronte
      Non trasmutò, sì ch’ambedue le forme
      A cambiar lor materie fosser pronte. 102
      Insieme si risposero a tai norme,
      Che il serpente la coda in forca fesse,
      E il feruto ristrinse insieme l’orme. 105
      Le gambe con le cosce seco stesse
      S’appiccar sì, che in poco la giuntura
      Non facea segno alcun che si paresse. 108
      Togliea la coda fessa la figura,
      Che si perdeva là; e la sua pelle
      Si facea molle, e quella di là dura. 111
      Io vidi entrar le braccia per l’ascelle,
      E i duo piè della fiera, ch’eran corti,
      Tanto allungar, quanto accorciavan quelle. 114
      Poscia li piè diretro, insieme attorti,
      Diventaron lo membro che l’uom cela,
      E il misero del suo n’avea due porti. 117
      Mentre che il fumo l’uno e l’altro vela
      Di color nuovo, e genera il pel suso
      Per l’una parte, e dall’altra il dipela, 120
      L’un si levò, e l’altro cadde giuso,
      Non torcendo però le lucerne empie,
      Sotto le quai ciascun cambiava muso. 123
      Quel ch’era dritto il trasse in ver le tempie,
      E di troppa materia, che in là venne,
      Uscir gli orecchi delle gote scempie: 126
      Ciò che non corse in dietro, e si ritenne,
      Di quel soverchio fe’ naso alla faccia,
      E le labbra ingrossò quanto convenne. 129
      Quel che giaceva il muso innanzi caccia,
      E gli orecchi ritira per la testa,
      Come face le corna la lumaccia: 132
      E lingua, che aveva unita e presta
      Prima a parlar, si fende, e la forcuta
      Nell’altro si richiude, e il fumo resta. 135
      L’anima, ch’era fiera divenuta,
      Si fugge sufolando per la valle,
      E l’altro dietro a lui parlando sputa. 138
      Poscia gli volse le novelle spalle,
      E disse all’altro: Io vo’, che Buoso corra,
      Com’ho fatt’io, carpon per questo calle. 141
      Così vid’io la settima zavorra
      Mutare e trasmutare: e qui mi scusi
      La novità, se fior la lingua abborra. 144
      E avvegnachè gli occhi miei confusi
      Fossero alquanto e l’animo smagato,
      Non poter quei fuggirsi tanto chiusi, 147
      Ch’io non scorgessi ben Puccio Sciancato;
      Ed era quei che sol de’ tre compagni,
      Che venner prima, non era mutato: 150
      L’altro era quel che tu, Gaville, piagni.







      *****************************




      Para continuar leyendo: p 379- XXVI




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      Dante Alighieri (1265-1321) - Página 2 Empty Re: Dante Alighieri (1265-1321)

      Mensaje por Maria Lua Sáb 27 Ago 2022, 08:49

      CANTO VIGESIMOQUINTO
      CIRCULO OCTAVO: FRAUDE
      ARO SÉTIMO: LADRONES
      CACO, CTOCO LADRONES FLORENTINOS Y SUS METAMORFOSIS



      Continuación del sétimo círculo de los ladrones. Blasfemia y castigo
      de Vanni Fucci. Aparición de Caco. Otros condenados.
      Metamorfosis de hombres y serpientes. Cianfa,
      Afielo, Brunelleschi y Puccio Squianto.


      Dejó de hablar aquel ladrón nefando,
      ambas manos alzó, hizo dos higas,
      miró al cielo, y gritó: «¡ Eso te mando!»
      Cual diciendo: ¡No quiero que más digas!
      una sierpe se enrosca a su pescuezo.
      Son de entonces las sierpes mis amigas.
      Otra sus brazos ciñe, y queda opreso:
      le envuelve por detrás y por delante,
      y como bulto inmóvil queda tieso.
      i Ah, Pistoya, Pistoya, porque humeante
      no eres cenizas, si tu fuego impuro
      fomenta tu semilla malignante!
      En los circuitos del infierno oscuro,
      no vi ante Dios un ente más superbo,
      ni el que cayó bajo el tebano muro.
      Huyó después, sin pronunciar un verbo,
      y un centauro rabioso, en su procura,
      llegó, gritando: «¿Dónde está el acerbo?»
      No creo, yo, que la Marisma impura
      contenga más serpientes enroscadas,
      como él, del anca a la humanal figura.
      Tras de su nuca, de alas estiradas
      iba un dragón, que todo arder hacía,
      vomitando en su encuentro llamaradas.
      «Este es Caco», me dijo mi buen guía,
      «que las rocas al pie del Aventino,
      en un lago sangriento convertía.
      «No sigue de los suyos el camino,
      porque robó con fraude el gran rebaño,
      que tenía a la mano de vecino.
      «Puso fin a sus hurtos y a su engaño,
      Alcides con cien golpes de su clava,
      de que diez no sintió, maguer su amaño.»
      Mi:ntras tanto, la sombra/ se alejaba,
      y tres nuevos espíritus llegaron,
      de que la mente muy distante estaba,
      hasta que muy de cerca nos gritaron:
      «¿Quiénes sois?» Y cesó la conferencia,
      que ellos tan sólo la atención llamaron.
      Si no los conocí, por inferencia,
      al continuar hablando, y por acaso,
      tuve del nombre de uno la evidencia.
      El uno dijo: «Cianfa está en atraso.»
      Y yo, para advertir a mi buen guía,
      puse el dedo en el labio y en el naso.
      Si eres, lector, de creencia algo tardía,
      por lo que diga, no es extraña cesa,
      pues mi vista lo vio, y aun desconfía.
      Espiando, con mirada cuidadosa,
      serpiente con seis pies, veo que avanza,
      y a uno de ellos se enrosca presurosa.
      Hunde las patas medias en la panza,
      con las de arriba ciñe brazo y brazo,
      y con las uñas hasta el rostro alcanza:
      las patas bajas, con cerrado lazo
      toman los muslos, y la cola erguida
      entre ambos mete, y roza el espinazo.
      •Jamás la yedra a un árbol adherida,
      se asió a su tronco y gajos, cual la fiera
      con los miembros del hombre confundida,
      pues derretidos, cual caliente cera,
      uno y ninguno en forma y colorido,
      era uno otro de lo que antes fuera,;
      así el papiro en brasas encendido,
      se retuerce, tomando tinta oscura,
      que no es negra ni blanca como ha sido.
      Los otros dos miraban con pavura,
      y, «¡ Cuál cambias, Añel b ambos gritaban,
      «dos no son, ni uno solo, en su figura!»
      Una sola cabeza, ambos formaban,
      en un solo semblante se fundían,
      bien que rasgos perdidos aun mostraban.
      De cuatro brazos, dos aparecían:
      pecho, piernas y vientre, al deformarse,
      a miembros nunca vistos parecían.
      El primitivo aspecto al trasformarse,
      de ninguno y loa dos, bulto malvado,
      a lento paso comenzó a arrastrarse.
      Cual lagarto en verano, apresurado
      cruza el camino de otra mata en busca,
      que parece relámpago animado,
      así, cual grano de pimienta fusca,
      lívida sierpecilla que ira enciende,
      la panza de los otros dos rebusca.
      A uno, su dardo viperino hiende
      por do se toma la primer comida:
      salta ligera, y a sus pies se extiende.
      La sombra, con la vista amortecida,
      de pie la mira, y sin cesar bosteza,
      como de fiebre o sueño poseída.
      Sierpe y sombra se miran con crudeza;
      una por boca y otra por la llaga,
      humo despiden, como nub; espesa.
      Calle Lucano, que al cantar propaga
      los cambios de Sabelio y de Nasidio,
      que otro cambio, los suyos deja en zaga.
      No hable de Cadmo y Aretusa Ovidio,
      que si al uno en serpiente y otra en fuente,
      su musa convirtió, no se lo envidio;
      pues jamás dos naturas, frente a frente,
      trasmutaron su esencia con su forma,
      ni en materia, de modo tan repente.
      Hombre y bestia se arreglan a otra norma:
      se bifurca, en la cola la serpiente,
      y el cuerpo del herido se deforma.
      Ambas piernas, se adhieren fuertemente,
      y cierran de tal modo la juntura,
      que ni señales de la unión presente.
      La bifurcada cola, la figura
      toma del pie, con su pellejo flaco,
      y la una piel se ablanda y la otra endura.
      Vi los brazos hundirse en el sobaco,
      y a la vez, de la sierpe vi extenderse
      de uno y otro costado el pie retaco:
      sus pies traseros como cuerda tuerce,
      y en el hombre, aquel miembro que se cela,
      en dos patas rampantes le destuerce.
      Mientras el humo al uno y otro vela,
      al hombre, la serpiente da su escama,
      y se cubre del pelo que repela.
      131 uno sobre el otro se encarama;
      y con mirada en que la llama ardía,
      cada cual un hocico se amalgama.
      El erguido, hacia abajo contraía
      las sienes, y la carne rebosante
      en orejas y cara convertía.
      Con la materia posterior sobrante,
      una nariz sobre la faz se planta,
      y los labios engruesan lo restante.
      Su hocico el abatido solevanta,
      y las orejas salen de su testa,
      como sus cuernos caracol levanta.
      La lengua, que antes era unida y presta,
      se parte en dos, y la otra dividida,
      se reúne,, y el humo contrarresta.
      El alma, así en culebra convertida,
      se escapa por el valle, y va silbando;
      el de pie le despide su escupida;
      le da la espalda, y dice al otro hablando:
      «Quiero que corra,' que se arrastre Boso,
      cual yo fui por los suelos arrastrando.»
      Vi de esta suerte en el septeno foso,
      de otras almas la forma trasmutada;
      y que lo nuevo excuse lo enojoso.
      .Si tenía la vista algo ofuscada,
      y el alma absorta, empero no fué tanto,
      de las sombras no ver la desbandada,
      y pude conocer a Puccio Squianto,
      el solo que de forma no cambiara.
      ¡ El otro, era una sombra que de llanto,
      desdichada Gaville, te inundara!




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      Mensaje por Maria Lua Sáb 18 Mar 2023, 07:26

      CANTO XXVI



      [Canto XXVI, nel quale si tratta de l'ottava bolgia contro a quelli
      che mettono aguati e danno frodolenti consigli; e in prima sgrida
      contro a' fiorentini e tacitamente predice del futuro e in persona
      d'Ulisse e Diomedes pone loro pene.]


      Godi, Fiorenza, poi che se' sì grande
      che per mare e per terra batti l'ali,
      e per lo 'nferno tuo nome si spande!
      Tra li ladron trovai cinque cotali
      tuoi cittadini onde mi ven vergogna,
      e tu in grande orranza non ne sali.
      Ma se presso al mattin del ver si sogna,
      tu sentirai, di qua da picciol tempo,
      di quel che Prato, non ch'altri, t'agogna.
      E se già fosse, non saria per tempo.
      Così foss' ei, da che pur esser dee!
      ché più mi graverà, com' più m'attempo.
      Noi ci partimmo, e su per le scalee
      che n'avea fatto iborni a scender pria,
      rimontò 'l duca mio e trasse mee;
      e proseguendo la solinga via,
      tra le schegge e tra ' rocchi de lo scoglio
      lo piè sanza la man non si spedia.
      Allor mi dolsi, e ora mi ridoglio
      quando drizzo la mente a ciò ch'io vidi,
      e più lo 'ngegno affreno ch'i' non soglio,
      perché non corra che virtù nol guidi;
      sì che, se stella bona o miglior cosa
      m'ha dato 'l ben, ch'io stessi nol m'invidi.
      Quante 'l villan ch'al poggio si riposa,
      nel tempo che colui che 'l mondo schiara
      la faccia sua a noi tien meno ascosa,
      come la mosca cede a la zanzara,
      vede lucciole giù per la vallea,
      forse colà dov' e' vendemmia e ara:
      di tante fiamme tutta risplendea
      l'ottava bolgia, sì com' io m'accorsi
      tosto che fui là 've 'l fondo parea.
      E qual colui che si vengiò con li orsi
      vide 'l carro d'Elia al dipartire,
      quando i cavalli al cielo erti levorsi,
      che nol potea sì con li occhi seguire,
      ch'el vedesse altro che la fiamma sola,
      sì come nuvoletta, in sù salire:
      tal si move ciascuna per la gola
      del fosso, ché nessuna mostra 'l furto,
      e ogne fiamma un peccatore invola.
      Io stava sovra 'l ponte a veder surto,
      sì che s'io non avessi un ronchion preso,
      caduto sarei giù sanz' esser urto.
      E 'l duca che mi vide tanto atteso,
      disse: «Dentro dai fuochi son li spirti;
      catun si fascia di quel ch'elli è inceso».
      «Maestro mio», rispuos' io, «per udirti
      son io più certo; ma già m'era avviso
      che così fosse, e già voleva dirti:
      chi è 'n quel foco che vien sì diviso
      di sopra, che par surger de la pira
      dov' Eteòcle col fratel fu miso?».
      Rispuose a me: «Là dentro si martira
      Ulisse e Dïomede, e così insieme
      a la vendetta vanno come a l'ira;
      e dentro da la lor fiamma si geme
      l'agguato del caval che fé la porta
      onde uscì de' Romani il gentil seme.
      Piangevisi entro l'arte per che, morta,
      Deïdamìa ancor si duol d'Achille,
      e del Palladio pena vi si porta».
      «S'ei posson dentro da quelle faville
      parlar», diss' io, «maestro, assai ten priego
      e ripriego, che 'l priego vaglia mille,
      che non mi facci de l'attender niego
      fin che la fiamma cornuta qua vegna;
      vedi che del disio ver' lei mi piego!».
      Ed elli a me: «La tua preghiera è degna
      di molta loda, e io però l'accetto;
      ma fa che la tua lingua si sostegna.
      Lascia parlare a me, ch'i' ho concetto
      ciò che tu vuoi; ch'ei sarebbero schivi,
      perch' e' fuor greci, forse del tuo detto».
      Poi che la fiamma fu venuta quivi
      dove parve al mio duca tempo e loco,
      in questa forma lui parlare audivi:
      «O voi che siete due dentro ad un foco,
      s'io meritai di voi mentre ch'io vissi,
      s'io meritai di voi assai o poco
      quando nel mondo li alti versi scrissi,
      non vi movete; ma l'un di voi dica
      dove, per lui, perduto a morir gissi».
      Lo maggior corno de la fiamma antica
      cominciò a crollarsi mormorando,
      pur come quella cui vento affatica;
      indi la cima qua e là menando,
      come fosse la lingua che parlasse,
      gittò voce di fuori e disse: «Quando
      mi diparti' da Circe, che sottrasse
      me più d'un anno là presso a Gaeta,
      prima che sì Enëa la nomasse,
      né dolcezza di figlio, né la pieta
      del vecchio padre, né 'l debito amore
      lo qual dovea Penelopè far lieta,
      vincer potero dentro a me l'ardore
      ch'i' ebbi a divenir del mondo esperto
      e de li vizi umani e del valore;
      ma misi me per l'alto mare aperto
      sol con un legno e con quella compagna
      picciola da la qual non fui diserto.
      L'un lito e l'altro vidi infin la Spagna,
      fin nel Morrocco, e l'isola d'i Sardi,
      e l'altre che quel mare intorno bagna.
      Io e ' compagni eravam vecchi e tardi
      quando venimmo a quella foce stretta
      dov' Ercule segnò li suoi riguardi
      acciò che l'uom più oltre non si metta;
      da la man destra mi lasciai Sibilia,
      da l'altra già m'avea lasciata Setta.
      "O frati", dissi, "che per cento milia
      perigli siete giunti a l'occidente,
      a questa tanto picciola vigilia
      d'i nostri sensi ch'è del rimanente
      non vogliate negar l'esperïenza,
      di retro al sol, del mondo sanza gente.
      Considerate la vostra semenza:
      fatti non foste a viver come bruti,
      ma per seguir virtute e canoscenza".
      Li miei compagni fec' io sì aguti,
      con questa orazion picciola, al cammino,
      che a pena poscia li avrei ritenuti;
      e volta nostra poppa nel mattino,
      de' remi facemmo ali al folle volo,
      sempre acquistando dal lato mancino.
      Tutte le stelle già de l'altro polo
      vedea la notte, e 'l nostro tanto basso,
      che non surgëa fuor del marin suolo.
      Cinque volte racceso e tante casso
      lo lume era di sotto da la luna,
      poi che 'ntrati eravam ne l'alto passo,
      quando n'apparve una montagna, bruna
      per la distanza, e parvemi alta tanto
      quanto veduta non avëa alcuna.
      Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto;
      ché de la nova terra un turbo nacque
      e percosse del legno il primo canto.
      Tre volte il fé girar con tutte l'acque;
      a la quarta levar la poppa in suso
      e la prora ire in giù, com' altrui piacque,
      infin che 'l mar fu sovra noi richiuso»





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      o un ciego soñando
      y en ese vuelo y en ese sueño
      compartir contigo sol y luna,
      siendo guardián en tu cielo
      y tren de tus ilusiones."
      (Hánjel)





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      Dante Alighieri (1265-1321) - Página 2 Empty Re: Dante Alighieri (1265-1321)

      Mensaje por Maria Lua Sáb 18 Mar 2023, 07:34

      CAN TO VIGESIMOSEXTO
      CIRCULO OCTAVO: FRAUDE
      ARO OCTAVO: CONSEJEROS FRAUDULENTOS
      GLIBBS Y DIOMEDES, MAJE I MUERTE DE CUSES

      i k'tavo toso del círculo infernal. Los dos poetas, dásele la altura de
      un puente de rocas dominan el cerco octavo. Suplicio de los consejeros
      del fraude. Las llamas animadas que giran en torno del
      valle o foso, encerrando cada una de ellas uno o mas pecadores.
      La llama que encierra a Ulises y Diomedes, formando en su cresta
      dos lenguas de fuego que hablan, es interrogada por los poetas.
      Ulises narra su viaje mas afuera de las columnas de Hércules,
      hasta, descubrir una nueva tierra y su naufragio.


      (loza Florencia, de tu fama grande,
      que en mar y tierra con sus alas vuela,
      y que tu nombre en el infierno expande. 3
      Entre ladrones de la grande escuela,
      cinco hijos tuyos vi, yo avergonzado,
      que por cierto no abonan tu clientela. 6
      Mas si en el alba es cierto lo soñado,
      pronto verás el odio que te aguarda,
      "•.orno en el Prato, de uno y otro lado. „
      Y si viniese con la marcha tarda,
      como que ha da venir, toda mi vida
      me ha de pesar, en cuanto más se atarda.
      Remontamos la rápida subida,
      sobre escombros a modo de escollera,
      la marcha por mi guía precedida.
      Seguimos solitarios la carrera,
      por entre riscos, que a no ser la mano,
      nuestro pie remontarlos no pudiera.
      Cuando pienso en aquel mundo inhumano,
      y en lo que vi, me siento más doliente;
      mi espíritu refreno, y más me afano
      en ir tras la virtud derechamente,
      que me dio buena estrella, o mejor cosa,
      y no debo envidiarme el bien presente.
      Como mira el labriego que reposa,
      en la grata estación en que el sol brilla,
      y más tarde en venir la noche umbrosa,
      cuando la mosca cede a la mosquilla,
      las lucernas que todo el valle alumbran,
      campo de la vendimia y de la trilla;
      tal las llamas chispeantes ya relumbran,
      de aquel octavo cerco entre los fosos,
      al tiempo que mis pies la roca encumbran.
      Como el que fué vengado por los osos,
      el carro vio de Elias en su vuelo,
      llevado por caballos fulgorosos,
      sin poderlos seguir en su desvelo,
      viendo sólo doquiera viva llama,
      que como nube remontaba al cielo,
      así en el valle el fuego se derrama,
      y cada llama oculta un penitente,
      en cuyo seno sin cesar se inflama.
      Miraba absorto, al borde del gran puente,
      y de no haberme de un peñasco asido,
      al abismo cayera ciertamente.
      Mi guía, al observarme así abstraído,
      «Un espíritu», dice, «en cada hoguera,
      de lo que lo devora va vestido.»
      Respondí: «Tu palabra verdadera,
      confirma la verdad por mí sentida;
      pero además, bien penetrar quisiera,
      «quién es aquel que en llama bipartida,
      surge, como en la pira' que a los manes
      de Eteocle y Polinice fué encendida.»
      Y respondió: «Del fuego en los afanes,
      Ulises y Diomedes,. como hermanos,
      pagan a la ira eterna sus desmanes.
      «Lloran, porque en su muro, a los tróvanos,
      con doloso caballo, abrieron puerta,
      por do salió la estirpe de romanos.
      «Lloran el fraude, que Deidamia muerta,
      aun deplora de Aquiles, su alma triste,
      y el paladión que hurtó su mano experta.»
      «Si dentro de la llama que los viste
      hablar pueden,» le dije, «yo te ruego,
      y te vuelvo a pedir por cuanto existe,
      «no me niegues hablarles desde luego,
      pues la llama de cuernos coronada
      Bae llama con deseos sin sosiego.»
      Y él a mí: «Tu plegaria es alabada,
      y por eso la acojo complacido;
      mas debe ser tu lengua moderada,
      «déjame hablar, pues bien he comprendido,
      lo que deseas, porque fueron griegos,
      y tu idioma les es desconocido.»
      Al acercarse los cornudos fuegos,
      cuando al maestro pareció oportuno,
      en esta forma dirigió sus ruegos:
      «Vosotros, los que vais de a dos en uno,
      dentro del fuego, por lo que hice en vida,
      si recordáis que en verso, cual ninguno,
      «fué por mí vuestra fama trascendida,
      parad, y por el fuego que atestigua
      vuestra muerte, decidme do fué habida.»
      El alto cuerno de la hoguera antigua,
      como la llama que fustiga el viento,
      al par que estaba inmóvil la contigua,
      se agitó con activo movimiento,
      como lo hace al hablar la lengua humana,
      y echó haeia afuera su escondido acento:
      «Cuando libre de Circe la inhumana,
      que más de un año en Gaeta me retuvo,
      do antes de Eneas era soberana,
      «ni el cariño por mi hijo me contuvo,
      ni de mi viejo padre la ternura,
      ni el amor de Penélope me abstuvo,
      «de correr por doquier a la ventura,
      por conocer el mundo como experto,
      y al hombre con sus vicios y cultura.
      «Lánceme sin temor en mar abierto,
      con sólo un leño, y tuve por compaña,
      pocos hombres, mas todos de concierto.
      «Vi las costas del mar hasta la España,
      en Marruecos, y en la isla de los Sardos,
      y las comarcas que en contorno baña.
      «Mis compañeros, viejos y ya tardos,
      cual yo también, llegamos al Estrecho
      donde Hércules plantó firmes resguardos,
      «para marcar al hombre fatal trecho;
      Ceuta dejé de un lado a la partida,
      y Sevilla quedó por el derecho:
      «•¡Hermanos que entre riesgos sin medida,
      tocáis, dije, el extremo de occidente,
      en la corta vigilia de la vida,
      «aprovechad la fuerza remanente!
      No os privéis de la máxima experiencia,
      de hallar en pos el sol mundo sin gente.
      «De noble estirpe es vuestro ser esencia:
      para alcanzar virtud habéis nacido,
      y no-a vivir cual brutos sin conciencia.
      «De los míos, el ánimo aguerrido,
      esta arenga conforta, y su osadía,
      nadie, ni yo, la hubiera contenido.
      «La popa vuelta adonde nace el día,
      en alas locas vueltos nuestros remos,
      vamos a izquierda siempre, en nu:stra vía.
      «Del otro polo, las estrellas vemos
      en la noche, y abajo, no aparecen
      del horizonte nuestro los extremos.
      «Cinco lunas renacen y decrecen,
      con la luz por debajo de la luna,
      desde el gran paso en que los mares crecen,
      «cuando aparece una montaña bruna
      por la larga distancia, levantada
      cual hasta entonces no era vista alguna.
      «i Oh, alegría! ¡ que en llanto fué trocada !
      que de la nueva tierra, un torbellino
      bate a proa la nave tormentada.
      «Tres vueltas la hace dar en remolino;
      sube la popa al enfrentar la tierra,
      baja la proa, y el querer divino,
      «al fin el mar sobre nosotros cierra.»







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